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Women’s March e l’assenza delle donne arabe

Women’s March e l’assenza delle donne arabe

Una riflessione su quello che è avvenuto il 21 gennaio scorso, rivolgendo uno sguardo al mondo arabo

Martedi, 31/01/2017 - Il 21 gennaio una vera e propria marea di donne ha travolto le strade di gran parte del mondo per ribadire con ancora più forza i loro diritti e dichiarare battaglia a quanti, come il nuovo presidente degli Usa, intendono ostacolare le conquiste ottenute in questi decenni.

Donne di ogni credo, età, stato sociale ed origine hanno marciato insieme, prendendo l’impegno di portare avanti azioni con cui continuare a coltivare la coscienza per i diritti femminili, che sono anche diritti umani, e combattere tutte quelle forme di maschilismo che in un modo o nell’altro sono presenti nelle società mondiali.

In questa condivisione di lotte per raggiungere obiettivi comuni però solo tre Paesi arabi, quali il Libano, l’Arabia Saudita ed l’Iraq hanno partecipato a modo loro alla Women’s March, veicolando la notizia sui social network ed organizzando delle piccole manifestazioni in loco.

Ma che fine hanno fatto gli altri?

Non è semplice parlare di mondo arabo, perché anche se la religione islamica rappresenta il collante di Paesi molto lontani tra loro, in realtà poi ci sono anche le tradizioni autoctone a dettare le regole di vita in queste società.

È un mondo intriso di contraddizioni che riguardano i diversi ambiti dell’esistenza degli uomini e delle donne. E proprio queste ultime sembrano vivere una condizione comune perché, a fronte di importanti conquiste credute effettive, di fatto si trovano ancora oggi a lottare contro la violenza di genere e la violenza domestica. A combattere per esercitare il diritto allo studio, il diritto al lavoro ed il diritto ad avere uno stipendio quanto più equo a quello degli uomini.

Le donne che vivono in questa parte di mondo continuano a combattere per essere libere di sposarsi, di avere o non avere i figli senza che tutto questo venga considerato un oltraggio all’idea stessa che si ha della donna, in quanto vista come moglie e madre.

Stiamo parlando di donne che chiedono di poter viaggiare da sole e raccontare il mondo.

Ci riferiamo a quelle che chiedono di poter guidare e muoversi senza il costante controllo maschile. Sono le donne che vogliono andare in bicicletta e fare musica senza essere considerate “poco serie”.

Allo stesso tempo sono anche quelle che chiedono di poter indossare l’hijab senza per questo essere considerate sottomesse.

Stiamo parlando di un mondo sfaccettato, fatto di piccole realtà all’interno delle quali però ogni donna desidera fortemente esercitare i propri diritti, le proprie libertà.

Ma se questo è clima perché le donne che vivono nei Paesi arabi non hanno organizzato eventi a sostegno della Marcia delle Donne?

E perché i media arabi non hanno dato rilevanza a quello che è avvenuto prima e tantomeno dopo il 21 gennaio scorso?

Forse le domande da farsi sono altre. Chiediamoci quando succederà che in questi Paesi le donne marceranno con affianco gli uomini per affermare i loro diritti. Oppure quando i diritti femminili diventeranno una vera e propria questione sociale?

Così come stanno le cose, si può dire che ci vorrà ancora del tempo. Ad oggi a poco serve che le giovani dei Paesi arabi vengano a contatto con i pensieri progressisti dell’universo femminista grazie ad Internet, se poi sono costrette a scontrarsi ogni giorno con l’autorità di uno Stato maschilista e patriarcale che irradia la sua ombra anche nei rapporti sociali e famigliari.

Così come non hanno ancora influenza i primi corsi sui Gender Studies avviati negli ultimi anni, necessari per creare terreni di confronto e di ricerca attraverso lo studio e l’analisi del femminismo del proprio Paese e quello degli altri.

La verità è che nel mondo arabo gli uomini e le donne sono stati gli uni accanto delle altre solo in specifici momenti storici

Durante le Primavere arabe, così come è avvenuto in passato le donne hanno rappresentato la forza propulsiva dei movimenti di rinnovamento che hanno auspicato la realizzazione di società democratiche, basate sullo stato di diritto per tutti, nessuno escluso.

Tuttavia sappiamo bene che a sei anni da quegli eventi, le cose sono cambiate molto lentamente. Così l’unica cosa da fare è quella di fermarci un attimo, riflettere e chiederci perché queste donne non abbiano colto l’occasione di scendere in piazza, gridare e manifestare insieme alle altre per un mondo che sia anche a loro misura.

Sicuramente è lecito chiederselo, pur non avendo una risposta immediata, ma non è giusto condannarle per non averlo fatto per due motivi.

Il primo perché non possiamo pensare che le istanze femminili occidentali vadano di pari passo con quelle del mondo arabo. Il secondo perché quanto si è verificato a Washington è il risultato di una storia lunga che appartiene solo ad una parte di femminismo, quello occidentale che non può e non deve rappresentare per forza di cose tutti gli altri.

Ad una settimana da quella che è stata considerata la trionfale marcia delle donne, non possiamo però non augurarci e non augurare alle donne nate e cresciute nel mondo arabo di entrare a fare parte un giorno, molto prossimo, di questo nuovo e dirompente movimento che è nato negli Usa, ma che si è allargato a macchia d’olio e che promette di essere solo all’inizio del suo percorso di lotta per i diritti di tutte le donne del pianeta.



Grafica di Liza Donovan, pagina Fb della Women’s March

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