‘Nubes y Esperanza’: tra storia e memoria, uno spettacolo-concerto evoca le emozioni e il riscatto
I Cantacronache e i canti della Spagna antifranchista a Roma col Coro Inni e Canti di Lotta 'Giovanna Marini', diretto da Sandra Cotronei. A colloquio con le quattro sorelle di Salvador Puig Antich, ucciso dal regime 50 anni fa
Mercoledi, 19/11/2025 - Sono venute da Barcellona, tutte e quattro. Montserrat, Carme, Imma e Merçona Puig Antich. Hanno preso un aereo per vedere lo spettacolo sui canti spagnoli antifranchisti che si è tenuto al Teatro Ateneo dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma, organizzato e cantato dal Coro Inni e Canti di Lotta ‘Giovanna Marini’ della Scuola di Musica Popolare di Testaccio, ideato e diretto dalla maestra del Coro, Sandra Alos Moner Cotronei, recitato dagli appassionati attori Alessandra Roca e Leonardo Gambardella, accompagnato alla chitarra dal bravo Matteo D’Agostino e curato alla regia da Gaston Troiano, regista e attore argentino di grande esperienza teatrale e sensibilità ai temi trattati.
‘Nubes y Esperanza’ è più che uno spettacolo: è memoria viva, narrazione di storie vissute, di sogni spezzati, di vite sacrificate, di fame e miseria (la canzone 'Sin Pan' lo testimonia), ma anche ricostruzione vivida e necessaria di un’epoca, dell’attesa quotidiana paziente ma indomita di un cambiamento, è la cronaca del riscatto e della liberazione di donne e uomini che non si sono mai dati per vinti, ma hanno combattuto e irriso il regime (si pensi a canzoni come ‘Can de Palliero ’, o alle strofette di 'Las Coplas'), nonostante il pericolo, la paura, la morte, le sparizioni. È un evento che fa risuonare col canto una Storia collettiva dimenticata.
Tutto inizia nell’estate del 1961, quando il collettivo Cantacronache (musicisti, letterati e poeti) nato a Torino, realizza un viaggio in Spagna per raccogliere nuovi canti resistenti e testimoniare così l’esistenza di un’opposizione al regime di Franco. Li accoglie un’atmosfera di paura e silenzio, ma riescono comunque a reperire alcuni canti: la pubblicazione in Italia del materiale avrà importanti conseguenze anche giuridiche per gli autori e per l'editore Einaudi che fu dichiarato persona non grata. La resistenza verso il regime verrà cantata in tutte le lingue della Spagna - dal castigliano al catalano, al basco e al gallego - che divengono vettori di protesta e di autoaffermazione di culture e ideali diversi.
I canti scelti per lo spettacolo, legati da un filo rosso ideale, ripercorrono quell’itinerario musicale, politico e umano: raccontano e cantano le condizioni del popolo, le visite delle donne in carcere in cerca dei loro uomini anarchici e antifascisti - al carcere Modelo, simbolo di ogni prigione di regime, in un adattamento antifranchista della canzone popolare ‘Dime Donde Vas Morena’ - la tragica storia della Desbandà, che ricorda i 250 mila civili bombardati fra Malaga e Almeria dai franchisti, nel recente e bellissimo canto ‘Carretera de Almeria’; la ribellione del popolo catalano nella nota canzone ‘L’estaca’, scritta da Lluís Llach contro il franchismo che aveva messo fuori legge l’uso della lingua catalana; le uccisioni degli avversari politici, come Julian Grimau nel 1963 e Salvador Puig Antich nel 1974. E tanto altro ancora.
Le quattro sorelle Puig Antich sono venute a Roma anche per queste canzoni, per fare memoria del fratello, Salvador, giovane anarchico aderente al MIL (il Movimento Iberico di Liberazione) condannato a morte nel 1974, a soli venticinque anni, mediante l’atroce metodo della garrota (fu l’ultimo dei garrotati), per un omicidio mai commesso. Salvador fu il capro espiatorio del feroce odio politico contro gli avversari della dittatura franchista, un regime inumano durato 40 anni che, pur volgendo alla fine, sferrava i suoi ultimi colpi, continuando a seminare terrore e morte intorno a sé.
Una esecuzione crudele e scandalosa, degna del Medioevo, quella di Salvador, mai dimenticata né dalle sorelle (tre erano maggiori di lui, la più piccola aveva solo 13 anni nel 1974), unite nel dolore e nell’attesa paziente dell’annullamento della sentenza che condannò a morte Salvador (giunta solo 50 anni dopo), né dal popolo catalano, che ha lottato per quasi mezzo secolo tramite attivisti politici, avvocati e associazioni per i diritti umani perché fosse fatta giustizia alla memoria del giovane anarchico.
Ma non solo la Catalogna ha mostrato fierezza e dignità: anche in altri Paesi, come l’Italia, si moltiplicarono le manifestazioni di piazza, furono scritte canzoni, poesie e testi teatrali a seguito dell’inumana sentenza di morte. Fra queste il magnifico e struggente, quanto crudo, canto dal titolo ‘Salvador Puig Antich’, eseguito dal coro durante lo spettacolo, con enorme commozione, davanti alle sorelle di Salvador e all’autore della canzone, Enrico Tavoni, giunto a Roma per l’occasione.
“Quando giustiziarono Salvador avevo ‘L’Unità’ sul comodino - racconta Enrico - la sera lessi l’articolo sulla sua morte e mi colpì tantissimo, anche per il metodo disumano della sua esecuzione. Quella notte non riuscivo a dormire: di getto scrissi la canzone perché chi lotta contro il fascismo lo fa per tutti e non va mai dimenticato, va ricordato. Quando ho conosciuto le sue sorelle, allo spettacolo, è stato straordinario. Mi sembrava di conoscerle da sempre, di aver vissuto con loro il dolore di quella tragedia, e di aver voluto bene a Salvador per il sacrifico che aveva fatto anche per noi, e per la libertà”.
Ieri come oggi dunque, il ‘popolo che canta non morirà’, né moriranno i suoi ideali e le sue speranze di libertà: come recita un canto popolare in lingua spagnola, "Una canción", conosciuto anche con il titolo "¡Pueblo de España ponte a cantar!", nel suo verso più famoso: "¡Pueblo que canta no morirá!", a celebrare ovunque nel mondo la resistenza e la forza dei popoli che perseguono cantando la propria indipendenza ed autodeterminazione.
____________________
INTERVISTA: 'Dialogando con le Sorelle Puig Antich: Montserrat, Imma, Carme e Merçona'.
Buon pomeriggio e benvenute a Roma: siete qui al Teatro Ateneo per lo spettacolo ‘Nubes y Esperanza’, del Coro Inni e Canti di Lotta ‘Giovanna Marini’, che attraverso i canti antifranchisti raccolti dai Cantacronache, ripropone il tema della memoria e della lotta ad un regime crudele e oppressivo, quello di Francisco Franco, che condannò a morte, fra i molti altri, vostro fratello Salvador nel 1974.
Che effetto vi fa essere qui a Roma oggi per partecipare a questo evento, voi che avete vissuto quegli anni e che ne siete state vittime?
Montse: La verità? È una sensazione molto bella perché già in Catalogna si parlava di tutto questo, poi in Spagna e ora in Italia: questo ci dà molta emozione, che il tema abbia potuto valicare i confini, le frontiere…
Merçona: Che si conosca Salvador anche fuori del nostro Paese ci riempie di gioia, perché anche qui avete sofferto il fascismo e quindi si sentiamo molto legati a voi e anche molto compresi.
Com’era l’atmosfera negli anni ’70, quando vostro fratello è stato arrestato? Avevate capito quanto rischiasse? E voi come famiglia?
Carme: Lui sapeva bene il rischio che correva, ma aveva le idee molto chiare... aveva chiaro che correva rischi molto grandi. E la famiglia aveva capito poco a poco ciò che faceva mio fratello, in cosa era coinvolto: il Movimento Iberico di Liberazione (MIL). Lo sapevamo già…
Imma: Ma in quell’epoca c’era moltissima paura. Vivevamo sotto un franchismo puro e duro. E quindi avevamo tutti paura. Fin dall’inizio Salvador era molto consapevole di quello che poteva succedere e, dopo l’uccisione di Carrero Blanco, pensò che l’avrebbe pagata molto cara, perché era pura vendetta. E anche l’avvocato, quando ammazzarono Carrero Blanco, ci disse: “La situazione è molto grave”. E a quel punto cominciammo a renderci conto che dovevamo prepararci al peggio, anche se stavamo chiedendo la grazia…
Merçona: All’epoca conoscevamo il ‘carattere’ del nemico, del regime di Franco. Lo sapevamo: mezza Spagna era morta. Voglio dire, sapevamo, e le persone che lottavano contro Franco sapevano il rischio che correvano. Ma nessuno si aspettava che avrebbero ucciso Salvador in quel modo. È stato un atto di vendetta.
Imma: Sapendo come funzionava il regime franchista, era una possibilità reale: toccare un ministro di Franco significava pagarla carissima. E la pagarono Salvador e un altro ragazzo. E lui disse, quando uccisero Carrero Blanco, lo stesso giorno, quando andammo a trovarlo: “L’ETA mi ha ucciso” (n.d.r.: l’attentato al ministro Blanco fu eseguito dall’ala militare dell’ETA), perché indirettamente sapeva che l’avrebbe pagata cara.
Che ricordo avete di vostro fratello come persona, come essere umano?
Montse: Un bellissimo ricordo. Dispiace solo che, quando una persona muore, sembri diventare automaticamente buona. Ma in questo caso è vero: come fratello era una persona molto semplice. Non era una persona complicata. Sapeva solo molto chiaramente cosa voleva fare, e scelse la via politica. Ma come fratello e come figlio era una persona facilissima. E anche quando era in prigione ci rendeva tutto facile: non si lamentava mai, tutto quello che gli portavamo lo accettava con gratitudine.
Merçona: Cercava di mantenere il buon umore, mostrava il suo volto migliore per non farci preoccupare. E noi facevamo lo stesso. Era reciproco.
Imma: Inoltre, lui aveva un ottimo rapporto con tutte noi sorelle. Per esempio, quando scriveva dal carcere, scriveva a tutte: non una sola lettera per la famiglia, ma una per ciascuna. Avevamo un rapporto, oltre che familiare, anche personale. Avevamo un bel legame con lui perché, come ha detto Montse, era una persona allegra, divertente, affabile.
Merçona: Molto simpatico, generoso…
Montse: Ed era anche un bravissimo comunicatore. Molto bravo nel comunicare.
…e questo non piace al potere….
Montse: No, no, per niente! Credo che in Spagna, in Catalogna, in quegli ultimi anni del franchismo molta gente pensava che Franco ormai fosse molto malato, era quasi sempre ricoverato. “Non oserà, lo Stato non oserà uccidere”. Eppure, negli ultimi anni osò farlo: nel ’74 due esecuzioni, nel ’75 cinque...
Carme: E invece – va detto – sia lui che quell’altro povero ragazzo, Heinz Ches, furono uccisi con la “garrote vil” (n.d.r.: la garrota). Pensa che per i militari non esiste la garrota, c’è la fucilazione. Io lo dico chiaramente: furono assassinati. Fu odio, odio puro. Fu un crimine di Stato, un assassinio, inoltre, senza un processo giusto, con tre procedimenti farsa.
Imma: Si, senza un giudizio giusto. Non furono ammesse prove balistiche né niente. Era tutto deciso in anticipo.
E dopo l’esecuzione di Salvador, come avete vissuto? Avete preso una posizione pubblica?
Imma: No, no. I primi anni, i primi dieci anni, più o meno, furono terribili. Avevamo paura. Avevamo deciso - io, personalmente - quando uccisero Salva di fare un elogio: già la prima settimana una rivista italiana - “Oggi” - ci intervistò…In pieno franchismo, dopo la sua esecuzione, fare un’intervista dicendo la verità era terribile. Arrivò anche la televisione, e l’avvocato ci disse: “Che facciamo? Se ci prendono, finiamo in prigione.” Ma noi, insieme a lui, decidemmo di parlare. Eravamo determinate a non lasciare che la storia di Salvador passasse come quella di un assassino, come voleva il regime. Questo lo avevamo chiarissimo. Per arrivare fin qui abbiamo dovuto fare tante cose. All’inizio, dopo le prime interviste, calò il silenzio. Avevamo paura. Nessuno diceva nulla. Fu orribile.
Merçona: È che anche il post-franchismo fu durissimo. La Transizione, pur positiva e necessaria, fu anche molto dura.
Imma: Dopo alcuni anni, cominciarono a parlarne alcuni giornalisti, poi libri, articoli, e a quel punto dicevamo di sì a tutto: c’è un’intervista? Va bene! C’è la televisione? Va bene! C’è un giornale? Va bene! Parlavamo sempre, sempre, sempre… E siamo felici perché qualcosa abbiamo ottenuto.
Merçona: Anche la classe politica e la gente comune ci hanno sempre sostenuto molto.
Montse: Il Parlamento catalano, circa vent’anni fa, stanziò dei fondi per riaprire il caso di Salvador. I soldi andarono a un gruppo di avvocati che riattivarono tutto. E noi lo diciamo sempre perché è la verità.
Imma: Il Parlamento votò, e votarono tutti, perfino il PPE (n.d.r.: il Partito Popolare Spagnolo). È stato bello...
Come avete accolto la recente sentenza che ha dichiarato nulla la condanna inflitta a Salvador? Dopo tanti anni, circa cinquant’anni di lotta, giusto?
Carme: Sì. Certo. La sentenza è stata annullata. Quello che vogliamo è che venga annullato anche il processo.
Merçona: No, il processo è stato dichiarato nullo, ma non si sono potuti giudicare coloro che giudicarono Salvador. Tutto qui. Il processo e la sentenza sono nulli. Anche se tutti i responsabili sono morti, si è comunque dimostrato che non furono presentate prove fondamentali. Abbiamo molto materiale. Quando presentammo il caso alla Corte Suprema, non fu accettato, ma il lavoro c’è, è stato dimostrato il male che è stato fatto.
Montse: Nonostante tutto, siamo state fortunate perché abbiamo trovato avvocati e giuristi che hanno fatto un lavoro immenso, che noi come sorelle non avremmo potuto fare. E anche artisti, teatranti, scrittori, studenti universitari...per anni non ci siamo mai fermate. Ogni giorno c’era qualcosa. O io, o lei o l’altra o l’altra ancora...E abbiamo ricevuto molto aiuto.
Merçona: Eh sì, a me ha fatto moltissimo piacere che sia stato annullato il processo. Perché sentire un ministro spagnolo, sotto la bandiera nazionale, dire ufficialmente che il processo di mio fratello fu “rocambolesco”, riconoscere che fu un assassinio...! Non pensavo che sarebbe mai successo. Dicevo alle mie figlie: “Continuerete voi, perché io non credo di arrivarci”. Sembrava sempre così lontano...ogni volta c’era qualcosa che ci faceva tornare indietro. E poi un giorno, non si sa come, è successo. Ed è stata una grande emozione.
Montse: E anche grazie a questo lavoro, molti gruppi si sono uniti ed è stato dato avvio alla ricerca delle ‘fosse comuni’ della guerra civile. Tutto questo ha dato impulso alla memoria storica. Dopo ottant’anni di dittatura, sentire parlare dei morti nelle cunette, dei bambini rubati alle madri di sinistra uccise…Tutto questo è stato un risveglio democratico potentissimo. Si sono mosse tante cose, anche se c’è ancora tanto da fare. Ma molto si è mosso.
Merçona: Quarant’anni di dittatura fanno tanto male: per riparare quarant’anni di dolore, ne serviranno altri quaranta. Credo che lo abbiamo capito bene.
Secondo voi l’arte, la musica, le canzoni possono aiutare a creare un clima democratico nella lotta, non solo contro le dittature, ma contro ogni pensiero reazionario?
Tutte insieme: Sì! È la forma più bella di attivismo. Davvero. La cultura deve salvarci. Non solo noi, ma tutti. La cultura deve salvare. E in questo caso, dello spettacolo, canzoni, teatro, libri, interviste, certo che sì…. Nel carcere dove era recluso Salvador, dieci anni fa hanno tirato fuori tutti i prigionieri…era indecente, vecchio, cadeva a pezzi e ora lì hanno creato uno spazio di memoria storica. Fanno conferenze, mostre, etc.
Le donne hanno avuto un ruolo importante nella lotta contro il franchismo, come gli uomini, o in altro modo?
Merçona: Sì, ma dovevano rivendicare il proprio ruolo di donne, perché gli uomini dicevano: “Io faccio l’azione e tu cucini per tutti, giusto?” E loro hanno dovuto affermarsi. Questo lo raccontano le donne più anziane di noi. “Il figlio, il figlio lo tenete voi”, dicevano gli uomini, “No, il figlio è anche vostro e adesso l’azione tocca a noi.”
Montse: Le giovani avvocate, come Magda Oranich, raccontano che arrivavano alle riunioni e c’erano quasi solo uomini, e dovevano lottare per farsi valere, pur avendo la stessa preparazione.
Carme: Hanno dovuto combattere molto, anche solo per poter votare o viaggiare senza la firma del marito! È assurdo!
Sì, questo è accaduto anche in Italia, perfino nella Resistenza, con modalità simili…
Montse: Certo. Immagino che sia stato così in tutto il mondo.
E, purtroppo, succede ancora oggi...Che cosa avete pensato e che sensazioni vi ha suscitato lo spettacolo? Cosa vi è piaciuto? Come avete reagito alla canzone che parla di vostro fratello, scritta da un italiano, Enrico Tavoni?
Montse: A me è piaciuto molto lo spettacolo, prima di tutto perché è sulla linea della memoria storica e a noi, per la situazione che ci è toccato vivere, la memoria storica già ci interessa. E in più, a parte la nostra storia personale, c'è tutta la memoria storica della Galizia, delle Asturie, di tutta la Spagna. Quindi l'ho trovato uno spettacolo molto originale, e tutti sul palco ci hanno dato la sensazione di molta dedizione e molta convinzione in quello che facevano...e la canzone di Salvador, cosa vuoi che ti dica? Una meraviglia, una meraviglia...
Imma: A me la canzone di Salvador mi ha emozionato tantissimo, ma ho trovato il testo durissimo, per me era super duro. È così reale che ti fa venire la pelle d'oca, ma nonostante tutto mi è piaciuto che sia stata fatta, e che si canti e...beh, una meraviglia. E lo spettacolo in sé...mi dispiace che non possa vederlo moltissima gente perché penso che sia - come ha detto Montse - una lezione di storia, ma cantata. Quindi può arrivare molto bene ai giovani, per esempio, e può toccarli in profondità. Magari si potesse replicare in tantissimi posti, perché per me vale la pena vederlo e ascoltarlo. E inoltre è stato realizzato davvero molto bene.
Merçona: Anche a me è piaciuta molto la storia di questi italiani che vanno in Spagna ad ascoltare canzoni, già qui c'è un punto di unione importante. E poi mi è piaciuto come è scritta la sceneggiatura, anche se non ho capito la metà del testo, perché si parlava velocemente (ride...). Certo, ora andremo a cercare la traduzione, ma sì, anche se non lo capisci alla lettera, lo intuisci. E penso che sia molto ben scritto, molto ben pensato, molto ben collegato, davvero. Come entra una cosa, poi l'altra, poi l'altra, e la musica...incredibile. C'erano canzoni che conoscevo, e altre che non conoscevamo...Abbiamo cantato con voi l’Estaca, che è quasi un inno. È come un inno, esattamente. Ma ce n'erano altre che conoscevamo e...beh, un 10, davvero un 10. Uno spettacolo molto bello, molto ben pensato, molto ben lavorato. Lo avete fatto da ‘dio’, e anche il chitarrista, molto bravo, suona benissimo. Così il ragazzo che narrava e la ragazza attrice, che gestivano molto bene la scena. Molto bello, molto emozionante e pedagogico. E anche il luogo, il Teatro Ateneo, l'ho trovato bellissimo, un posto incastonato all'interno dell'Università. È come il sapere dentro il sapere.
Carme: Cosa vuoi che ti dica? L'hanno già detto tutte: anche a me è piaciuto molto. Ho pianto. Poi, uscendo, tutti quelli che cantavano dicevano "è emozionante, abbiamo pianto". Io pensavo, sì, è vero, ho pianto anch'io. Ma non solo per Salvador, eh? Per tutto, sì, sì.
Vi aspettavate che Sandra Cotronei, la direttrice del coro, vi chiamasse sul palco?
Montse: No, davvero è stata una sorpresa e un’emozione per noi…
Pensate che lo spettacolo si possa replicare in Spagna, in Catalogna?
Merçona: Io credo di sì. E inoltre è una scenografia che non è così complicata. Cioè, siete in tanti, ma non è una scenografia che richiede un pullman o costosa. Basta un tavolino, e delle sedie. Non so se Sandra, la direttrice del coro, ha contatti a livello artistico con Barcellona…allo spettacolo c’era parte della sua famiglia catalana, sua cugina…ci hanno salutato tutti… Sembrava la Catalogna in miniatura, c’erano tante persone che parlavano catalano e dicevano "Oh, mi è piaciuto molto! Che emozione vedervi!" Necessita un contatto artistico con qualcuno in Catalogna perché lì lo spettacolo avrebbe molto successo. E diceva lo stesso anche lo storico spagnolo che abbiamo incontrato alla fermata dell’autobus, dopo lo spettacolo. Davvero lo spettacolo ha molte qualità. Lo fate benissimo e inoltre, come ha detto Imma, è la storia cantata. E oggi, i giovani faticano ad ascoltare. Non sanno ascoltare, forse per l'epoca che gli è toccata. Invece, così, la storia entra molto facilmente dentro, perché lo spettacolo è molto visivo, uditivo e visivo. E trovo che sia un modo per attrarre i giovani.
A proposito dei giovani, qual era all’epoca dei fatti il sentimento dei giovani nei confronti della storia di Salvador, e cosa raccomandereste ai ragazzi oggi perché tutto questo non accada ‘nunca más’?
Merçona: In Catalogna la gente che all’epoca dei fatti aveva dai 14 anni in su, tutti si ricordano cosa stavano facendo nel momento esatto in cui Salvador fu giustiziato. Oggi, per conservare i diritti che ci è costato tanto ottenere, non possiamo dimenticare né la cultura né la memoria, e quindi direi ai giovani: ‘parlate con i vostri genitori, con i vostri nonni, leggete libri, andate al cinema, fate 'tertulias' (salotti, dibattiti) per poter restare il più liberi possibile’, perché altrimenti perderemmo tutto: il mondo tornerebbe alla casella di partenza e tutti questi anni passati sarebbero sprecati.
Imma: Direi loro che la storia ‘negativa’ non si ripeta più, perché quello che sta succedendo ora è molto triste, da Israele ad altre parti del mondo.
Montse: Io consiglierei [ai giovani] di non lasciarsi influenzare dalle reti sociali, e di pensare prima di andare a votare – che pensino due volte, prima di votare un partito!
Carme: Rendersi conto della vita che abbiamo fatto durante quaranta anni. I giovani non hanno idea di quello che è stato [il franchismo]: c’è una parte molto piccola a cui interessa, però al resto non interessa, vogliono solo andare per la loro strada.
Grazie di cuore per questo incontro.
___________________
Lo spettacolo, che ha emozionato tanto il pubblico quanto i cantori e gli attori, nel rivivere quegli anni, toccando il dolore delle ‘ferite’ di un popolo e gioendo della sua ritrovata libertà - mentre ancora è in atto l’impervio percorso di recupero della memoria democratica collettiva - si situa all’interno di un progetto più ampio, dal titolo “Legàmi di libertà”, co-organizzato con il Dipartimento di Studi Europei, Americani e Interculturali dell’Università La Sapienza, e realizzato in collaborazione con l’Escuela Española de Historia y Arqueología en Roma, con il supporto di CGIL Nazionale e della Real Academia di Spagna.
Fra gli altri eventi del progetto, il seminario dal titolo “Acordes como balas: música político social en la Universidad antifranquista” tenuto da Alberto Carrillo-Linares, storico dell’Università di Siviglia, il convegno dal titolo “Cuentos de la dictadura. Storia e memoria dell’antifranchismo in Italia e Spagna” svoltosi presso il Centro Congressi Frentani a Roma e la proiezione del documentario "Un pueblo que canta no muere" (2024), di Pablo Gil Rituerto, proiettato al Nuovo Cinema Aquila di Roma.
Lascia un Commento