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Cinquanta anni fa il Massacro del Circeo  -  di Maria Mantello

Cinquanta anni fa il Massacro del Circeo - di Maria Mantello

I carnefici Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira, tre neofascisti della Roma 'bene' colpevoli di aver inflitto 32 ore di stupri, torture e sevizie a Donatella e Rosaria rimangono il drammatico simbolo della violenza del suprematismo maschilista

Lunedi, 29/09/2025 - Il 30 settembre 1975 alle ore 22.50 un metronotte sente flebili tocchi venire dal bagagliaio di una 127 bianca parcheggiata in Via Pola. Avverte i carabinieri, che aprono il cofano. Appare loro una ragazza dal viso e corpo sfigurati, con un’altra nelle sue stesse condizioni, ma già morta. Sono completamente nude e tutto è più sangue che pelle.
Si tratta di Donatella Colasanti e della sua amica Rosaria Lopez, così ridotte in una villa del Circeo da Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira. Un trio inseparabile di nazifascisti. Affratellati nel “patto di sangue” di esaltazione e pratica della violenza. «Io non ho mai commesso da solo qualcosa – appuntava in un suo memoriale Angelo Izzo – c’era una forma di legame che esisteva tra di noi come un patto di sangue, come un dimostrarsi sempre più crudeli, sempre più feroci. E questo in qualche maniera ci autolegittimava come super uomini […]. Mi sentivo più puro degli altri, in quanto mi sentivo di rischiare […] Ero convinto che gli altri della destra erano dei borghesi che questi non rischiavano di proprio, era la violenza che si vestiva di ideologia […]. Noi eravamo guerrieri, quindi stupravamo, rapinavamo, rubavamo. Questo, come la nostra mentalità, aveva anche lo scopo di legarci tra noi, personaggi dell’ambiente pariolino».
E in nome di questo “superomismo” pianificarono ed effettuarono il massacro del Circeo.
Rosaria Lopez aveva 19 anni e Donatella Colasanti quasi 17. Erano amiche e avevano conosciuto Guido e Izzo al bar del fungo all’EUR. Due giovani dai modi “gentili e cortesi”. Due “bravi ragazzi”, come raccontò al processo Donatella Colasanti.
Erano invece due delinquenti con sulle spalle condanne per violenza sessuale e rapine a mano armata. E anche l’altro carnefice Andrea Ghira aveva precedenti penali per rapina e violazione di domicilio.
Furono Gianni Guido e Andrea Guida, con l’inganno di una festa, a condurre il 29 settembre Rosaria e Donatella al Circeo. Così erano salite su quella 127 bianca. Alla guida c’era Gianni Guido (19 anni) nel sedile accanto Angelo Izzo (20 anni). Ad aspettarli sulla porta di villa Moresca Andrea Ghira (22 anni), figlio del proprietario.
«Entrati dentro, i tre ragazzi iniziarono a ridere – testimoniò al processo Donatella Colasanti – ci hanno fatte subito entrare in casa. Ci hanno puntato una pistola contro, sghignazzando: ecco la festa!. Poi ci hanno chiuso in un bagno minuscolo, senz’aria. Ci hanno spogliate, tolto gli anelli, i documenti, tutto quello che avrebbe potuto renderci identificabili. Sapevano benissimo cosa stavano facendo. Era tutto preparato. I sacchi in cui ci avrebbero messe da morte, ce li hanno mostrati subito».
32 ore di stupri torture sevizie avvengono al piano superiore in una stanza con attiguo bagno, in un accrescimento di crudeltà e ferocia. Rosaria viene infine affogata nella vasca da bagno. Mentre Donatella che ancora riusciva a divincolarsi per non essere annegata, viene colpita alla testa con una spranga. Anche lei sembra morta!
I loro corpi vengono allora infilati dentro sacchi di plastica e caricati nel bagagliaio della 127 bianca, che parcheggiano sotto l’abitazione di Guido. I pariolini sono nel loro quartiere. Si devono sentire sicuri e scendono dalla macchina per andare a cenare. Ma in quel vuoto di macchina lasciato dagli assassini… Donatella dal bagagliaio bussò!
La vicenda del massacro del Circeo divenne subito di pubblico dominio. E, come anche oggi purtroppo può accadere, il commento era: le ragazze se la sono cercata, potevano starsene a casa!
Ammettiamo pure che Rosaria e Donatella siano state ingenue. Che forse loro del popolare quartiere della Montagnola, fossero lusingate dal frequentare dei pariolini… Ma quel “se la sono cercata”! Era (è) davvero vomitevole.
La sopravvissuta Donatella Colasanti denunciò i carnefici e al processo si costituirono parte civile anche molte associazioni femministe.
Ad assistere Donatella, l’avvocata Tina Lagostena Bassi, che non permise di ribaltare il rapporto vittima/carnefice. Introdusse e pretese l’uso della parola “stupro” contestando così di fatto il codice fascista Rocco, ancora in vigore e che definiva la violenza sessuale “reato contro la pubblica morale” e non contro la persona. Il massacro del Circeo coinvolse e sconvolse l’opinione pubblica per quanto era accaduto. E quel processo anche; contribuendo ad accendere i riflettori sulla mentalità misogina e patriarcale terreno di coltura del suprematismo maschilista.
La Corte di Assise, con sentenza del 29 luglio 1976, condanna all’ergastolo tutti e tre gli imputati. Andrea Ghira in contumacia, perché fuggito all’estero. Egli visse in Spagna sotto falso nome. Nel 1994 sarebbe poi morto a Melilla (Marocco) per overdose.
Gianni Guido e Angelo Izzo finirono in carcere. Il primo, ottenne una riduzione di pena a trent’anni, dopo essersi dichiarato pentito e aver elargito un consistenze risarcimento in denaro alla famiglia di Rosaria Lopez. Nel 1981 fuggì in Sudamerica, dove visse fino al 1994, quando venne rintracciato ed estradato in Italia. Rimase in carcere fino al 2009, poi tornò in libertà grazie all’indulto. Angelo Izzo, che aveva tentato anche una fuga, ottenne la semilibertà nel 2004. L’anno successivo rapì e uccise Maria Carmela Linciano e Valentina Maiorano, moglie e figlia di Giovanni Maiorano, pentito della Sacra Corona Unita conosciuto in carcere.
Il Massacro del Circeo resta il drammatico simbolo della violenza del suprematismo maschilista. E di quali mostri produca. Quei tre non erano minorati mentali, come al processo la difesa cercò di far credere. Ma figli della sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale che infetta ancora oggi individui e società col virus maschilista!

Donatella Colasanti è morta il 30 dicembre 2005. Sopravvisse al massacro perché si finse morta. Per tutta la sua restante vita ha convissuto con gli incubi di quel massacro, di cui aveva fatto però anche la forza di gridare verità e giustizia costituendosi parte civile. Per se stessa, per l’inseparabile amica Rosaria… Per tutte le donne.
Oggi due targhe d’inciampo in travertino poste qualche anno fa dal Comune di Roma, all’incrocio tra via Nomentana e Viale Pola, tengono ancora unite le due ragazze e il loro grido di dolore e verità.
Maria Mantello

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