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Al riguardo di Signal For Help

Al riguardo di Signal For Help

La campagna canadese contro le violenze familiari in Italia rischia di alimentare la disinformazione su un tema delicato che richiede competenze e consapevolezze

Martedi, 23/03/2021 - La scorsa settimana mi sono pervenuti vari messaggi privati relativi alla richiesta di divulgazione del video Signal For Help, ossia quel gesto che consiste nel mostrare la mano con il pollice rivolto verso il palmo, per poi chiudere le dita a pugno. Un gesto che dovrebbe costituire un’implicita richiesta d’aiuto contro i soprusi di un uomo abusante, una sorta di segnale convenuto da poter fare, cosi ché chi veda questo gesto si rivolga al numero anti-violenza 1522 oppure il 112 o il 113.
Di primo acchito mi è venuta in mente Mascherina 1522, ossia la ingannabile campagna mediatica che l’anno passato aveva indotto a pensare che i farmacisti, al sentire questa formula, fossero in grado di aiutare una vittima di violenza di genere.
Ingannabile, perché i titolari di farmacie, nonché i propri aiutanti, non potevano farsi carico di allertare le forze dell’ordine, tant'è che il battage mediatico si concluse con l’esposizione all'interno dei negozi di qualche locandina divulgativa del servizio 1522 o al più, come avviene in questi giorni, con l’indicazione del numero nazionale antiviolenza sugli scontrini di pagamento.
Mi sono messa in allerta e, approfondendo l’argomento “Signal For Help”, ho deciso di non divulgare il video, come anche di chiedere di non diffonderlo. Certo, comprendo che l’imponente tam-tam sia un modo per fare proprio il tema del contrasto alla violenza maschile sulle donne, così che essa non sia solo una vicenda privata, ma assuma i connotati di una questione a carattere pubblico e, quindi, politico, con il conseguente impegno individuale a debellarla. Nel caso di Signal For Help l’impegno sarebbe consistito nel divulgarne il video, a mo’ di personale contributo contro questa emergenza sociale. Questo, però, è il solo aspetto positivo che riscontro, ossia l’individuale presa in carico del problema, perché per il resto mi dico contraria ad una mia partecipazione a suddetta campagna. Anzi, invito a non parteciparvi, nel presupposto fondamentale che possa ingenerare vane illusioni.
Vorrei argomentare questa mia posizione ideale, ricorrendo a chi è più esperta di me in tema di antiviolenza, utilizzando all'uopo le parole di Luisanna Porcu, psicologa-psicoterapeuta femminista alla guida del Centro Antiviolenza Onda Rosa di Nuoro e segretaria dell’associazione nazionale D.i.Re - Donne in Rete contro la violenza-: “Ritengo poco funzionale tutto ciò che non ha un protocollo operativo dietro. Ti faccio un esempio banale; ma se vuoi possiamo anche fare la prova in reale. Secondo te, tu che chiami il 1522 cosa ricevi? Te lo dico io: signora da dove chiama? Proviamo a metterla in contatto con il Centro più vicino a lei. Passano minuti. Ti risponde il centro locale: tu affermi sono stata spettatrice del gesto “help me”. Risposta: non siamo le forze dell’ordine, chiami il 113/112. Tu chiami il 113. Cosa dici? Che una donna ha fatto questo gesto? Poniamo che arrivino. Nel frattempo la donna che è chiaramente con il maltrattante si è magari spostata, cosa fanno? Oppure la donna è ancora lì, la situazione è apparentemente tranquilla altrimenti non avrebbe fatto quel gesto, cosa fanno? Supponiamo che tu indichi la donna e che lei poi per paura neghi, quando rientrano a casa cosa accade? Supponiamo che non neghi, non c’è la flagranza di reato, la donna viene invitata a denunciare. Poi? Dove va? Cosa fa? I bambini? Credo che queste azioni estemporanee aiutino più chi le pensa, dividendo il mondo così tra buoni e cattivi ma non rappresenti alcun tipo di sostegno reale. Anzi”.
La campagna Signal For Help è nata il 14 aprile 2020 in Canada, lanciata per la precisione dalla Canadian Women's Foundation, nel momento apicale dell’emergenza pandemica. Era intesa come risposta al crescente uso di videoconferenze e chat durante l'autoisolamento, ha affermato Andrea Gunraj, la vice presidente della fondazione. "Questo è un segnale progettato per aiutare a fornire a qualcuno uno strumento che può utilizzare silenziosamente e senza lasciare una traccia digitale, indicando che ha bisogno di aiuto…. Se vedi il segno del pollice nascosto durante una videochiamata, contatta discretamente la persona. Fai domande sì o no durante una telefonata o contattaci con altri mezzi offrendo il tuo supporto…..Non esiste una soluzione valida per tutti a questo problema, perché le situazioni di violenza possono essere davvero diverse da un luogo all'altro, di casa in casa, da una comunità all'altra…Ci sono tutti i tipi di strumenti che potrebbero funzionare. Quindi la cosa più importante è lasciare che la persona, che ti sta contattando per chiedere aiuto, ti guidi e ti dica, non dirgli cosa fare”.
Yvonne Harding, responsabile dello sviluppo delle risorse dell'Assaulted Women’s Helpline, al proposito della campagna Signal For Help, precisò all’epoca "Suggerisce alle vittime di abuso di sviluppare parole in codice e segnali con un 'gruppo piccolo e intimo' di persone che conoscono i loro bisogni e sono vicine, invece di fare affidamento su persone sui social media che potrebbero non essere familiari e lontane”.
In Italia questa campagna ha incominciato a divulgarsi a metà di questo mese, divenendo virale grazie ad un video. Ideatrice ne è stata Giuditta Pasotto, fondatrice dell’associazione per genitori single Gengle.”Questo semplice gesto silenzioso può salvare una vita e vi prego di diffonderlo, di impararlo e provare a riconoscerlo – dice nel video - In giro per il mondo a causa del lockdown ci sono tanti casi di violenza domestica e dal Canada partita questa iniziativa molto lodevole, io come Giuditta Pasotto mi voglio fare portavoce di questo segnale in Italia, il gesto è molto semplice, è un piccolo gesto che deve essere conosciuto e si dovrà creare un protocollo per insegnare alle persone che vedono questo gesto a sapere cosa fare, la prima cosa da fare è chiamare il numero anti violenza 1522 o avvisare le autorità”. Concludendo: “Vi prego di dare la massima diffusione di questo video così da poter dare modo a chiunque di vederlo o chiedere aiuto”.
Come si può capire, il senso originario della campagna ne uscirebbe snaturato, dal momento che si estendono le ipotesi di utilizzo del segnale eventualmente anche all’esterno, mentre in Canada Signal For Help riguarderebbe solo ipotesi di persone che si conoscano più o meno direttamente, visto che si parla di segnalazioni che dovrebbero avvenire durante le videoconferenze o con un "gruppo piccolo e intimo" di persone che si conoscono. Strano che in Italia non si sia data rilevanza a questa caratteristica precipua della campagna, che invece, a mio parere, ha travalicato i suoi confini primordiali, creando ipotesi esemplificative sbagliate ed ingenerando false aspettative. Simona Lanzoni, la vicepresidente della fondazione Pangea, commentando il segnale, ci ha tenuto a precisare: "No all'improvvisazione, iniziative estemporanee possono diventare un boomerang…. Dovrebbero esserci risposte concrete, specializzate, da parte di tutti gli attori in causa come le forze di polizia, la procura, la magistratura, i servizi sociali, le avvocate e gli avvocati specializzati sulla violenza e, naturalmente, i centri antiviolenza e le case rifugio”.
Mi ripeto, la divulgazione virale del video in oggetto, ha avuto il merito di accendere i cuori sul tema del contrasto alla violenza di genere, provocando un moto spontaneo di consenso su Signal For Help. Ma il rilevante demerito di causare speranze sbagliate, visto che poi che la realtà dei fatti è ben diversa in Italia. “Non è che uno ti rapisce per strada mentre tu cammini nella folla, fai questo gesto con la mano e qualche sconosciuto ti salva”, come ben rimarca Oria Gargano, presidente di BeFree cooperativa sociale contro tratta, violenze, discriminazioni. Oltre la situazione di emergenza, che potrebbe essere rappresentata da quel segnale convenzionale di aiuto, occorre ben altro, ossia una presa in carico della donna abusata ad opera di personale specializzato per avviare un suo reale e consapevole percorso di fuoriuscita dalla violenza domestica o familiare. E, comunque, rimane il fatto che la campagna virale di Signal For Help, così come si è sviluppata nel nostro Paese, a mio parere, ha snaturato il senso di quella canadese, avviata dalla Canadian Women's Foundation come particolare richiesta di aiuto contro le violenze familiari effettuata in occasione di videoconferenze e chat, svoltesi l’anno scorso in un periodo di piena emergenza sanitaria.

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