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Contro le mutilazioni genitali femminili

Contro le mutilazioni genitali femminili

Il 6 febbraio è stata la Giornata internazionale di "tolleranza zero" contro una pratica aberrante che è stata messa al bando dalle Nazioni Unite, ma che ancora viene praticata “per tradizione”

Lunedi, 10/02/2020 - Il 6 febbraio è stata la Giornata internazionale di "tolleranza zero" contro una pratica aberrante che è stata messa al bando dalle Nazioni Unite, ma che ancora viene praticata “per tradizione”. Una tradizione che nel quinto secolo a.C. Erodoto definiva “circoncisione faraonica”, scaricando gli arabi e l’islam dall’accusa di averla inventata; ma è una pratica che va assolutamente cancellata dalla storia.
Infatti la mutilazione genitale è un crimine aberrante che non solo viola la dignità umana e la libertà delle donne in linea di principio, ma produce infezioni, emorragie, perdite urinarie permanenti e sofferenze reiterate alla salute fisica e anche psichica, soprattutto per le conseguenze che avrà la bambina mutilata quando sarà grande. Sono pratiche disumane, volte a impedire che, essendo per natura un essere impuro, goda del piacere del suo corpo e le impongono di riscattarsi sottoponendosi, quando è ancora piccola e comunque prima dell’adolescenza,a interventi di resezione del clitoride o di intervento più radicale sull’apparato genitale fino alla cucitura delle piccole labbr;, che verranno ricucite dopo ogni parto. Fino a pochi anni fa la pratica nei villaggi interni poteva essere fatta anche con lame ricavate da scatolette di metallo o foglie taglienti. Oggi le donne, soprattutto nei paesi che hanno sanzioni di legge contro le Mgf, invitano a limitarsi ad una piccola incisione, per mantenere il valore simbolico della credenza. Se l'uomo intende riservare a se stesso il piacere sessuale e il controllo di un corpo femminile che gli appartiene, il potere sadico e disumano che esercita gli si ritorce contro perché non può godere davvero di un corpo inerte alle sue attenzioni.
L’Onu invita anche quest'anno con la massima fermezza la comunità internazionale ad agire efficacemente perché questa piaga dolorosa venga sradicata da quei non pochi paesi che la praticano, anche se qualche governo ha preso misure pervietarla per legge, in forza di una tradizione che rende la ragazza rispettabile se può garantire di essere diventata una donna perbene. Noi accusiamo le superstizioni, le credenze ancestrali; ma si tratta di 125 milioni di vittime nel mondo, comprese le tante emigrate che vivono in Europa. E in Europa non sappiamo con certezza che cosa avvenga nelle strutture sanitarie (si restaura la “cucitura” dopo un intervento? e che cosa succede quando il parto è fatto in casa?) e nelle famiglie (che cosa accade alle bimbe nel privato delle famiglie? passano segretamente delle “mammane” per mantenere queste pratiche?).
Evidentemente le donne italiane non hanno così tanta amicizia con donne straniere, spesso più o meno recluse dopo aver ottenuto il ricongiungimento, per riceverne le confidenze e trovare insieme possibilità di aiuto. Le Nazioni Unite raccomandano leggi, informazione, interventi governativi e assistenza pubblica e privata, ma non basta pensare agli interventi in Indonesia o in Somalia e in tutti i paesi in cui esistono le Mgf, se non ci si rende conto della necessità di intervenire, senza violare la privatezza di situazioni delicate, perché l'informazione si occupi del problema, il Ministero degli Esteri proponga questo argomento nella formazione dei cooperanti, le insegnanti conoscano l'esistenza anche di questo problema fin dagli asili (e pensino a educare i giovani maschi mentre sono ancora bambini).
E’ noto che l’Onu è abituata a non vedere realizzate le proprie risoluzioni e inviti; ma le donne non dovrebbero rassegnarsi e pensare che il 6 febbraio dell'anno prossimo si ripeterà il teatrino: tocca a noi cittadine sollecitare i nostri governi e avanzare proposte per dare una mano ad eliminare questa cosa orrenda che non rispetta né dio né gli uomini, ma tortura il corpo e uccide l'anima delle donne che non conosciamo.

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