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A proposito della rimozione di un mega cartellone liberticida

A proposito della rimozione di un mega cartellone liberticida

Imposto all'associazione ProVita di rimuovere un gigantesco cartellone che criminalizzava le donne

Lunedi, 16/04/2018 - La vicenda della rimozione a Roma del mega cartellone dell’associazione ProVita, raffigurante un feto di undici settimane parlante alla madre che poi l’avrebbe partorito, ha innescato una precipua discussione con il fronte di chi ha definito tale manifesto fortemente lesivo della libertà delle donne di scegliere una maternità libera e consapevole. In un periodo storico, connotato a livello mondiale da un costante e continuo attacco ai diritti riproduttivi e sessuali femminili, si è così avuta l’occasione di dibattere di tali temi al di là delle occasioni a carattere scientifico. Sono scese in campo le due fazioni, pro e contro l’interruzione volontaria di gravidanza sancita dalla legge 194, ma si è forzatamente spostata la discussione sulla liceità di esprimere le proprie posizioni ideali sull’argomento.
Forzatamente, perché la rimozione del mega cartellone si è artatamente fatta passare come un attacco al diritto degli antiabortisti di esprimere le loro tesi, ammantandole delle correlate opzioni scientifiche di parte. Invece, il vizio di illegittimità del manifesto constava nella criminalizzazione delle donne che decidono, nei termini di legge, d’interrompere una gravidanza per proprie motivazioni. Quel “E ora sei qui perché tua mamma non ti ha abortito”, riferito al feto di undici settimane di cui si esplicitavano secondo l’associazione ProVita le caratteristiche vitali, come altrimenti potrebbe essere inteso se non come una vergogna, un’onta, una colpa per chi quel feto così raffigurato non l’avrebbe fatto nascere?
La scelta cosciente della maternità si configura come un diritto sancito dalla 194 che, nei limiti e con le modalità ivi previste, consente ad una donna di richiedere la prestazione sanitaria consistente in un’ivg. Prima del 1978, nel vuoto normativo, un aborto volontario costituiva un crimine e le donne chi vi ricorrevano ne rispondevano penalmente, così come chi lo praticava. In questi quaranta anni il diritto a vedersi riconosciuta tale assistenza è stato eroso nella pratica dalle alte, anzi altissime, percentuali di medici obiettori di coscienza, facoltà consentita dalla stessa legge. Obiezione che si è voluto estendere forzatamente anche ai farmacisti all’atto di richiedere la contraccezione d’emergenza, quando invece il diniego si connota come interruzione di pubblico servizio, in quanto non si tratta di farmaci abortivi ma di specifici contraccettivi che ritardano o inibiscono l’ovulazione.
Si usa dire che i diritti, una volta conquistati, si difendono ed in tutti questi anni strenuo e faticoso è diventato l’impegno a vedersi riconosciuta nella prassi la possibilità dell’aborto volontario rientrante, quale prestazione sanitaria, nei Livelli essenziali d’assistenza. Che ancora oggi si deneghi la liceità di tale scelta in capo alla donna, facendola apparire invece una criminale, così come nel mega cartellone affisso a Roma, è un ulteriore ritorno al tempo in cui non esisteva una legge dello Stato che riconoscesse tale libertà. E’, conseguentemente, fuorviante ritenere leso il diritto di libertà d’espressione degli antiabortisti, perché tale facoltà si ferma davanti alla palese diffamazione della donna che invece sceglie di interrompere legalmente una gravidanza come consentitole dalla 194. Tant’è che il gigantesco manifesto dell’associazione ProVita è stato rimosso perché: “in contrasto con le prescrizioni previste al comma 2 dell’art. 12 bis del Regolamento in materia di Pubbliche affissioni di Roma Capitale, che vieta espressamente esposizioni pubblicitarie dal contenuto lesivo del rispetto di diritti e libertà individuali”.
D’altronde la conferenza stampa indetta solo pochi giorni fa dalla stessa associazione al Senato, con relatori istituzionali quali i parlamentari della Lega e di Fratelli d’Italia, non fa altro che confermare l’atteggiamento volto ad opporsi alla suindicata legge, reale obiettivo delle campagne ostruzionistiche messe in campo, richiedendone esplicitamente “un tagliando”. Ossia, l’impegno da parte dello Stato ad informare delle negative conseguenze psicofisiche che un aborto comporta per la donna che intende ricorrervi. Difatti, in quella sede istituzionale, è stata presentata una petizione su cui da tempo la suindicata associazione sta raccogliendo adesioni, “perché è fondamentale chele madri conoscano i pericoli che corrono anche loro stesse… e per salvare anche la vita del loro bambino”.
Gli antiabortisti ancora una volta dimostrano il loro diniego a riconoscere consapevolezza a chi sceglie di interrompere una gravidanza, nonché si connotano per la loro incapacità di stare al passo con i tempi. L’utilizzo della contraccezione d’emergenza ha comportato una rilevante diminuzione del tasso di abortività in Italia, come attestato dalle recenti Relazioni del Ministero della salute, per non parlare del fenomeno sfuggente ad una puntuale e precisa disamina e relativo all’acquisto in rete di farmaci che inducono all’aborto. Risulta, quindi, evidente che il mega cartellone affisso a Roma, come la petizione presentata nella sede istituzionale del Senato, con tanto di avallo da parte dei parlamentari della destra, faccia parte di una specifica strategia, volta sia a depotenziare la normativa attualmente in vigore, sia a minare alla base la liceità della facoltà di non vedersi imposta per legge una gravidanza. Un diritto di libertà, di scelta personale di vita, che non può essere posto sullo stesso piano della possibilità di esprimere il proprio pensiero sull’argomento.
Non si è di conseguenza attentato a tale diritto con la rimozione del mega cartellone, perché dietro quella campagna promozionale c’è chi disconosce alla donna la facoltà di decidere come e quando diventare madre. Tant’è che il sen. Pillon, tra i relatori al convegno in Senato, durante un’intervista radiofonica registrata il giorno prima, ha avuto modo di ribadire che: “Il vero diritto della donna è quello di crescere il figlio che porta in grembo non quello di abortirlo”. Verrebbe da chiedergli se si tratti di un diritto o di un obbligo perché, se la risposta fosse per la seconda opzione, sarebbe da specificargli che i diritti di libertà riconosciuti come tali non possono mai essere confutati da particolari ideologie. Ideologie che si connotano per la sacralità della vita, ma che poi non tengono nella debita considerazione quella effettivamente vissuta dalle persone. Rispettando la capacità di comprendere il valore delle scelte che compiono, come nel caso della donna che decide coscientemente di non diventare madre.

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