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Cose da pensare per il 25 novembre 2025

Cose da pensare per il 25 novembre 2025

"... Oltre due decenni di abuso di social, senza educazione e formazione alcuna, o pochissima, hanno normalizzato lo sguardo collettivo sui corpi, sulla sessualità, sulle relazioni fino a deformarlo, tracimando la violenza delle piattaforme del porn."

Sabato, 22/11/2025 - In giro per l’Italia per formazioni, dibattiti, incontri, presentazioni di libri mi capita spesso di affrontare lo sgomento, la stanchezza, la paura e l’impotenza nelle domande di donne e uomini di varie età che incontro: “Cosa abbiamo sbagliato? (chiedono le generazioni più anziane); Come faremo a uscire dalla violenza sempre più pervasiva? (chiedono le generazioni più giovani); Cambiare si può ancora, e con quali strumenti? (chiedono entrambe)”. Le notti di una donna che ragiona sono piene di incubi, scriveva Adrienne Rich. Ogni anno, allo scoccare del 25 novembre, si prova la disperazione della penosa conta delle donne uccise in ambito familiare, e cresce la preoccupazione per la normalizzazione della violenza maschile nella società: per l’assuefazione al linguaggio da trivio e disumanizzante, nel discorso pubblico, privato e online; per l’abitudine a sopportare comportamenti prevaricatori intesi ormai come abitudini consolidate, per la sottovalutazione, in famiglia, a scuola e nel mondo del lavoro, della crescente pornografizzazione di ogni aspetto della vita pubblica e privata.
Cosa muove, che cosa autorizza migliaia di uomini considerati ‘normali’ a dare in pasto online le immagini non autorizzate dei corpi delle loro fidanzate, moglie, amiche e persino figlie, per ‘divertimento’, come fosse ovvio fare mercato dei corpi delle congiunte? Perché una donna ogni tre giorni in Italia viene uccisa da un uomo della sua cerchia affettiva? Tutti deviati predatori clinicamente malati? Troppo semplice: questa è una giustificazione che ci allontana dalla responsabilità, individuale e collettiva, ed espelle il problema fuor da noi. Chi uccide e stupra è un pazzo, è uno straniero, è un animale, non è come me.
Non mi riguarda. Io no.
Oltre due decenni di abuso di social, senza educazione e formazione alcuna, o pochissima, hanno normalizzato lo sguardo collettivo sui corpi, sulla sessualità, sulle relazioni fino a deformarlo, tracimando la violenza delle piattaforme del porno nel nostro quotidiano. Ricordate l’esplosione di immagini nei social di pietanze assortite postate ossessivamente gareggiando alla ricerca di consenso? Ricordate come si chiamava questo fenomeno di successo? Si chiamava Food porn.
Il porno si nutre di particolari, di dettagli ossessivamente minuti, perché nella pornografia il sesso non ha una storia, un contesto, una narrazione erotica complessa, ma solo dettagli genitali.
E anche la prospettiva del come si guarda conta: vediamo ogni giorno serie tv e film su strumenti sempre più piccoli: dal grande schermo del cinema ci siamo ridotti a quello più domestico della tv fino a rimpicciolire lo sguardo nei pochi centimetri del telefono. La nostra attenzione è sempre più bassa, la capacità di soffermarci a pensare sempre più piccola. Ma è del soffermarsi, delle pause e persino della noia che si nutre l’intelligenza: è dalla possibilità di avere una vista ampia che germogliano le idee e le visioni. Come scrive la giovane filosofa Alessandra Lanivi sul numero 2/2025 di Marea, dedicato alla diade reale/vituale “la virtualità non è più una parentesi limitata, ma una parte integrante e necessaria della vita quotidiana che sta cambiando l’esperienza individuale e collettiva nel segno dell’iper: iper veloce, iper connesso, iper stimolante, iper carico, iper presente, il mondo digitale è zeppo e riempie ogni momento di vita”.
Non c’è nulla di piacevole in questa corsa incessante, solitaria e nevrotica, nella quale non ci sono nè piacere né bellezza, ma solo competizione e mercato: la pornografizzazione della vita vince su tutto, livellando ogni desiderio ed emozione nella compulsività ossessiva della prestazione e dell’escalation. Anche i pop up che si aprono all’accesso di molti siti non porno, nelle ore serali, oltre a quelli che consigliano di investire in bit coin o a giocare nei casinò virtuali devono alzare la posta per attirare l’attenzione. Capita ormai sempre più spesso di vedere, senza alcun filtro, immagini di questi tipo: un corpo di donna, sdraiata supina, nuda con un bersaglio da freccette sulla vulva. Cosa succede nella mente di un bambino, o di un adolescente che incappa in questa immagine, mentre per ore sta da solo davanti allo schermo del pc o del telefono? Che cosa può imparare sulla sessualità, sulle relazioni umane, sul senso del limite, sull’empatia e sul piacere, se fin da piccolo è esposto a questa forma di macelleria dei corpi delle donne? Che uomo diventerà se fin da piccolo sarà esposto all’odio incel, ai commenti vendicativi come quelli che impazzano dopo l’approvazione della norma che pone il consenso come centrale nelle relazioni sessuali? Quanto è preoccupante che centinaia di uomini di tutte le età si stiano scatenando contro il consenso, ‘minacciando’ le donne che d’ora in poi andranno solo con prostitute, confermando che è normale comprare le donne?
Per indicare una situazione positiva si usa l’espressione “tutto in un clic”: in questo modo abbiamo deciso che più le cose sono veloci e meglio è. Ma il rischio è dimenticare che, nella realtà fisica, il tempo dei corpi e quello del pensiero è un tempo necessariamente lungo, talvolta lunghissimo. La pornografizzazione della vita, dei corpi e di conseguenza della sessualità trasformata in fast food si racconta nella pubblicità dei bordelli legali di Germania e Austria: per strada e online sono visibili inviti come All you can fuck, parafrasi del gastronomico All you can eat. Questo è uno dei temi più urgenti da affrontare dal mondo adulto. E’ un tema politico, educativo, culturale, per contrastare il modello sempre più diffuso che vuole le donne corpi a disposizione degli uomini.
 

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