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#UNITE / Mimma - di Elianda Cazzorla

#UNITE / Mimma - di Elianda Cazzorla

#UNITE: la campagna delle scrittrici italiane contro la violenza di genere. Questo testo di Elianda Cazzorla è parte della campagna

Venerdi, 23/02/2024 - No. Non vada via la prego.

Lo so che è distesa sul tappeto, in sala, un tappeto bianco di lana. Sardo, vero? L'ho visto una volta quando scendevo dalle scale e lei aveva lasciato la porta di casa semiaperta. Ero stata da Lucia, la signora del terzo piano, a prendere il caffè. Ora non ci vado più. Lo so come è andata: è entrata in sala, si è chinata per prendere il tappeto. Si sarà detta. C'è polvere. Devo sbatterlo, anche stamattina. E anziché tirarlo su, le urla dei miei figli l'hanno immobilizzata, per un po' il bordo del tappeto l'è rimasto tra le mani, poi l'ha lasciato e si è subito messa a pancia in giù con l'orecchio appiccicato al pavimento. Le piace ascoltare, vero? Anche lei s'è immaginata la scena, io l'ho vista tante volte e non mi sono mossa. Prima si son ricorsi, pum patapum, sbattendo le porte: uno gridava all'altro: T'ammazzo, t'ammazzo! E l'altro invocava: Mamma, mamma aiuto. Sono arrivati in camera da letto; uno ha steso l'altro sul pavimento; s'è messo cavalcioni e ha alzato la mano; l'altro sotto la morsa di quelle ginocchia, scalciava atterrito; il primo ha sferrato: una fragorosa risata; il secondo è scoppiato: in un pianto disperato. Lo sa che rideva Alessandro e che Biagio piangeva? Certo che lo sa, lo fanno spesso questo gioco e io resto immobile. Ma mi creda non sono cattivi, scherzano, mica altro. Io sono seduta in poltrona con le gambe composte, le mani sul grembo e aspetto. Sono in sala anch'io, perciò l'ho sentita stendersi. Una volta correvo a dividerli, li sgridavo e Biagio non piangeva. Ora c'è una forza che mi trattiene su questa poltrona e non mi lascia; ho provato a muovere le gambe, a sollevare le mani, niente, niente, una forza mi tiene giù: così mentre ero immobile, forse un po' infastidita dal chiasso, l'ho sentita stendersi sul tappeto e appiccicare l'orecchio sul pavimento.

No. Non vada via la prego.

Non la sto rimproverando, anzi sono contenta che mi stia ad ascoltare. Non è che parli con molti. Sa? E` da quando son ritornata che non parlo più con nessuno, e già, non mi arrabbio più nemmeno e poi chi parla più con Alessandro, l'ultima volta che l'ho fatto gli avevo semplicemente detto: Cerca di non tornare tardi stasera. Lui sa cosa m'ha detto: Stai zitta tu, terrona. Cosa capisci più! Non me la prendo mica sa, è mio figlio, il mio primo figlio; quando nacque ero felice. Allora sì. Voglio il nome di un condottiero, mio figlio sarà bello, alto e vigoroso. Alessandro. Ora è alto e bello e vigoroso. Un po' troppo, forse. L'altro Biagio, il piccolo, è un po' come me, accetta tutto, anche se poi piange, e più lui piange e più il fratello si diverte a farlo piangere; a fargli paura. T'ammazzo, t'ammazzo. Urla. Ma poi non succede nulla, scherzano. Sono ragazzi, li conosce no? Sono educati. La salutano sempre quando l'incontrano. Un anno fa, mi ricordo che pioveva, come pioveva, fitto, fitto e lei era rimasta bloccata in macchina, come in una gabbia con sbarre d'acqua. Lui l'ha vista dal balcone. Mamma, m'ha detto. Dov'è l'ombrello di papà? Ha preso il suo e quello del padre ed è venuto da lei, per non farla bagnare. Gentile, no? Il mio Alessandro sa essere gentile, sa? Che importa se mi chiama terrona, a scuola ha sempre fatto da solo e si è diplomato col cinquanta, mica poco, lavora in pizzeria e aiuta in casa. Da quando son qui seduta, su questa poltrona, con le mani sul grembo, lui si è dato da fare. Il piccolo è triste, lo so. Ma è bravo anche lui, sa? Gli piace suonare il flauto. Ogni pomeriggio prova sempre lo stesso pezzo... la ninna nanna di Hendel... può essere o forse mi sbaglio? È una musica dolce e io mi dondolo con la testa avanti e indietro. Il padre è un po' severo con il piccolo, me ne accorgo. Se non lo raddrizzo io a quello, rischia di essere come te. Una larva. Lo vedi è sempre lì abbandonato sul letto ad ascoltare musica. Ci vogliono le regole. Chi lavora mangia e chi non lavora non mangia. Cos'è questa mollezza. Efficienti bisogna essere! Vittorio crede nell'efficienza, soprattutto in quella degli altri. Prima, quando non stavo su questa poltrona ad aspettare, voleva sempre i pantaloni stirati, le camicie inamidate e le scarpe lucide. Le vedeva, vero? In fila, sul davanzale del bagno, sette paia di scarpe maschili, le mie non c'erano, non le pulivo allo stesso modo e poi non c'era posto sul davanzale. C'è un gusto particolare nel pulire le scarpe! Soprattutto con quelle di cuoio. Le prendi infangate e sporche, e poi basta spazzolarle con olio di gomito… Come non conosce questa espressione? Stendere sulle scarpe il lucido con vigore, strofinarle e, tornano nuove, passate con un panno di lana, scintillano. Le mettevo sul davanzale più che per asciugarle, per guardarle soddisfatta, una vicino all'altra, in fila, pronte per camminare. Nuove, di nuovo.

Ora non faccio più nulla. Mi han detto che devo riposare. E che la casa va avanti anche senza di me. Certo! Lo vedo. C'è stato un periodo in cui piangevo sempre. Spolveravo il tavolo del soggiorno e clic, cadeva una lacrima, l'asciugavo e poi clic un'altra e un'altra. Non smettevo mai di spolverare, vedevo riflessa su quella superficie lucida un pezzo di mare e più passavo lo straccio e più diventava nitido. Il mare di quand'ero bambina. E così strofinavo e strofinavo per vederlo meglio. Abitavo in un paesino della Puglia e d'estate andavo sempre al mare, al mattino, appena sveglia, lo guardavo dalla finestra della mia camera, luccicava, d’inverno sbatteva impazzito contro gli scogli. Allora mi faceva paura, però non mi staccavo dalla finestra. Poi sono cresciuta e ho incominciato a studiare. Ho capito in prima professionale che non ne avevo voglia, così mia madre m'ha mandato a cucire. Facevo dei colli rigidi e perfetti. Un’estate l'ho conosciuto al mare: Vittorio era bello, coi capelli ricci e biondi, un bel poliziotto. Io ero piccola e scura, con gli occhi lucidi e vispi, così diceva e poi mi chiamava formichina. Quanti puntini hanno messo oggi queste zampette corte corte? Mille, duemila? E mi accarezzava le dita e mi dava baci leggeri. Formichina, formichina fosca. Vieni via con me. Ci sposeremo e avremo dei figli. Formichina nera, saremo felici. Così son partita con Vittorio e sono venuta al nord. Al sud ci ripenso, oltre al mare… Sin da allora sentivo le voci. Voci che mi facevano compagnia. Voci buone. Da un po’ di tempo, a quelle si sono aggiunte le voci cattive. Mi strillano nella testa e urlano, anche se mi tappo le orecchie, sono dentro. Mi dicono di andare e io ubbidisco. Così esco di casa in qualsiasi modo sono vestita. Ho provato a mettere gli auricolari di Biagio, ad ascoltare musica, direttamente dalla fonte per azzittire le voci, nulla, più alzo il volume della radio, più le voci urlano. Un mese fa mi hanno trovato davanti alla chiesa di PIO X. Ero scalza, i piedi feriti da frammenti di vetro, in dosso il grembiule incerato che uso per lavare i piatti. Le voci mi avevano comandato di andare: Devi confessarti! Sei piena di peccati! Devi farlo! Mi ripetevano. Devi farlo! Devi farlo! Come potevo non ascoltarle! Vittorio, chiamato dal prete, è venuto a prendermi. Era furibondo. Ti ho cercato dappertutto... ma cos’hai in quella testa? Acqua sporca. Nient’altro. Urlava. Acqua sporca! Mentre mi trascinava a casa, tirandomi per il braccio.

Mio marito mi ha voluto bene. Ora non so cosa mi vuole. Forse mi sopporta e se non ci fossi sarebbe meglio per lui. Sicuramente. Ci vuol pazienza ad andare e venire dalla Villa dei Tigli... Sono due anni che va avanti così. Come non la conosce? È una villa sui colli Euganei, un posto tranquillo. Quando sono lì, dormo tanto, mi danno delle pillole rosa che fanno subito effetto. Dormo e non piango.

Quando mi hanno portato via la prima volta, sì quella volta della autoambulanza, si ricorda che è arrivata a sirene spiegate e che tutti si sono affacciati, attirati come pupazzi di latta dalla calamita sonora, quando mi hanno portato via e lei mi ha guardato da dietro i vetri, scostando la tendina, appena appena; come faccio a saperlo?, visto che avevo perso conoscenza per quelle trenta pillole ingoiate una dietro l'altra e che il mio corpo morto veniva adagiato sulla barella da mani veloci; lo so perché lo immagino, conosco la sua discrezione, si chiama così no? e conosco la curiosità degli altri. Ebbene, quella volta son rimasta alla Villa dei Tigli per tre mesi di fila. Che tristezza! La domenica mi venivano a trovare i miei ragazzi con una scatola di cioccolatini. Io snodavo il fiocco, aprivo la scatola e offrivo a loro i cioccolatini, io non potevo mangiarli. E poi si riportavano indietro la scatola con gli avanzi e i pezzi di carta stagnola appallottolata, mentre io rimanevo a giocare con il ricciolo del fiocco. Dopo un po' lo strappavo. Biagio, durante quelle visite, seguiva coi polpastrelli la spalliera del letto. Accarezzava l'asse orizzontale e poi ad una ad una le sbarre verticali. Senza dire una parola. Lo faceva due o tre volte di seguito. Andava avanti e indietro. Io lo guardavo e non mi veniva fuori nessun suono e con i suoi occhi grandi mi chiedeva: Mamma che c'è? Ed io rimanevo muta.

Da quando va meglio, come dice il dottore, mentre sorride compiaciuto a Vittorio, - perché questa nuova terapia sta dando i suoi frutti - io vedo solo pere marce che si spappolano al suolo, da quando va meglio come dice il Dottor Rinfranchi, torno a casa per tre giorni alla settimana.

Sa cosa faccio domani? Ma domani ci sono o non ci sono? Forse mi portano alla Villa dei Tigli. Sa cosa faccio? Se ci sono. Non sobbalzi lassù sul pavimento. Glielo volevo dire dall'inizio, visto che le piace origliare. Prima uccido la cinciallegra che viene a trovarmi ogni giorno e canta sul davanzale, dopo uccido me. Stavolta mi riesce. So dove Vittorio nasconde la pistola. Non sopporto sentire più quella bestia e se non c'è più lei, mio marito s'arrabbia perché non la sento più e va a finire che io sento solo le voci e allora mi tocca restare a Villa dei Tigli, tutte le sere, con le suore e le pillole rosa per dormire e dormire. Basta! E poi non dica che non glielo avevo detto e che tutti sapevano, nel condominio, e solo lei no. Perché a lei non piace spettegolare, lei che si definisce discreta ed è sempre chiusa nelle sue stanze e poi si sente esclusa e che mi saluta con Buongiorno Signora. Non di più. Lo conosce il mio nome? Sa come mi chiamo? Io sono Mimma. Ci pensi un po’ con tutte quelle emme nel nome, non le vengono in mente le zampette delle formiche, piccole, mobili e nere. Lo diceva Vittorio: Formichina, formichina mia. Chissà perché mi son toccate in sorte tre emme? Nella Bibbia c’è scritto che il nome dà identità alle cose! Dio disse: Sia la luce e chiamò la luce giorno. A me m’hanno chiamato Mimma e sono una formica. Sono dieci anni che abito nello stesso palazzo dove abita lei e noi non abbiamo scambiato più di venti parole in tutto. Due sole parole all'anno. Un po' poco. Capisce perché volevo parlarle. Certo c'è un muro di mezzo, anzi un pavimento con i mattoni in marmo e una struttura in cemento. Ma io ci ho provato. Lei ha messo il tappeto sardo per creare una atmosfera più calda in casa; ma il tappeto è bianco e si sporca facilmente e dieci minuti fa voleva sbatterlo e io l'ho bloccata con i miei discorsi. Non la trattengo più. Ora può andare. Si alzi e sbatta pure il suo tappeto, c'è ancora il sole, non si preoccupi per la polvere sul mio davanzale, non mi arrabbio più tanto le scarpe non le pulisco da un bel pezzo. Se n'è accorta, no? Io sono qui, seduta in poltrona con le gambe composte e le mani sul grembo... la mia giornata è lunga e posso solo sperare che arrivino le voci. Come si meraviglia? Le pare strano che possa ancora avere dei desideri? Anche a me, ma forse questo non è un desiderio. Desiderio è voglia di vivere ed io non ne ho più. Ah sì, sì, annuisce! Lo fa per tagliar corto. Lo so. Così non mi fa più domande e non mi dà più risposte. E così che si fa quando si vuole andar via.

Perché non mi risponde? È andata via, vero?


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