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Violenze private e pubbliche devastazioni

Violenze private e pubbliche devastazioni

La spropositata reazione contro l'accampamento nomade a Torino si configura come un atto di violenza gratuita, generata da una bugia figlia a sua volta di un altro genere di violenza.

Martedi, 20/12/2011 - L’episodio del rogo di Torino, scatenato in un campo rom a causa di una denuncia per uno stupro inventato da parte di una giovane ragazza, ha visto mettere in campo svariate letture dell’evento ad opera dei media. All’inizio, quando non si era ancora compreso che la violenza sessuale non fosse stata consumata, i riflettori si sono accesi sulla vendetta perpetrata ai danni dei nomadi, frutto di un ben preciso riflesso condizionato: stupro = rom = rappresaglia. Fiumi di parole e di inchiostro sono stati versati per svelare quel che tanto celato poi non è, ossia quel malcelato razzismo che cova dentro la maggior parte degli italiani e che conduce a trovare “il reo” di turno quale capro espiatorio di fatti criminosi. Uno zingaro, un romeno, un albanese, un extracomunitario, un clandestino, un musulmano integralista e ed “altri” ancora sono gli appartenenti a quelle categorie sociali che di volta in volta vengono criminalizzate a priori, a prescindere dalle proprie effettive responsabilità. L’operazione mentale che concreta questo fenomeno sociale potrebbe semplificarsi con il motto. “nasce prima il reo che il reato”.

Passata, però, la primaria contingenza ed iniziato ad indagarsi, la sedicenne torinese ha fatto venire a galla le incongruenze del proprio racconto fino a confessare che aveva inventato tutto perché, scoperta dal fratello subito dopo aver avuto il primo rapporto sessuale. In verità ha finanche chiesto scusa, poichè si sarebbe resa conto delle gravi conseguenze derivate da quella bugia costruita alquanto maldestramente. Si è pure dimostrata dispiaciuta, pensando che il rogo scatenato dalle sue parole avrebbe potuto fare vittime tra tante donne e bambini. I riflettori si sono allora spenti sulla tragedia dei nomadi, vittime di un gravissimo episodio di intolleranza razziale, e si sono accesi sulla ragazzina. Si è così “scoperto” che viveva in una famiglia che le aveva fatto giurare di arrivare illibata la matrimonio, che i genitori periodicamente la facevano sottoporre a visite ginecologiche per accertarsi della sua verginità ma che, nonostante tutte le pressioni e cautele, quella giovane donna aveva deciso di vivere la sua prima volta. Forse inconsapevolmente, forse in fretta, forse male, indubbiamente senza rendersi conto che sarebbe stato meglio riconoscere a sé stessa il diritto di scegliere come vivere la propria sessualità piuttosto che inventarsi uno stupro.

La paura di raccontarsi con i suoi desideri, i suoi bisogni e le decisioni conseguenti alle sue scelte ha prevalso e l’ha sommersa al punto di pensare che, per giustificare il suo stato al fratello, dovesse mentire e creare per tutti un colpevole. Lo sbaglio di questa ragazzina è lo sbaglio della sua famiglia, che non pensato di farla crescere serenamente per consentirle di andare incontro alla realtà in piena consapevolezza, ma è anche lo sbaglio del contesto sociale di appartenenza che le ha insegnato a trovare per ogni cattiva situazione il colpevole di turno, meglio se rom, rumeno albanese……. .Una giovane donna violentata nelle proprie scelte di vita non ha potuto fare altro che generare conseguentemente violenza, che nello specifico ha precipui responsabili, ma che alla base vede ben altre corresponsabilità. Una cultura dell’accoglienza che stenta a decollare, un insieme di misure di sostegno per facilitare l’integrazione che manca della volontà di approntare le necessarie risorse economiche, un sistema di controlli preventivi e di pene da applicare che vive insieme alle altre deficienze dell’intera compagine legale e giudiziaria, è tutto questo ed altro ancora la nostra responsabilità.

Ogni volta che succedano episodi di siffatta violenza si potranno accendere tutti i riflettori necessari per il caso in questione, ma non ce ne saranno di sufficienti per rendere visibile ciò che non vuole vedersi. Nella vicenda torinese è stato fin troppo facile illuminare la scena sul campo rom distrutto dalle fiamme, in cui vagavano donne con gonne lunghe e con in braccio neonati avvolti in pochi stracci, ma rimane il buio più fitto su come evitare per il futuro che un’altra giovane ragazza sia indotta dalla comunità in cui vive a causare violenza e brutalità per continuare a vivere in una finta normalità.

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