‘Tutto quello che resta di te’, film sul significato dell'identità palestinese'
La regista Cherien Dabis racconta la storia della Palestina attraverso gli occhi di tre generazioni di una famiglia che lotta per rimanere unita e difendere la propria identità. Nelle sale dal 18 settembre
Mercoledi, 10/09/2025 - Da sempre ci sono sofferenze che si cerca di sublimare, raccontare, perfino guarire attraverso l’arte, nelle sue molteplici espressioni: la Settima arte è di certo fra quelle che, nel tempo, hanno saputo meglio descrivere e raccontare i traumi causati dalle tante tragiche guerre - e dalle loro non meno drammatiche conseguenze - portate avanti dalla follia dei potenti della Terra.
Il cinema continua ancora a raccontare i conflitti, anche quelli in corso, ma spesso le registe scelgono di farlo attraverso la narrazione delle vite delle persone, della sofferenza e del dolore causati dalla perdita, dall’angoscia per il presente, per i propri amici e congiunti, focalizzandosi sulla vita quotidiana e sulla lotta degli individui e delle famiglie per sopravvivere, fisicamente e psicologicamente.
È questo il caso di “Tutto quello che resta di te”, un film presentato al Sundance in selezione ufficiale e pluripremiato in molti altri festival internazionali, con riconoscimenti prestigiosi (recentemente è stato scelto dalla Giordania per rappresentare il paese agli Academy Awards 2026 nella categoria Miglior Film Internazionale), che arriverà nelle sale italiane dal 18 settembre, distribuito da Officine UBU, prima casa di distribuzione, in tutto il mondo, a portare l’opera sul grande schermo
Diretto dalla regista, produttrice, sceneggiatrice e attrice palestinese-americana Cherien Dabis, già nota per aver dato vita a un nuovo genere di narrazione arabo-americana, che infonde complessità e umanità alle storie che scrive, dirige e interpreta, “Tutto quello che resta di te” racconta la storia di una terra, la Palestina, attraverso gli occhi di tre generazioni di una famiglia che non ha mai smesso di lottare per difendere la propria identità.
“Il mio primo ricordo del viaggio in Palestina per visitare il nostro villaggio natale - racconta Cherien Dabis - risale a quando avevo otto anni. I soldati israeliani armati trattennero la mia famiglia al confine per 12 ore. Rovistarono nel contenuto delle nostre valigie. Mio padre li affrontò quando ci ordinarono di spogliarci per essere perquisiti, comprese le mie sorelline di tre e un anno. I soldati gli urlarono contro. Ero terrorizzata che potessero uccidere mio padre. Ricordo ancora vividamente il viaggio in auto attraverso Gerusalemme dopo quel calvario e, sporgendo la testa dal finestrino, pensai: ‘questo è ciò che significa essere palestinesi’. La mia vita è piena di storie di dolore e conflitto che ho visto e vissuto in Palestina. Eppure le mie esperienze, come palestinese-americana che vive principalmente nella diaspora, impallidiscono a confronto di quelle di chi vive in Palestina e delle generazioni che mi hanno preceduto. Mio padre è un rifugiato palestinese che ha vissuto gran parte della sua vita in esilio. Sono cresciuta ascoltando le sue storie, quelle della mia famiglia e della comunità che ancora vive lì, storie del 1948, del 1967 e delle Intifada. Le loro esperienze mi sono state trasmesse in modo così profondo ed emotivo che a volte sembrano essere parte dei miei ricordi.”
La pellicola inizia in Cisgiordania, nel 1988, quando un adolescente palestinese si unisce con determinazione alle proteste locali contro i soldati israeliani. Improvvisamente la scena si blocca e, con fervore e angoscia dipinti sul volto, la madre si rivolge a noi – spettatori e testimoni dei capitoli bui del secolo scorso e di questi giorni - per cominciare a raccontare la storia di tre generazioni di una famiglia sradicata, a partire dal 1948, quando le organizzazioni paramilitari sioniste espulsero più di 700.000 palestinesi dalle loro case.
Il film si propone come la cronaca epica di una famiglia e della sua lotta, che abbraccia gli ultimi 80 anni della storia della Palestina, per rimanere unita e preservare la propria dignità di fronte alle forze d’invasione israeliane. Al tempo stesso è un ritratto intimo e insieme fortemente legato alla realtà sociale e culturale della Palestina, soffermandosi sul trauma intergenerazionale di un popolo, dai primi sfollamenti da parte dell’esercito israeliano nel 1948 fino alle Intifada.
“Tutto quello che resta di te” offre una condivisione del significato di “identità palestinese” raccontato con saggezza ed emozione che tocca il cuore intensamente.
“Il film non ha un approccio politico – prosegue la regista - è soprattutto un’opera profondamente personale e intima, un dramma con momenti intensi e commoventi, che lascia spazio anche alla gioia, all’amore e all’umorismo, rendendolo un viaggio indimenticabile nella storia Palestinese. La post-memoria è definita come l'esperienza di vedere la propria realtà quotidiana offuscata dal ricordo di un passato molto più significativo, quello vissuto dai propri genitori, ma come si guarisce da un trauma in corso o che non è stato riconosciuto? Che viene cancellato dalla coscienza del mondo? Ho riflettuto su queste domande per gran parte della mia vita adulta e ho voluto provare a guarire me stessa e la mia comunità attraverso la narrazione. Volevo aumentare l'empatia del mondo nei confronti delle persone che hanno sopportato così tanto. Così ho iniziato a pensare a come raccontare la nostra storia dalle origini, dal 1948 a oggi, attraverso un ritratto di famiglia che esamina il rapporto tra nonno, padre e figlio e l'eredità del trauma tramandato a ciascuno di loro. Ma il film è soprattutto un'opportunità per innescare un cambiamento avviando una conversazione sulla necessità di riconoscere la nostra sofferenza, perché è lì che inizia la guarigione. Può sembrare un obiettivo ambizioso, ma credo fermamente nel potere del cinema di riformulare, ispirare e guarire”.
Accanto a Cherien Dabis, protagonista oltre che regista del film, troviamo il celebre attore palestinese Mohammad Bakri (La masseria delle allodole, La cospirazione del Cairo) e i suoi figli Saleh Bakri (Il caftano blu) e Adam Bakri (Ali and Nino).
CHERIEN DABIS Cherien Dabis è una regista, attrice e produttrice palestinese-americana, nata in Omaha, Nebraska. Suo padre è un medico di origine palestinese, e sua madre è originaria di Salt, in Giordania. È cresciuta nella piccola città di Celina, in Ohio, e ha trascorso molte delle sue estati in Giordania, visitando la Palestina per la prima volta all'età di 8 anni.
Ha studiato cinema alla Columbia University, per realizzare film che rappresentassero le sue esperienze di arabo-americana, con l'obiettivo di cambiare gli stereotipi negativi nell'industria cinematografica che contribuivano ai numerosi episodi di razzismo visti e vissuti in Palestina e nella diaspora, subiti anche da lei stessa e dalla sua famiglia.
La regista si è affermata come una forza creativa attraverso una varietà di media ed ha contribuito a forgiare un nuovo genere di narrazione arabo-americana, infondendo autenticità, complessità e umanità nelle storie che scrive, dirige e interpreta, mettendo in luce prospettive sottorappresentate con umorismo e umanità.
Dabis ha esordito con il suo pionieristico lungometraggio “Amreeka”, da lei scritto e diretto. Il film racconta il viaggio di una madre single palestinese immigrata ed è stato presentato in anteprima mondiale al Sundance Film Festival del 2009, prima di vincere l'ambito Premio Internazionale della Critica FIPRESCI alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes. Ha vinto una dozzina di altri premi internazionali ed è stato candidato al Gotham Award come Miglior Film, a tre Independent Spirit Awards - tra cui Miglior Film, Miglior Sceneggiatura d'Esordio e Miglior Attrice - e nominato tra i Dieci Migliori Film Indipendenti dell'Anno dal National Board of Review. Il film ha fatto entrare Dabis nella lista dei "Dieci Registi da Tenere d'Occhio" di Variety nello stesso anno.
Artista poliedrica, Dabis ha debuttato come attrice recitando al fianco di Bill Pullman e Alia Shawkat nel suo secondo lungometraggio “May in the Summer”, film di apertura del Sundance nel 2013, da lei scritto e diretto. Il film è una commedia drammatica su una scrittrice palestinese-americana che torna a casa per riconnettersi con le sue radici.
Dabis ha anche mostrato il suo approccio distintivo in televisione, producendo e dirigendo episodi straordinari di Ramy per Hulu, vincitore del Golden Globe, e recitando come guest star in Mo per Netflix, serie premiata con il Peabody Award e Gotham. Nel 2022, è stata candidata a un Emmy Award per la "Migliore Regia in una Serie Comedy" per l'episodio "Il ragazzo del 6B", della serie di successo “Only Murders in the Building”, con Steve Martin, Martin Short e Selena Gomez. Variety ha definito l'episodio televisivo senza dialoghi, raccontato dal punto di vista di un personaggio sordo, "l'episodio dell'anno" e "un tour de force di grande maestria registica". Oltre ad aver diretto altri episodi di spicco nella seconda e terza stagione, Dabis ha diretto anche episodi di Ozark su Netflix. Tra gli altri ruoli televisivi, ha recitato in Fallout di Prime Video ed Extrapolations di Apple TV+. Cherien Dabis vive a New York.
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