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Dacia Maraini, nella maternità conta la cultura

Dacia Maraini, nella maternità conta la cultura

Colloquio con la scrittrice sul legame con i figli adottivi

Mercoledi, 20/11/2019 - Avere un figlio. Diventare madre, una delle esperienze più intense, rivoluzionarie nella vita di una donna. Di quel rapporto, madre-figlio, che crea e genera, sono piene pagine e pagine: scritti, riflessioni, teorie, testimonianze. Ed altrettante se ne potrebbero scrivere per questa relazione che richiama quasi un segreto. “Si tratta del segreto di un legame fatto di una conoscenza carnale profonda, non dicibile, che precede la ragione”. Così scriveva Dacia Maraini in ‘Un clandestino a bordo’, pubblicazione uscita nel marzo 1996, in cui parla di maternità e aborto, dell’implicazione del corpo della donna. Ma che succede nella maternità adottiva? Che segreto lega due esseri, biologicamente sconosciuti, ma che quasi per magia danno comunque anche vita ad un rapporto di tipo fisico, non scontato ed affatto marginale?
È la stessa Maraini che, sollecitata ad una riflessione sul tema, ne parla in un colloquio con NOIDONNE. “Nella maternità biologica – dice la scrittrice – il primo rapporto fisiologico e viscerale avviene nel ventre della madre. Nella maternità adottiva entra in gioco la cultura, propria dell’essere umano. È l’impronta culturale che orienta le scelte delle donne e degli uomini. Adottare un bambino è una scelta culturale e sentimentale di cui bisogna tener conto. È infatti la cultura l’elemento che distingue l’essere umano dagli animali che fanno figli solo spinti dalla forza riproduttiva. Fare un figlio infatti dovrebbe essere una scelta consapevole e responsabile. Le donne e gli uomini dovrebbero orientare la propria vita in base ad un progetto ben definito, non affidato al caso. Di solito, la decisione di fare un figlio nasce dall’amore, dalla voglia di vivere insieme e di mettere su famiglia. In questo non c’è differenza fra maternità biologica e maternità adottiva”. Che l’incontro della madre col figlio avvenga in sala parto o in un istituto, o in un ospedale, certo è che quell’incontro resta unico. Da lì si comincia un cammino comune, incancellabile, ci si appartiene, l’uno entra a far parte della vita dell’altro.
Nella gravidanza, “come dicevo, l’incontro fra madre e figlio avviene prima di tutto nel suo ventre. La donna e il feto si riconoscono e si nutrono l’un l’altro. Poi viene il parto ed entra in gioco la società con le sue regole, i suoi bisogni, i suoi valori”. Ecco che subentrano la cura, la protezione, l’attenzione, l’attaccamento, l’amore verso il figlio, fatto distintivo della maternità, di qualunque tipo sia. E del resto, “il sangue conta fino ad un certo punto. Anzi – sottolinea Maraini – direi proprio che conta poco. Quello che conta è l’amore, l’accudimento, l’accettazione dell’altro e la capacità di dare generosamente di sé”.
Nell’adozione padre e madri possono essere sullo stesso piano: l’assenza del coinvolgimento fisico della donna stabilisce una relazione alla pari fra genitori? “Non credo esista una risposta univoca a questa domanda. Le relazioni umane sono molto diversificate, dipendono da tante situazioni diverse. Adrienne Rich, una scrittrice che per me è stata molto importante, ha scritto delle cose interessanti sulla maternità. Fra l’altro, ha raccontato quanto sia stato decisivo per il parto, il passaggio dalle mani di carne delle levatrici alle mani di ferro, come il forcipe, dei ginecologi, quando la medicina è diventata una scienza dal cui studio le donne sono state escluse”.
Mamma biologica e mamma adottiva. Nessuno scontro, né conflitto, né classifica. Lo psicanalista junghiano Massimo Recalcati sostiene che la genitorialità è sempre adottiva perché l’elemento biologico non è tale da contraddistinguere questo rapporto se non si stabilisce una relazione. “Sono d’accordo con lui”, afferma l’autrice di ‘La lunga vita di Marianna Ucria’ che ribadisce: “Anche se il rapporto madre figlio è all’inizio un fatto biologico, questo non è determinante. Gli esseri umani, infatti, sono figli della storia e della cultura che li hanno allontanati, e di molto, dalla natura trasformandola e modificandola. Margaret Mead, una grande antropologa americana, ha scritto un libro illuminante per dimostrare che il valore della maternità cambia secondo la storia e gli usi e i costumi di un popolo. Una riflessione che vale anche da noi, se pensiamo che per secoli il figlio veniva allontanato dalla madre per essere affidato ad una balia, mentre di recente si è stabilito che, appena nato, deve starle vicino. Così anche la questione dell’allattamento: in certi periodi storici l’allattamento al seno della madre è stato considerato inutile, addirittura malefico, mentre in altri momenti essenziale”. Ritorna quindi l’aspetto culturale nel vissuto della maternità, nella vita della donna e del figlio.
Preziose le parole di Dacia Maraini. Preziose le sue osservazioni. L’accoglienza di un figlio adottivo - ci permettono di dire - fa quindi parte di quei comportamenti culturali dove la biologia, per forza di cose, è esclusa ma in cui la relazione umana è esaltata. Un possibile modello di rapporti sociali più evoluti, creativi, empatici. Che acquista così un senso nobile al di fuori del mero rapporto della coppia genitoriale, anche se da esso nasce. Forse è qui il mistero da cui ha preso le mosse questa riflessione.





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