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AMMPE / Dare voce alle donne di Gaza per raccontare la loro guerra invisibile

AMMPE / Dare voce alle donne di Gaza per raccontare la loro guerra invisibile

Promosso dall’Associazione mondiale di giornaliste e scrittrici, un incontro porta alla luce le condizioni particolari delle donne nella tragica guerra palestinese e si lanciano alcune proposte di pace

Domenica, 16/11/2025 - Denunciare il silenzio mediatico sulle condizioni drammatiche specifiche vissute dalle donne all’interno del dramma più complessivo vissuto dalle persone nella tragedia della guerra a Gaza è stato l’obiettivo dell’iniziativa promossa dall’AMMPE Italia, sede italiana dell’Associazione delle giornaliste e scrittrici AMMPE mondiale, organizzazione nata nel 1969 a Città del Messico. Oggi questa rete opera in venti paesi, come ha ricordato in apertura la vicepresidente Patricia Mayorga, e ogni due anni organizza un’assemblea che ha al centro temi e questioni di attualità, come l’ambiente, il futuro digitale, la pace, ecc. “In un mondo globalizzato - sottolinea - bisogna muoversi come donne in una dimensione globale”.
Nell’incontro tenuto nella Sala Stampa della Camera, dopo i saluti istituzionali dell’ on. Andrea De Maria e della vicepresidente della Camera on. Anna Ascani, si sono susseguiti alcuni interventi organizzati ciascuno attorno ad una parola conduttrice.
L’intervento della Presidente dell’AMMPE Italia Alba Kepi - che è stato letto perché impossibilitata a partecipare di persona - parte dalla parola MEDIA e denuncia la disattenzione sistematica da parte dei media della specifica e reale condizione delle donne in situazioni di guerra e conflitti.”Senza parlare dei problemi vissuti dalle donne e senza la loro voce non c’è completezza né verità sull’informazione e la narrazione delle guerre. Le donne vivono le conseguenze della guerra prima di tutto sui loro corpi: la mancanza di assorbenti e di acqua sono drammi personali che espongono le donne a problemi sanitari e sociali umilianti. Il ruolo centrale svolto normalmente dalle donne nella vita della famiglia è diventato un dramma doppio nella guerra e nelle stragi che avvengono a Gaza: la perdita di figli e compagni accanto al dolore portano povertà e solitudine ulteriore. In particolari le giovani donne vivono non solo sono esposte alle bombe e al pericolo di morte ma anche al rischio di violenze e stupri. Ma le donne non sono solo vittime - conclude Alba Kepi - ma spesso sono protagoniste di una presenza solidale e di azioni umanitarie, specie nel campo sociale e nella cura dell’infanzia.
Paola Donnini, sceglie la parola MADRE per evidenziare la convivenza drammatica delle madri con la morte. Non ci sono solo migliaia di figli e mariti morti da piangere ma anche quelli che ancora sono rimasti sotto le macerie senza neppure sepoltura. Madri costrette a separarsi da figli alla ricerca di maggiore sicurezza per loro. Nelle fughe e nei ricoveri improvvisati sono le donne che stanno dietro alla sopravvivenza fisica contro fame e malnutrizione ma anche per per cercare di mantenere un minimo di cura per i bambini terrorizzati dalle bombe e le bambine, verso le quali in particolare occorre vegliare contro i pericoli di violenze. Sono centinaia le donne -continua la Donini - a partorire senza acqua e nel caso di parti cesarei senza anestesia.
Paola Milli, che ha scelto la parola ABUSI, si concentra sulle denuncie sempre più numerose e tenute nascoste sulle violenze subite dalle donne prigioniere nei carceri israeliani, violenze fisiche a psicologiche contro donne imprigionate quasi sempre senza una precisa accusa. Facendo anche riferimento a documenti e indagini dell’ONU parla di 112 casi di donne anche minori, che hanno subito maltrattamenti e violenze anche di tipo collettivo. Minacce e abusi anche sessuali avvengono di notte anche nei posti di blocco quando le donne rientrano nelle loro case.
Raffaella Pergamo ha scelto ECOCIDIO, una parola sempre più utilizzata per raccontare modi indiretti di cancellare comunità etniche in zone di guerra o di stragi di civili. “Ecocidio significa distruzione volontaria e finalizzata dell’ambiente per colpire i civili. Una pratica che è stata inserita tra i crimini di guerra dalla Corte Internazionale a seguito di quanto avveniva nel guerra del Vietnam con il napalm largamento utilizzato contro campi e foreste. E tanti - prosegue la Pergamo - sono a Gaza ma anche in Cisgiordania i modi con cui si colpiscono i civili : tagliando le fonti fondamentali di vita di famiglie, gruppi. Innanzitutto a cominciare dalla risorsa acqua . A fronte degli 80 litri al giorno a persona di cui potevano godere le famiglia a Gaza oggi sono solo 6 i litri di acqua disponibili a persona e spesso non potabile e malsana per tutti gli usi. Le donne sono colpite per la loro indispensabile igiene intima e spesso si sacrificano per dare acqua ai loro familiari. Ancora più crudele è la distruzione avvenuta a Gaza e in Cisgiordania della fonte alimentare fondamentale , l’agricoltura e l’allevamento. Distruggere la terra è distruggere le comunità, le famiglie, la storia di popolazioni insediate da tanti anni”.
Marzia Giglioli sceglie la parola CONNESSIONI e affronta un grande problema che riguarda non solo la Palestina ma la situazione gravissima dei tanti conflitti che colpiscono il mondo: l’importanza del ruolo che le donne in tante parti del mondo potrebbero svolgere nei processi di mediazione per costruire percorsi di pace. Invece la presenza di donne nei tavoli che lavorano per creare le condizione di fare finire le guerre e arrivare alla pace sono poche anche per processi atavici culturali delle società patriarcali. Conclude il suo intervento con una testimonianza che ha colpito profondamente tutti i presenti . Racconta che qualche giorno prima dell’attacco criminale del 7 ottobre un gruppo di attiviste palestinesi e israeliane si era riunito per esprimere il bisogno di costruire cammini di pace tra i due popoli. Dopo quattro giorni alcune di queste attiviste israeliane sono state trucidate da Hamas. Un esempio di leadership femminile di grande coraggio purtroppo colpito in un momento che poteva dare frutti e sommerso da ondate di odio e morte.
Ma richiamandosi proprio dal ruolo importante che le donne possono svolgere nei processi di pace Patricia Mayorga ha concluso l’evento leggendo un Appello di AMMPE ITALIA indirizzato alle Istituzioni dell’Italia, Paese fondatore dell’Europa e firmatario delle convenzioni internazionali sui diritti umani italiane. Nell’appello si indicano alcune linee di intervento: 1) inserire la prospettiva femminile nei processi di pace coinvolgendo donne mediatrici, diplomatiche, esperte di diritti umani e operatrici civili. Le donne di Gaza devono potere essere protagoniste nel futuro politico e sociale della loro terra; 2) sostenere la piena assistenza umanitaria alle donne e ai bambini di Gaza, garantendo corridoi sicuri, accesso agli ospedali, ai beni di prima necessità e al supporto psicologico; 3) difendere la libertà di parola e la sicurezza delle giornaliste palestinesi che ogni giorno rischiano la vita per raccontare ciò che accade; 4) concretizzare la Risoluzione ONU 1325 “Donne, Pace e Sicurezza” trasformando i principi in azioni concrete. L’appello chiude così: Loro non chiedono pietà ma giustizia, dignità ,futuro, che il mondo le veda e le ascolti. 

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