Come pesci / cerchiamo la conferma dello spazio / l'ossigeno
È una lotta senza tregua, quella del poeta, diviso tra Spleen et idéal (Charles Baudelaire), tra cielo e terra, tra angeli, santi e demoni. Così si muove Marzia: osserva ciò che la circonda, la ripetitività di ogni giorno, senza sosta, senza scampo,
Giovedi, 23/10/2025 - L’ultima silloge di Marzia Spinelli, “La stagione è ancora questa”
Come pesci / cerchiamo la conferma dello spazio / l’ossigeno…
Come sempre la poesia di Marzia Spinelli ci appare lucida e riflessiva. Senza infingimenti.
Nella sua ultima raccolta, La stagione è ancora questa, Samuele editore, 2025, sospesa tra cielo e terra, la poetessa cerca salvezza nella poesia, in queste poche povere parole:
…
I piedi sono pensiero:
un angolo a nord, rivolto al cielo,
l’altro a sud, riverso a terra.
(Piano inclinato, p.29)
È una lotta senza tregua, quella del poeta, diviso tra Spleen et idéal (Charles Baudelaire), tra cielo e terra, tra angeli, santi e demoni. Così si muove Marzia: osserva ciò che la circonda, la ripetitività di ogni giorno, senza sosta, senza scampo, (il giorno sempre / uguale, le piccole cose da fare), tra le cose effimere, la terra che gira tenace, inesorabilmente e l’aspirazione a cercare e trovare nel cielo (Guarda al cielo…) la risposta. Ma c’è la poesia, cioè quella cosa bella che accorda nuovamente / qua e là il sogno al tuo reale.
Quel reale che dalla poetessa è vissuto come claustrofobiche mura:
le infine ore cullate dalle mura a vedere gli anni che imbiancano
intonaco e capigliatura e le persone mutanti fisionomia
e pure si scoprono segreti belli, anime strane che scrivono
poesie, o affrescano vedute e panorami, se le incroci
oltre le mura hanno occhi e bocche differenti,
tanto dissimili i tratti svelati oltre la vernice, tante
le sfumature di anime che non ci stanno, non cedono
alle carte che volano o come foglie cadono
resistono…
(Sotterfugi, p. 26)
e Marzia non solo non ci sta e non cede, ma resiste.
E ancora:
Da mesi e mesi più non li contiamo
nel perimetro di casa
i passi di stanza in stanza
cingono le mura la casa
come bolla d’acquario come pesci
cerchiamo la conferma dello spazio
l’ossigeno il Tropico
nell’acqua dolce. (p. 38)
a mio avviso una delle liriche più belle. Nello spazio chiuso che è la casa, ci aggiriamo passando ancor più da una stanza ad un’altra stanza cioè ancora una volta da uno spazio chiuso ad un altro spazio chiuso. E dopo, mura, stanza, arriva “tana” (…la mia stanza / ogni giorno più tana…). E noi pesci come in un acquario in cerca d’ossigeno…Bellissima immagine! Ma la poesia – vento al quale Marzia è avvinghiata - è la via di fuga. È la via impensata di salvezza. A mio avviso in questa raccolta l’importanza della poesia è suggerita dalla metafora del vento, presente quasi in ogni lirica: Il vento sferza la pelle e le ossa. (…) / Il vento se torna sconquassa. (…) / (p. 29) perché il gran vento è senza bussola (p. 24). Perché la poesia – vento pietoso - mescola le carte, scardina tutto – il falso movimento - e tutto ricompone per dare un senso alle cose, in un’adesione sottile al minimo gioire della vita (rare piccole gemme / qualche minuscolo bocciolo verde):
Odore di giornata nelle mani
e intorno annusiamo meraviglie
cercando l’essenziale…
(Rondini, p. 32)
Il vento è anche il simbolo della realtà, per cui la poetessa è tirata dal vento della poesia da una parte e da quello della realtà dall’altro, quella realtà che è vento in questo caso che batte forte d’inverno (ma anche la poesia batte forte), che sferza la pelle e le ossa (ma lo fa anche la poesia quando batte alla tua porta), che se torna sconquassa (idem la poesia). Questa realtà terribile (che pena l’uomo, il mondo sì malmesso!), ripetuta, senza scampo, questa realtà che è vento che sferza gelido le piante e non solo.
“Tutte le cose nobili hanno un’ombra di malinconia”, dice Herman Melville in Moby Dick e così è per la poetessa che guarda il mondo con malinconia, disincanto, attenta com’è alle leggi dell’esistere, pur tuttavia sapendo guardare anche oltre.
E quel vento che è la poesia porta con sé la luce: quanta luce c’è nelle poesie di Marzia!
(…)
a quel sole ci scaldiamo
noi e le nostre ombre
come poveri in fila in Miracolo a Milano,
al suo caldo cono rettilineo
in una luce trapassata, un bagliore
mai cessato, mai attraversato
se non in quell’istante di Bellezza, sfrontata (…)
(Il sole del Venti, p. 33).
Marzia, l’abbiamo detto, cerca il cielo, vuole puntare in alto, cerca la luce (notiamo che questo termine è presente quasi in ogni lirica), che sia la luce delle Perseidi o quella del Küchen Cucine o quella delle lanterne cinesi a Capodanno o ancora quella dell’infanzia a Oriolo (che a tratti inonda), la luce è cielo, altrove, Bellezza, notte di stelle.
Interrogarsi sul nostro destino condiviso, chiedersi dello scorrere del tempo, dell’oggi o del domani, del senso del ricordo e della memoria è ancora una volta essere umani:
Vite qua sedute
Ho messo l’orecchio sul tavolo
in cucina, a origliare la voce
del legno: l’eco di chi
animava i pranzi e le cene,
riaffiora pane e vino,
tagli, macchie, buchi
di tante vite qui sedute
sembrava non dovessero mai
andare via da quelle sedie lì intorno
solo per me danzano ancora
nel silenzio del legno
che vacilla scricchiola di tarli
e di briciole, inquiete nell’addio.
(Vite qua sedute, p. 71)
una delle liriche più belle di tutta la raccolta a mio avviso: ecco a cosa serve la poesia, non buttiamola via, serve a darci l’ossigeno di cui abbiamo bisogno. Poesia di tutti o di nessuno, gli assenti non danzano ancora solo per te, Marzia, danzano anche per noi tutti.
Danzano anche per me.
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