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Avanti nel sostegno alla mobilitazione delle donne polacche

Avanti nel sostegno alla mobilitazione delle donne polacche

L'imponente mobilitazione polacca contro la recente sentenza della Corte Costituzionale, che stabilisce il divieto degli aborti terapeutici, richiede il pieno supporto da parte dei cittadini e delle istituzioni europee

Martedi, 03/11/2020 - Lo scorso 22 ottobre passerà alla storia polacca come una data importante, perché si configurerà quale un rilevante regresso nel cammino del riconoscimento dei diritti fondamentali in capo alle donne di quel Paese. La sentenza della Corte Costituzionale con lo stabilire l’illegittimità degli aborti terapeutici, in quanto contraddicente il passaggio della costituzione che invita alla protezione della vita di ogni individuo, costituisce indubbiamente il mezzo più efficace per imporre ad una donna di proseguire una gravidanza, pur nella consapevolezza che diverrà madre di un figlio affetto da gravi patologie. Tale pronunciamento giudiziario si configura sempre di più come una mera costrizione di maternità a chi, invece, è titolata a scegliere come e quando avvalersi di tale facoltà.
La via per arrivare alla obbligatoria prosecuzione di una gravidanza poteva essere anche imposta coattivamente, con una norma legislativa ad hoc. Già ci avevano provato nel 2016 le forze conservatrici alla guida della Polonia, ma allora le imponenti manifestazioni organizzate dalle donne avevano costretto i governanti a fare un passo indietro. La volontà di intervenire sulla legge che legalizzava nel Paese l’aborto, però, è sempre stata molto forte, soprattutto perché avallata dalle gerarchie ecclesiastiche, che rilevante influenza hanno sull’elettorato di riferimento dei partiti al governo.
Si è preferito così abbandonare la tattica di attaccare in maniera diretta la normativa che regolarizza l’aborto in Polonia, saltando il passaggio parlamentare, che anche nel 2018 non era andato a buon fine, per scegliere di consentire l’intervento della Corte Costituzionale. Più di cento parlamentari del PiS (Diritto e Giustizia), il partito di destra di ispirazione conservatrice clericale a guida della maggioranza governativa, hanno, difatti, formulato un preciso quesito all’organo giudiziario supremo, relativo ad un assunto costituzionalmente tutelato per il quale “la vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale ha lo stesso valore per Dio e dovrebbe essere ugualmente protetta dallo Stato”.
Prima di consentire l’intervento di tale istituzione, il PiS, con il suo leader politico Jarosław Kaczyński, con forzature procedurali ha provveduto alla nomina di giudici costituzionali molto fedeli ai principi ideologici del partito stesso. Un’operazione ben concertata, a cavallo delle due ultime legislature, ha determinato il terreno propizio per la pronuncia dello scorso 22 settembre, in piena linea con l’intento di disconoscere alle donne il diritto a decidere se divenire o no madri pur in presenza di gravi malformazioni del feto. Un oneroso vulnus in tema di diritti civili che, negli intenti dei suoi ideatori, valeva anche a consentire al partito di maggioranza relativa di recuperare posizioni nei confronti dell’alleato ultraconservatore Polonia solidale, per radicalizzare lo scontro all’interno della coalizione governativa.
Una contesa tra questi due partiti che per la seconda volta, nel giro di pochi mesi, è avvenuta avendo come vittime proprio le donne polacche. Difatti nello scorso luglio il ministro della Giustizia, Zbigniew Ziobro, aveva annunciato l’avvio dell’iter per consentire la fuoriuscita della Polonia dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica. Trascorsi appena tre mesi la replica del PiS a Polonia solidale è stata quella di attaccare la legge sull’aborto, restringendo gli ambiti in cui poterne usufruire. Difatti delle tre ipotesi in cui era consentito ora rimane solo l’interruzione prevista per avvenuto stupro e per pericolo in cui potrebbe incorrere la vita della donna.
Il corpo femminile, con i suoi bisogni e facoltà, diventa così lo strumento ideale per schierare truppe l’un contro l’altro armate, al sol fine di recuperare i consensi del proprio elettorato di riferimento. In mancanza di schieramenti ideologici in grado di confrontarsi dialetticamente, nel rispetto delle regole democratiche, le donne ed i loro diritti diventano strumenti per dividersi in raggruppamenti ideali da contrapporsi nell’agone politico. Solo che a questo uso improprio del genere femminile hanno detto no migliaia di persone, che stanno manifestando da giorni in Polonia, a dimostrazione che la maggioranza dei suoi abitanti è favorevole alla legge sull’aborto, chiedendone addirittura rilevanti modifiche, visto che di per sé è una delle peggiori in Europa, perché costringe oltre 100.000 donne a recarsi all’estero (Germania, Slovacchia ed altri paesi viciniori) per interrompere una gravidanza.
La mobilitazione a carattere nazionale si sta svolgendo in piena emergenza Covid, tant’è che alcuni esponenti del governo vorrebbero imporre sanzioni penali ai manifestanti, da loro accusati di propagare il contagio. Ma non è da escludere che la vera forzatura sia avvenuta proprio ad opera di chi ha deciso di fare pronunciare la Corte Costituzionale in questo particolare frangente di pandemia, fidando sulla circostanza che le persone fossero indotte a non scendere in piazza. Così, però, non è stato, a dimostrazione che sul tema della tutela dei diritti civili alta è la guardia. Le donne polacche, usate per meri fini di governabilità, non ci stanno e, come avevano richiesto nel luglio scorso l’intervento delle istituzioni europee a salvaguardia della Convenzione di Istanbul, così oggi avanzano legittimamente l’istanza di un supporto comunitario a sostegno del loro diritto ad una maternità consapevolmente libera da imposizioni legali.
L’Europa, dal suo canto, si può fare forte del bisogno che ha la Polonia dei finanziamenti comunitari, a lei necessari in questo periodo di rilevante recessione economica che mette a rischio quindici anni di conquiste sul piano strutturale e sociale del Paese. Già in occasione dell’ ”assalto” alla Corte suprema da parte del governo, la UE aveva formalmente richiesto il ripristino di un pieno equilibrio tra il potere esecutivo e giudiziario, come condizione per potere accedere all’assegnazione dei fondi previsti dal Recovery Fund. Il leader del PiS, Kaczyński attuale vicepremier, aveva immediatamente risposto a muso duro “Se le minacce e le intimidazioni continueranno, difenderemo in maniera risoluta l’interesse vitale della Polonia”. Oggi, di fronte ad una protesta così imponente sul divieto di aborto terapeutico, quello stesso “interesse vitale della Polonia” sembra sfuggire di mano a Kaczyński e a quanti come lui pensavano di potere calpestare impunemente i diritti riproduttivi delle donne polacche.
Il presidente della Repubblica, Andrzej Duda, esponente del PiS, ha tentato una mediazione proponendo un progetto di legge che normi come la sentenza si applichi ai soli casi in cui il feto è destinato a non sopravvivere, ma i manifestanti non sono disposti ad accattare questo compromesso al ribasso. Il leader del PiS, dal suo canto, è sempre più determinato a radicalizzare lo scontro, chiamando i suoi sostenitori alla mobilitazione “in difesa della Chiesa, di ciò che oggi è sotto attacco da parte di forze che, se trionfassero, porterebbero alla fine della Polonia”. Non sembra proprio comprendere che, secondo recenti sondaggi, gli abitanti di questo Paese sono per il 70% contrari all’ incriminata sentenza della Corte Costituzionale. Una ostilità che ha consentito alle donne polacche ideatrici dell’attuale protesta di avere al fianco larghi settori della società civile. Venerdì scorso oltre 100.000 persone hanno manifestato per le strade di Varsavia, come in altri città, trasformando la protesta del 2016, allora definita Czarny Protest (Protesta in nero) nell’attuale Strajk Kobiet (Sciopero delle Donne).
Una protesta che, ben strutturata, si snoda in più momenti: blocchi stradali, sit-in davanti alle chiese, proteste in piazza, marce davanti ai palazzi del potere. Una protesta, che sta debordando dai propri confini, per arrivare a chiedere uno Stato veramente laico. Una protesta, che potrebbe divenire, però, alquanto radicale per mere forzature politiche. Contro tale rischio, cioè contro la possibilità che non si pervenga all’obiettivo prefissosi del pieno riconoscimento del diritto all’aborto in Polonia, le donne dovrebbero esercitare tutta la propria forza e determinazione, rendendo politicamente proficuo quello che è il grido di punta di ogni manifestazione, ossia “Penso, sento, decido”, con il correlato hashtag #Womens’Hell (#PieKloKobiet). Consapevoli che dalla propria parte c’è l’Europa, come ha dimostrato la recente presa di posizione della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, “Fare marcia indietro” sui diritti delle donne “non è un’opzione per un continente come l’Europa che ”vuole conquistare il futuro”…”Dobbiamo spingere in avanti, non arretrare”. Quindi, adelante, nel sostegno allo Strajk Kobiet (Sciopero delle donne) in Polonia!


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