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Tutto tutto niente niente. Io so.

Tutto tutto niente niente. Io so.

Come nel film con Albanese la vita di un Paese sembra scorrere sul filo del rasoio

Sabato, 15/12/2012 - Occorrerebbe prendere spunto dall’intuizione ispirata della satira e magari facilitare anche la fuga di chi ha invaso la scena politica con dei curricula poco “legali”…

Si potrebbe facilmente ipotizzare che la coscienza di certi politici sia tale da realizzarsi pienamente dove prevalga il vuoto, l’assenza totale di strutturazione sociale, proprio come nel film con Albanese, “Tutto tutto niente niente”, dove l’importante è muovere verso un edonismo sfrenato e verso piaceri fatui le proprie membra al fine di poter sopravvivere al di fuori delle patrie galere.

Il rischio che stiamo correndo tutti, soprattutto quello che corrono prevalentemente gli onesti, è di dover subire l’ennesima solfa di violenza mediatica quotidiana, oltre all’ennesima destrutturazione sociale mascherata da paese dei balocchi di Pinocchio, Paese dove nessuno crede più di doversi e potersi divertire. I giovani sono talmente svuotati d’idealità al punto da scivolare nei fondamentalismi dei gruppetti asociali pseudo politici o nell’isolamento informatico. La creazione della famiglia non è più nella progettualità dei giovani, la cui mancanza anche di autonomia economica non permette di chiarire il senso di un’identità difficile da conquistare. E’ un Paese che sembra voler scomparire, di fronte allo svilimento della criminalità organizzata, così distruttiva e invasiva nel suo credo, da non accorgersi infine, nonostante l’espansione esponenziale della sua organizzazione, perfino di distruggere la vita degli altri, inclusa la propria.

Interessante l’analisi psicologica dei personaggi del film, i quali potrebbero rispecchiare benissimo alcuni zombie dello spaccato partitico italiano. Come la satira nessuno può evidenziare così bene e alla perfezione i limiti dell’ignoranza, del razzismo, delle tendenze paranoidi, dell’edonismo da epidemie narcisistiche e megalomaniche. Molto dura per i garanti della legalità, oggi più di ieri, e difficile è resistere alla tracotanza, al potere e alla volgarità della delinquenza organizzata. C’è chi è diventato un eroe perdendoci la vita, e c’è chi vorrebbe invece procedere a piccoli passi rispetto a chi invece vorrebbe gridare a tutti “Io so”. Quanto è difficile comprendere la verità pur accettando che essa sia “vera”, nonostante provenga da discordanti punti di vista! Diverso il modo di combattere la menzogna dalle differenti postazioni, e oggi più che mai sarebbe auspicabile un‘energia che mobiliti comunque la verità, sempre nel rispetto dei tempi e delle modalità prescelte dagli uomini onesti. Ora più che mai occorre l’unità d’intenti rispetto alla verità. Il film di Giulio Manfredonia, con Antonio Albanese, ci insegna che i tre protagonisti diventano inutili al sistema, nel momento in cui agiscono individualmente seguendo le loro devianze, le loro debolezze, i loro eccessi patologici. Se solo si fossero uniti, la loro devianza sarebbe servita a un sistema ancor più compromesso e patologico degli stessi protagonisti. La fine del film, infatti, dimostra che la salvezza della patologia si ritrova nella fuga congiunta dei tre personaggi, tutti perduti nel vuoto della loro misera e caricaturale esistenza. Dall’altro lato, il potere, ancora più anomalo e compatto imperversa e resiste nella finzione quotidiana dell’apparente legalità. Il ruolo delle donne: ovviamente subordinato e malato in un sistema così malridotto, oggetti di consumo o merce di scambio. Per vincere occorre essere uniti, pure nell’illegalità, figuriamoci nella legalità!

Certo che tornando alla vita di tutti i giorni, così simile ai film, sarebbe almeno possibile evitare l’amplificazione mediatica del ritorno degli zombie in politica?

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