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Costringe una minore con ritardo mentale a subire palpeggiamenti al seno: condannato

Costringe una minore con ritardo mentale a subire palpeggiamenti al seno: condannato

Violenza sessuale è anche il gesto repentino che non consente difesa: palpeggiare il seno di una minore, prontamente seguito dalle rimostranze della stessa, porta ad una condanna per violenza sessuale

Mercoledi, 28/09/2022 - E' stata depositata lo scorso 7 settembre, la sentenza n. 32846 con la quale la Terza Sezione della Cassazione ha ribadito che il delitto di violenza sessuale, di cui all'art. 609 cod. pen., è senz'altro configurabile nell'ipotesi in cui un uomo costringa una ragazza, oltre che minore, anche affetta da ritardo mentale medio, a subìre palpeggiamenti al seno, con il pretesto di un abbraccio.
Come già ribadito in recenti pronunce (sentenza n. 11624 del 15 marzo 2022, depositata il 30.03.2022), per la realizzazione del reato di violenza sessuale, è sufficiente, sulla base della formulazione del richiamato articolo, che fa riferimento al mero atto sessuale e dalla ratio incriminatrice volta a garantire la tutela della autodeterminazione del soggetto riguardo alla propria sfera sessuale, il contatto corporeo con una zona erogena della vittima, non necessariamente coincidente con la zona genitale. L'uomo, condannato in appello alla pena di un anno e otto mesi di reclusione, ricorreva in cassazione affidando a tre motivi la propria linea difensiva, lamentando, con il primo, il vizio di violazione di legge, con riferimento all'art. 609 bis cod. pen., evidenziando che la minore avrebbe manifestato il proprio dissenso solo quando la mano del ricorrente è scivolata verso le parti intime e non già dal momento del toccamento del seno, durato circa cinque minuti senza che la ragazza manifestasse alcuna ritrosìa. Con il secondo motivo deduceva, in relazione al vizio di violazione di legge di cui all'articolo 56 cod. pen., che, avendo la Corte territoriale escluso il compimento del gesto di toccamento delle parti intime per effetto del dissenso manifestato dalla vittima, egli si era prontamente allontanato, desistendo anche dal bacio sul collo alla ragazza. Con il terzo motivo, l'imputato contestava la sussistenza dell'elemento psicologico del reato rilevando l'errore colposo sul consenso del partner in quanto era stata proprio la ragazza ad invitarlo sui gradini della chiesa dove si trovava in compagnia degli amici e che la stessa non aveva affatto rifiutato né l'abbraccio e né il toccamento del seno. La Cassazione, respinte tutte le eccezioni sollevate dall'uomo evidenziava, in primis, che ai fini del dissenso non è necessario che questo venga espresso, essendo presumibile laddove soggetti terzi si intromettano nella propria sfera sessuale: “anche a voler ritenere che l'iniziale assenza di reazione da parte della ragazza all'abbraccio prolungato da parte dell'imputato sedutosi accantoa lei sulla scalinata della chiesa potesse essere inteso come una manifestazione di consenso, quantunque la mancanza di rapporti pregressi non sembra giustificare tale intimità di approccio, risulta (…), che già al momento del toccamento del seno, attuato con un'estensione in sequenza all'abbraccio, la p. o. avesse esplicitato il suo dissenso intimando all'uomo di andar via, laddove questi ha invece continuato la progressione criminosa estendendo la mano in direzione delle parti intime della vittima e tentando di baciarla”. Nel caso di specie, dunque, la Suprema Corte ha ritenuto la progressione comportamentale del ricorrente come rientrante, a pieno titolo, nella fattispecie criminosa di cui all'art. 609-bis cod. pen., in quanto tale condotta, comprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorchè fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, o comunque coinvolgente la corporeità sessuale di quest'ultimo, sia finalizzato ed idoneo a porre in pericolo la libertà di autoderminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale, indipendentemente dall'appagamento da parte dell'agente di un istinto libidinoso (Cass. Pen. Sez., III, n. 33464/2006; Cass. Pen. Sez., III n. 41096/2011). Conclusivamente: non è necessario che il soggetto passivo esprima a parole il proprio dissenso per escludere l'offensività della condotta del soggetto agente in quanto basta che presenti “segni chiari ed univoci che consentano di ritenerlo esplicitato in forma tacita”. La Cassazione, dunque, nel condividere l'iter motivazionale della Corte d'appello, ritenendo che la stessa avesse correttamente valutato l'attendibilità delle dichiarazioni della vittima, ha rigettato le doglianze del ricorrente, confermando la condanna alla reclusione di venti mesi.
Avv. Francesca De Carlo

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