Esortazione ai governi 'a garantire un accesso equo e universale ai servizi d’interruzione di gravidanza'
Giovedi, 06/11/2025 -
Riceviamo e pubblichiamo
Europa, Amnesty International: “Le barriere esistenti all’accesso all’aborto sono aggravate da allarmanti tentativi di fare passi indietro sui diritti riproduttivi”
Amnesty International ha pubblicato un rapporto che esorta i governi europei ad agire per garantire un accesso equo e universale ai servizi d’interruzione di gravidanza, a fronte delle restrizioni ancora in vigore e ai crescenti tentativi di limitarne ulteriormente tale accesso in tutta Europa.
Il rapporto, intitolato “Quando i diritti non sono reali per tutte e tutti: la lotta per l’accesso all’aborto in Europa”, mette in luce come – nonostante i progressi ottenuti grazie ad anni di mobilitazioni – persistano ostacoli pericolosi e dannosi che continuano a compromettere l’accesso alle cure abortive. Tutto ciò avviene in un contesto in cui gruppi anti-diritti umani, sempre più organizzati e finanziati, intensificano i propri sforzi per influenzare negativamente politiche e leggi, spesso diffondendo paura e disinformazione, con l’obiettivo di limitare ulteriormente l’accesso all’aborto.
“La dura realtà è che, nonostante i significativi progressi fatti in Europa, l’accesso all’aborto resta ostacolato da un preoccupante insieme di barriere visibili e invisibili”, ha dichiarato Monica Costa Riba, responsabile delle campagne per i diritti delle donne di Amnesty International.
“Le conquiste ottenute a caro prezzo in materia di diritti riproduttivi rischiano seriamente di essere annullate da un’ondata di politiche regressive, promosse dal movimento anti-gender e sostenute da politici populisti che adottano pratiche autoritarie”, ha aggiunto Monica Costa Riba.
Sebbene in molti paesi europei – con alcune eccezioni significative – le riforme legislative abbiano reso l’aborto più accessibile, numerosi ostacoli di tipo amministrativo, sociale e pratico continuano a impedirne un accesso universale. Tra questi figurano requisiti medici non giustificati, obiezioni di coscienza, carenza di personale formato, limiti temporali relativi al periodo di gestazione e costi elevati.
Le persone appartenenti a comunità marginalizzate, tra cui persone a basso reddito, adolescenti, persone con disabilità, persone Lgbtqia+, sex worker, richiedenti asilo o con status migratorio precario, vengono colpite in modo sproporzionato da questi ostacoli.
Queste barriere, sommate a vari livelli di criminalizzazione, generano ulteriore stigmatizzazione, ritardando o addirittura impedendo l’accesso a cure essenziali. Almeno 20 stati europei impongono sanzioni penali contro le persone in gravidanza che ricorrono all’aborto al di fuori dei limiti previsti dalla legge.
Ostacoli all’aborto
Oltre ai limiti gestazionali e alla criminalizzazione, esistono diversi altri ostacoli che rendono difficile accedere all’aborto.
Il costo dell’aborto può essere proibitivo, in particolare negli stati in cui l’interruzione di gravidanza su richiesta (ossia, quando è la persona in gravidanza a prendere la decisione) non è coperta dall’assicurazione sanitaria o dal sistema sanitario nazionale. È il caso, tra gli altri, di Austria, Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Cipro, Croazia, Germania, Kossovo, Lettonia, Macedonia del Nord, Montenegro, Repubblica Ceca, Romania e Serbia.
Diversi stati non adempiono ai propri obblighi di garantire l’accesso all’assistenza per l’aborto nei contesti in cui si registrano alti tassi di obiezione di coscienza, che comportano ritardi o a veri e propri dinieghi. In stati come Italia e Croazia tali ostacoli sono molto diffusi, in Romania sono in aumento. In questi casi, le autorità non stanno adottando le misure necessarie, previste dal diritto internazionale, per attenuare le conseguenze di tali tassi elevati di obiezione e garantire l’accesso ai servizi abortivi a chi ne ha bisogno.
“In Italia, l’obiezione di coscienza rappresenta un ostacolo al diritto alla salute per molte persone. Ci sono regioni in cui il numero dei medici obiettori supera l’80 per cento del personale sanitario a disposizione, costringendo le donne a spostarsi in altre regioni per ottenere una interruzione di gravidanza. In questo modo l’interruzione di gravidanza è vista come un privilegio e non come un diritto umano e questo è un grande problema”, ha dichiarato Tina Marinari dell’Ufficio campagne di Amnesty International Italia.
Almeno 12 stati europei continuano a imporre periodi di attesa obbligatori, non giustificati dal punto di vista medico, prima di poter accedere legalmente all’aborto, mentre 13 prevedono anche colloqui di consulenza obbligatori. Albania, Belgio, Germania, Lettonia, Portogallo e Ungheria impongono entrambi i requisiti. In Ungheria una persona che richiede un aborto è costretta ad ascoltare il battito cardiaco del feto. In Turchia le donne sposate di età superiore ai 18 anni devono per legge ottenere il consenso del coniuge per interrompere la gravidanza entro il limite di 10 settimane.
Ogni anno migliaia di persone in gravidanza sono costrette a viaggiare all’estero per ricevere le cure di cui hanno bisogno a causa delle difficoltà di accesso ai servizi di aborto nei propri stati.
Tentativi di ridurre l’accesso all’aborto
In tutta Europa, i tentativi di ridurre l’accesso all’aborto sono guidati da un movimento anti-gender transnazionale e ben finanziato, composto da gruppi e istituzioni conservatrici e religiose, think-tank, organizzazioni della società civile e influencer.
In Croazia, l’influenza di politici anti-diritti all’interno del governo, unita a una crescente alleanza tra movimenti antiabortisti e chiesa cattolica, ha portato a ripetuti tentativi di imporre ulteriori barriere all’accesso all’aborto. Nel parlamento della Slovacchia si stanno moltiplicando i tentativi di restringere o vietare l’aborto e le modifiche costituzionali approvate nel settembre 2025 ridurranno significativamente i diritti riproduttivi.
L’Ungheria ha introdotto nuove barriere all’accesso all’aborto, alla contraccezione e alla pianificazione familiare, mentre in Italia il partito di governo ha promosso iniziative legislative per consentire ai gruppi antiabortisti e a coloro che “sostengono la maternità” di accedere ai centri di consulenza obbligatoria per chi richiede un aborto legale. In questi casi le autorità hanno giustificato tali misure con argomenti quali il basso tasso di natalità oppure una retorica falsa e razzista sulle persone migranti che “sostituirebbero” la popolazione bianca “autoctona”.
Proteste antiabortiste aggressive, talvolta violente, e picchetti davanti a centri per la salute sessuale e riproduttiva rappresentano un ostacolo crescente. In Polonia un centro per l’aborto aperto a Varsavia nel marzo 2025 è stato al centro di regolari episodi di intimidazione da parte di gruppi che protestavano davanti all’edificio. In Austria, coloro che forniscono cure abortive subiscono intimidazioni anche davanti alle loro cliniche, mentre centri di pianificazione familiare in Francia e centri di consulenza obbligatoria in Germania sono stati attaccati da gruppi contrari ai diritti.
“L’aborto è un servizio di assistenza sanitaria essenziale e un diritto umano”, ha dichiarato Monica Costa Riba. “I governi e le istituzioni europee devono agire con decisione per adeguare la fornitura dei servizi di aborto agli standard internazionali, decriminalizzando l’aborto, eliminando le barriere esistenti e opponendosi con fermezza a qualsiasi tentativo dei gruppi contrari ai diritti umani di ostacolare pericolosamente l’accesso a cure abortive sicure e tempestive, mettendo così a rischio la vita e la salute delle persone”.
Ulteriori informazioni
Il rapporto ha analizzato 40 stati e si è basato sulle ricerche condotte da Amnesty International nell’ultimo decennio, nonché su dati provenienti da fonti affidabili, tra cui la pubblicazione “Europe Abortion Laws 2025” del Centro per i diritti riproduttivi, lo European Abortion policy Atlas del Forum parlamentare europeo per i diritti sessuali e riproduttivi e la Banca dati mondiale sulle politiche sull’aborto dell’Organizzazione mondiale della sanità.
Il rapporto si è inoltre avvalso delle testimonianze di 11 attiviste e attivisti per i diritti all’aborto e di organizzazioni per la salute e i diritti sessuali e riproduttivi, attraverso interviste condotte tra maggio e settembre 2025.
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