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Anna Kuliscioff socialista internazionale in Italia

Anna Kuliscioff socialista internazionale in Italia

L'intervento in occasione del convegno di Roma (Senato, Celebrazione di Anna Kuliscioff, 24 novembre 2025)

Venerdi, 05/12/2025 - Il ricordo di Anna Kuliscioff nel centenario della sua morte alla Sala Zuccari, Senato della Repubblica, il 24 novembre scorso, non è solo un atto formale di rispetto della ricorrenza, ma direi dovuto, per la qualità della sua presenza nella vita politica italiana.
Originariamente la Kuliscioff nasce come Anja Moiseevna Rozenstejn nel 1854 secondo il calendario ortodosso in un borgo vicino Odessa, all’epoca provincia di Cherson dell’impero russo, oggi drammaticamente Ucraina. È la prima dei tre figli di Rosalia Karpacevskj e Moisej, un’agiata famiglia commerciante dell’alta borghesia ebraica, convertita all’ortodossia. Il centenario si riferisce alla sua scomparsa, avvenuta nel 1925 a Milano, in un tetro funerale disturbato dai fascisti che calpestano perfino i fiori. Del resto, Anna è una nemica temibile del nuovo governo prossimo a varare le cosiddette leggi fascistissime, contro libertà di pensiero, parola, stampa e associazione, perché come Giacomo Matteotti, ne aveva capito la pericolosità. La Kuliscioff appartiene ad una generazione successiva rispetto alle patriote risorgimentali che in Italia lottarono per l’indipendenza di un paese che non era il loro luogo di nascita, come Jessie White Mario, Janet Crawford Saffi o Margaret Fuller Ossoli; ma ancora più straniera, se così si può dire, perché viene dalla lontana e sconosciuta Russia; la stagione politica che vive è per di più completamente diversa rispetto alla precedente per l’urgenza della questione sociale e degli sviluppi teorico-pratici della sinistra del tempo, in particolare le correnti di pensiero socialiste: umanitario, operaista, sindacalista, riformista, rivoluzionario; la Kuliscioff, rispetto all’arcipelago delle associazioni borghesi di fine secolo e inizio ‘900 caratterizzate da uno schieramento trans ideologico, conserva con il movimento femminile socialista altri riferimenti, di matrice spesso internazionale: marxista, operaista, anarchica. Anna Kuliscioff porta in Italia dalla Russia autocratica e zarista ben poco conosciuta in Italia, un diverso concetto di militanza, sperimentata da giovanissima nella cosiddetta ‘andata al popolo’; la predicazione presso i contadini e le contadine per far intravedere un destino diverso, più giusto e meno diseguale; generoso apostolato che aveva in fondo delle analogie con i tentativi insurrezionisti degli anarchici anche in Italia, nelle aree contadine più depresse; alle contadine russe, in particolare, ci si rivolgeva anche e soprattutto per basilari consigli igienici, esperienze non dimenticate dalla Kuliscioff quando si laurea in medicina, dopo aver studiato le febbri puerperali, che in Russia e non solo avevano mietuto vittime in gran numero.
La Russia contadina era anche quella descritta dallo scrittore russo Nikolaj Vasil´evič Gogol nel suo poema in prosa pubblicato nel 1842, originariamente col titolo Le Avventure di Čičikov, e il sottotitolo Poema imposto dalla censura zarista Le anime morte; nell’Impero russo, il termine “anime” designava i servi della gleba maschi. L’intento di Čičikov è quello di acquistare a buon prezzo le “anime morte” dall’ultimo censimento per i quali i proprietari continueranno a pagare il testatico fin quando non ne verrà registrata la morte nel successivo censimento quinquennale. Il protagonista punta così a crearsi, con il minimo sforzo, un numero di servitori fantasma, elevato al punto tale che, ipotecandoli, riesca a costituire un grosso capitale. Alla fine, il piano viene rivelato e l’unica soluzione per evitare la gogna pubblica è la fuga. Antizarista fin da giovanissima, deve uscire dai confini della Russia perché le porte dell’Università sono chiuse alle donne; si iscrive al Politecnico di Zurigo, che insieme all’ateneo della stessa città nel 1870 comincia ad accettare le iscrizioni femminili; in quegli anni al Politecnico gli studenti sono 250 e solo tre le donne, fra cui Anja; passa l’esame di ammissione nel 1872/3, iscritta al dipartimento di Scienze esatte. Luogo di dibattito e di emancipazionismo pionieristico, in quella città passano negli anni le migliori intelligenze politiche femminili del tempo, da Clara Zetkin a Rosa Luxemburg, insieme a studentesse polacche, russe e scandinave che hanno abbandonato famiglie e paesi d’origine per amore degli studi proibiti alle donne; la libertà dura poco perché lo zar Alessandro II decide di revocare il permesso e devono fare ritorno in patria.
Alla Mostra dedicata ad Anna Kuliscioff realizzata dalla omonima Fondazione a Milano, che ha avuto un grande successo, e chiuso i battenti da qualche mese, sono stati esposti l’immatricolazione al Politecnico, e il permesso di iscrizione del padre, senza il quale Anna non sarebbe potuta partire. Dopo il divieto dello zar, Anna strappa il libretto universitario e torna in Russia da ribelle, partecipando all’andata al popolo, come militanza attiva contro il regime zarista. La clandestinità è l’unico modo per evitare l’arresto, nel 1877 fugge in Svizzera oltrepassando per l’ultima volta la frontiera russa con passaporto falso e cambia nome, acquisendo definitivamente quello di Anna Kuliscioff. “Due potrebbero essere le ipotesi per la scelta del cognome Kuliscioff: il riferimento a una zuppa ucraino/polacca(kulesh) oppure allo scrittore ucraino Panteleimon Kulish” . In ogni caso, una scelta plebea perché in Russia quel cognome potevano averlo solo le persone provenienti da famiglia di schiavi, manovali, braccianti.
Sfuggita all’arresto nell’aprile del 1877, con passaporto falso, oltrepassa per l’ultima volta la frontiera russa. Si stabilisce a Lugano, e conosce Andrea Costa (1851-1910), poi primo deputato socialista nel Parlamento regio: fra i due nasce un’immediata, intensa attrazione, sia sentimentale sia ideologica, tanto che nel novembre si trasferiscono insieme a Parigi per collaborare all’Internazionale. Anna Kuliscioff conquista presto il rilevante ruolo di agent de propagation e nell’ottobre del 1878 viene arrestata a Firenze, dove si era recata per il congresso anarchico, restando in carcere preventivo fino al dicembre del 1879. Viene rilasciata con un decreto di espulsione ma i mesi trascorsi in carcere l’hanno segnata fisicamente, contraendo una forma di tubercolosi ossea. Al processo rilascia una lunga deposizione da lei firmata, in cui afferma di essere contraria alla lotta armata e si legge: “nubile, ventiduenne, benestante, socialista non internazionalista, non è venuta a Firenze per fare politica ma per frequentare l'università dove vuole perfezionarsi in storia e filosofia … i soldi che hanno trovato nel suo borsellino sono quelli inviati dai genitori per proseguire gli studi … le lettere in russo sono lettere di amici e parenti e non contengono piani di cospirazione … “ . L’opinione pubblica non può non restare colpita nell’immaginario: nella «Illustrazione Italiana» viene pubblicato il suo ritratto e definita Madonna slava.
La libertà dura poco: nel 1880 è di nuovo arrestata con Andrea Costa e nelle carceri di Bologna si ammala di scorbuto, uscendone dopo pochi mesi. Intanto al ritorno in Svizzera matura un’idea di socialismo riformista diversa da quelle di Costa e nonostante la mancata coincidenza delle rispettive elaborazioni politiche, collaborano alla preparazione del primo numero della «Rivista internazionale del socialismo». Anna mantiene la convinzione delle premesse marxiste e la necessità della lotta di classe. Nel 1881, con il compagno, nel frattempo scarcerato, si trasferisce a Imola, in Romagna, dove Costa è obbligato a soggiornare; a fine 1881 nasce la loro figlia Andreana, unione dei due nomi, poi detta Andreina. L’ambiente chiuso, le costrizioni familiari, la poca comprensione che la famiglia di Costa e in primis la madre le dimostrano, rendono fallimentare i tentativi di convivenza. Il tentativo di Kuliscioff di adeguarsi alla famiglia romagnola si scontra con le ostilità dei genitori che avrebbero preferito che il figlio sposasse Violetta Dell’Alpi, una sartina di Ancona da cui aveva avuto il figlio Andreino. A Imola, nella casa della famiglia Costa mentre cuce il corredino per la futura neonata, cerca di adeguarsi alle donne che la circondano, ma continua nell’«Avanti!» a scrivere mantenendo una visione internazionale della politica .
La nascita della figlia in un certo senso sancisce anche il suo allontanamento, che non si lega probabilmente solo al decreto di espulsione in Italia mai revocato. Riprende il filo dei suoi studi: nel 1882, con la figlia di pochi mesi, a Berna chiede di essere iscritta a Medicina, dove frequenta le lezioni ed esercitazioni, per quasi tutto il giorno, cercando di badare alla figlia, con l’aiuto della mamma venuta dalla Russia, sempre in cerca di quell’indipendenza che agli uomini era riconosciuta ‘per genere’. Non tralascia però la riflessione politica, con il testo di A. Bebel su La donna e il socialismo e quelli di Eduard Bernstein sul revisionismo del marxismo. Alla fine del 1882 Costa entra in Parlamento, una conquista storica per la sinistra italiana, ma il loro allontanamento si concretizza.
Nel 1884, fa ritorno in Italia e si stabilisce a Napoli, dove prosegue gli studi, trovando nel clima più mite giovamento alla salute, ma precipita nella solitudine e nelle difficoltà economiche. Il rapporto con Costa, intrecciato con la maturazione e il passaggio di entrambi a posizioni diverse, conosce approdi differenti: al dissenso politico si accompagna quello personale e nel 1885 Kuliscioff gli annuncia la fine del loro rapporto affettivo; in una lettera Anna, con la modernità che solitamente la distingue, gli scrive che bisogna prendere atto della realtà, l’amore come l’avevano vissuto è finito, resta il legame prezioso della figlia Andreina, che però Anna sceglie di mantenere da sola, premendo solo che la riconosca per non bollarla come figlia illegittima.
A Napoli conosce Filippo Turati (1857-1932), il compagno di tutto il resto della sua vita. Laureatasi nell’Ateneo partenopeo nell’anno accademico 1886-87, nei due anni seguenti soggiorna a Padova, a Como, Milano e Pavia, per ottenere la specializzazione in ginecologia, che la porta ad approfondire anche il tema delle febbri puerperali, causa di frequente mortalità, su cui aveva già indagato l’austriaco Isac Semelweiss; il rimedio era stato trovato nella disinfezione dei medici che passavano dalle sale autoptiche alla cura delle gestanti senza opportuna disinfezione. Anna K. studia i batteri responsabili.
Dottora dei poveri, è chiamata dai pazienti milanesi nelle case di ringhiera che cura gratuitamente, per scelta politica, ma anche obbligata, perché all’Ospedale di Milano non può essere ufficialmente assunta. L’ammissione delle donne in Italia a tutte le facoltà dal 1875 non consentiva però l’esercizio delle professioni cosiddette liberali. La sua influenza su Turati, con cui si è definitivamente stabilita a Milano, è decisiva: nella casa studio della Galleria Duomo Anna riceve senza distinzioni operaie, militanti, sindacalisti, giornalisti, letterati, scrittrici e scrittori, artiste e artisti. Frutto di tale influenza, la nascita nel 1889 della Lega socialista milanese, primo nucleo del futuro partito, e poi del PSI (Partito Socialista Italiano), come luogo di elaborazione politica originale. Ruolo non trascurabile Kuliscioff lo dimostra anche nella fondazione e gestione di «Critica sociale», la rivista diretta con Turati a partire dal 1891, cui dà un contributo insostituibile sia nella redazione degli articoli, sia nel disbrigo della corrispondenza internazionale per la conoscenza di numerose lingue, rara nell’Italia del tempo: la rivista, da poco ha cambiato la dizione rendendole giustizia, si legge infatti sotto il titolo Rivista del socialismo italiano fondata da Anna Kuliscioff e Filippo Turati. La sua posizione di primo piano all’interno del movimento le costa l’arresto negli anni di fine secolo a seguito dei moti milanesi del 1898, cui peraltro non ha partecipato di persona. È per lei l’epoca dell’elaborazione della strategia delle grandi riforme, tributaria, militare, sociale, elettorale, scolastica, su cui più volte richiama l’impegno di Turati, polemizzando anche apertamente. Dall’inizio degli anni Novanta, Anna Kuliscioff diventa nota anche per il suo impegno sui temi decisivi della condizione femminile: il lavoro e la subordinazione all’interno della famiglia.
La nota conferenza, Il monopolio dell’uomo (1890), successivamente stampata è un testo agile e incisivo che cerca di storicizzare le cause dell’inferiorità femminile contro le interpretazioni di stampo biologico sulla immutabile, inferiorità femminile. Soprattutto individua nella mancanza di autonomia economia la causa di tale inferiorità; la novità per le sue compagne di area e di militanza sta nella lettura sociale che include le operaie come protagoniste in quanto tali della rivoluzione politica. L’emancipazione del proletariato può sì avvenire per opera dei lavoratori di ambedue i sessi, ma l’emancipazione della donna può solo essere opera della donna stessa. Sulla base di un’inchiesta del Gruppo femminile socialista di Milano sulle condizioni lavorative delle donne nel 1900, prepara un progetto di legge, discusso e accettato nei circoli socialisti di base, il cui frutto sarà la cosiddetta legge Carcano sul lavoro delle donne e dei fanciulli del 1902; l’unica legge in definitiva di un Parlamento liberale su un tema portante, pur con l’esclusione delle categorie delle lavoratrici a domicilio e delle lavoratrici rurali . Sul diritto di voto, il Partito socialista tentenna di fronte a una richiesta che definisce parziale e borghese ed è merito di Anna Kuliscioff insieme alle compagne più sensibili condividere, nella questione del suffragio, la battaglia suffragista di Anna Maria Mozzoni, lanciando fra il 1904 e il 1906 una grandiosa campagna di mobilitazione per il suffragio universale, anche a costo di polemiche con lo stesso Turati. L’iniziale, profondo conflitto con le posizioni conservatrici degli uomini del suo partito, escluso il solo Gaetano Salvemini, in particolare con il suo compagno Turati sul voto alle donne, si esprime con un certo clamore nel 1910 in una serie di articoli su «Critica sociale» dal titolo Polemica in famiglia (16 marzo - 1° aprile, 1910). Nel rispondere a Turati, Kuliscioff sottolinea l’ambiguità della risposta data dal Comitato centrale socialista nell’«Avanti!» al Comitato nazionale pro-suffragio femminile: “Sono a chiedermi ancora perché mai per una dichiarazione così semplice hanno speso tante parole? Come socialisti – bastava rispondere – è ovvio che siamo per il voto esteso alle donne; ma, come partito d’azione non possiamo troppo complicare le cose; le donne abbiano pazienza (non è questa una delle maggiori virtù ch’esse dividono con altri non meno preziosi animali? “ . Nel 1912 nasce su suo impulso «La difesa delle lavoratrici», primo periodico nazionale delle donne socialiste, dove il tema era ampiamente discusso, insieme a tanti altri di rilevanza internazionale . Nel 1914, la guerra è vicina e le divisioni di gran parte del femminismo di area socialista e dello stesso partito, fra interventismo democratico, pacifismo e interventismo rivoluzionario, di certo non facilitano neanche nel dopoguerra la continuazione del dibattito sul diritto di voto. Nel 1922, il socialista Giuseppe Emanuele Modigliani presenta una proposta di legge, sulla base di un solo articolo di sconcertante semplicità: «Le leggi vigenti sull’elettorato politico e amministrativo sono estese alle donne nei limiti e nei modi del suffragio maschile». L’approvazione viene seguita dallo scioglimento delle Camere vanificando la proposta. È quindi erroneo sostenere, come talvolta viene fatto, che il voto amministrativo concesso dal fascismo nel 1924 e successivamente pubblicato sulla «Gazzetta ufficiale» sia la prima conquista suffragista, perché in realtà viene preceduto dalla proposta Modigliani; né quel diritto peraltro è mai esercitato durante il fascismo perché l’introduzione delle leggi podestarili in cui il podestà riunisce in sé le funzioni di sindaco, giunta e Consiglio comunale, lo rende inutile sia per le donne che per gli uomini. Sono questi gli ultimi anni di vitalità del Partito socialista e anche quelli di Anna Kuliscioff, preoccupata lucidamente dell’atteggiamento del movimento operaio nei confronti del fascismo, per la violenza che sgomenta e coglie di sorpresa soprattutto i socialisti. Consumata la dolorosa scissione di Livorno, che nel 1921 dà vita al Partito comunista d’Italia, i socialisti, difensori della libertà democratica, oppongono al fascismo la protesta ideale dell’Aventino. Con l’aggravarsi delle sue condizioni di salute, Anna si allontana dall’attività politica. Di fronte allo scatenarsi della guerra, tenta di conciliare l’iniziale pacifismo internazionalistico operaio con la realistica valutazione dell’impossibilità per l’Italia di mantenersi neutrale e, in seguito, con la valutazione positiva dell’intervento a fianco dell’Intesa.
Nel 1917, sempre ancorata ai principi secondo-internazionalisti, si mostra del tutto favorevole alla rivoluzione di Aleksandr Kerenskij, ma poi decisamente contraria alla svolta bolscevica. L’ascesa al potere di Benito Mussolini le sembra un fatto inconcepibile, transitorio, e la sua aspirazione dittatoriale, carica di demagogia e improvvisazione.
Con l’assassinio di Giacomo Matteotti e il fallimento dell’Aventino, la sua delusione è totale e alla speranza riposta nelle forze democratiche, si sostituisce una grande amarezza che l’accompagna negli ultimi mesi di vita, mentre il fascismo ormai trionfa. Pur essendo anziana e malata, continua a discutere, scrivere, intervenire dalla sua casa-studio in galleria Duomo, a Milano, dove si sono formati in tanti anni le migliori intelligenze politiche del tempo. La figlia Andreina si è sposata, con la totale disapprovazione di Costa, con l’imprenditore Luigi Gavazzi, di famiglia benestante e religiosissima, da cui ha cinque figli; una di loro, Anna, segue come studi le orme della nonna, ma nel 1938 entra nel Carmelo riformato di Firenze.
Uno dei figli maschi, dopo aver curato l’impresa di famiglia, diventa religioso nell’Abbazia di Subiaco. Anna Kuliscioff muore a Milano il 22 gennaio 1925, il corteo funebre è continuamente disturbato da schiamazzanti e provocatorie bande fasciste. Ma oggi la omaggiamo con un ricordo diverso: seduta al tavolo da lavoro nella casa milanese di fronte al Duomo, con il vaso di violette, fiori che ricordano tante venditrici bambine, quella categoria che da lei sempre protetta, presente anche a poca distanza dal Senato, a Milano, nelle vie centrali vicine anche alla Scala e nella letteratura francese, venditrici di fiori di stagione; lei ha saputo vedere, oltre il romanticismo che ha conservato, lo sfruttamento del genere cui ha appartenuto con grande orgoglio.

Si ringrazia la prof.ssa Fiorenza Taricoone e la Fondazione Anna Kuliscioff per la disponibilità.

Videoregistrazione integrale del convegno
https://www.youtube.com/watch?v=brht9gEMhQA




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