Giovedi, 28/10/2010 - Bullo ma de che? È un progetto presentato da Solidea, istituto di genere e solidarietà della Provincia di Roma, e Be Free, cooperativa sociale contro tratta, violenze e discriminazioni.
L’iniziativa nasce dalla necessità di dare una risposta al fenomeno emergente del bullismo a partire da ciò che c’è dietro, (il “de che” appunto, cercando di adoperare un linguaggio vicino ai giovani). Non si tratta, infatti, solo di individuare il bullo in quanto individuo violento, ma di comprenderne il contesto culturale dal quale nasce e nel quale agisce.
L’indagine, presentata nell’ambito del progetto di azione e prevenzione del bullismo nelle scuole, ha visto come protagonisti gli studenti e le studentesse degli Istituti Superiori “J. Piaget” e “Darwin” di Roma. Si è cercato, spiega la ricercatrice Nancy Rizzo, di andare ad individuare le ragioni del bullismo a partire dal contesto culturale, dalle dinamiche relazionali e sociali delle scuole, così come vengono vissute dagli studenti. La ricerca fa emergere la difficoltà di percepirsi come gruppo di lavoro unito da parte dei ragazzi e delle ragazze e la presenza di un rapporto duale e verticale tra il singolo studente e il docente, visto solo nel suo ruolo autoritario.
La modalità relazionale prevalente tra gli studenti e le studentesse è invece quella dei sottogruppi, contraddistinti da forte omogeneità al loro interno e ostilità nei confronti di chi è diverso (timido, grasso, straniero...). Questi gruppi rappresentano il terreno ideale per il nascere e lo svilupparsi di immagini stereotipate di maschile e femminile e di dinamiche di discriminazione, che rivelano una forma di “analfabetismo affettivo” e l’incapacità di gestione delle emozioni.
Queste situazioni mostrano come una realtà apparentemente lontana dal vivere quotidiano, come quella del bullismo, sia invece particolarmente vicina e faccia parte dello stesso clima di violenza che ha originato, secondo le parole dell’Assessore Massimo de Simone del X Municipio intervenuto al convegno, la vicenda di Maricica, la giovane donna rumena uccisa con un pugno sferrato per futili motivi da un ragazzo romano abitante dello stesso quartiere nel quale è stato attuato il progetto. Ciò che accomuna le situazioni, pur nella loro diversità, è la paura dell’”altro”, dell’“estraneo”, la cui stigmatizzazione rappresenta una forma di rafforzamento della propria, debole, identità.
Lascia un Commento