A Torino, come a Salerno, i processi hanno attestato decisioni ingiuste per le sopravvissute alla violenza sessuata
Sabato, 25/02/2017 - Le recenti pubblicazioni relative a procedimenti giudiziari, aventi ad oggetto vicende di violenza di genere, sono accomunate da un dato inconfutabile, quale l’incapacità delle istituzioni preposte di rispondere alla fame di giustizia delle donne che ad esse si rivolgono. A leggere pochi giorni fa il caso di Filomena Lamberti, la prima vittima dell’acido muriatico nel nostro Paese, si legge di un marito condannato nel 2012 a soli 18 mesi di detenzione, perché “la giustizia italiana considerò più deplorevole la condotta di maltrattamenti in famiglia piuttosto che quella di lesioni gravi”. Il viso completamente deturpato della donna indusse la Procura della Repubblica di Salerno a tentare di rimediare, ma la Cassazione ha confermato che la condanna è giusta in base al reato contestato, ossia i maltrattamenti familiari. Nonostante che si senta oltraggiata da questa pena così irrisoria, tant’è che ripete spesso” non c’è stata giustizia per me”, Filomena continua ad impegnarsi nel cercare ancora il giusto ristoro per i torti subiti e per i dolori innumerevoli che ha dovuto sopportare dal 2012. Nella solitudine di chi sa di “non avere le spalle forti”, come usa spesso ribadire, si è dedicata a divulgare il suo dramma personale perché diventi esperienza collettiva di contrasto alla violenza di genere.
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