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DEPRESSIONE POST-PARTUM NON E' UNA COLPA

DEPRESSIONE POST-PARTUM NON E' UNA COLPA

Un convegno promosso a Roma da Strade Onlus e Fondazione Rebecca per una sindrome che colpisce il 13% delle donne. “Depressione pre e post-partum: Il progetto Rebecca Blues” è il titolo dell'incontro

Mercoledi, 15/10/2014 -
Lunedì 13 e martedì 14 si è tenuto presso la Sala della Protomoteca del Campidoglio a Roma il convegno dal titolo: “Depressione pre e post-partum: Il progetto Rebecca Blues”. Dopo i saluti del Ministro Beatrice Lorenzin e di Mons. Lorenzo Leuzzi la parola è passata agli addetti ai lavori. Santo Rullo, psichiatra, ha introdotto e commentato una commovente videotestimonianza di una mamma che ha commesso un infanticidio e del suo recupero dopo l'accoglienza in un centro per la cura della depressione.



Ma è stato il dottor Antonio Picano, psichiatra e psicoterapeuta, dirigente psichiatra presso l'ospedale San Camillo di Roma, presidente dell'Associazione Strade onlus per lo studio e il trattamento della depressione e della Fondazione Rebecca per la prevenzione e il trattamento della depressione pre e post partum, a relazionare sul Modello di Depressione perinatale come patologia della procreazione. Con i dati della sua ricerca Antonio Picano ha avanzato una ipotesi innovativa per l'interpretazione della fenomenologia legata all'infanticidio. La sua relazione ha raccolto lunghi applausi.



Nessuno stigma e nessuna vergogna devono colpire quelle donne che durante la gravidanza o nei giorni successivi al parto, iniziano a sentirsi tristi, malinconiche e poi depresse. Se non sono circondate dall'affetto e dall'aiuto del partner, se viene a mancare il sostegno della famiglia di origine e se tutta la comunità che dovrebbe starle accanto è invece assente, allora la situazione può rapidamente volgere al peggio, mettendo a repentaglio la salute della mamma e del bambino. E' bene che la donna comprendi fin da subito ciò che sta succedendo e chieda aiuto.



Il termine "depressione post partum" al momento è un contenitore di cose molto diverse, dal maternity blues (che colpisce l'80% delle donne, ma non è una vera e propria malattia) fino ai casi più gravi, che possono portare all'infanticidio. Stando alle ultime indagini, un terzo delle donne affette da questa condizione era già malata prima, un terzo si ammala durante la gravidanza e un terzo ancora dopo il parto, fino a un anno di vita del bambino. Il disturbo fa sentire la madre inadeguata, triste e incapace di pensare al futuro del figlio.



Il nuovo modello proposto di comprensione della patologia, è basato su quattro punti innovativi. Il "post partum blues" viene visto in modo radicalmente diverso: la donna piange in questa fase non perché è triste, ma perché questo le permette di ottenere l'aiuto dalle altre donne della famiglia e di instaurare una comunicazione con il figlio attraverso un meccanismo di autoregolazione per entrambi, che si basa non sulla parola ma sul pianto. La depressione vera e propria invece fa sentire la madre inadeguata e incapace di prendersi cura del proprio figlio e di progettare il suo futuro. L'avversione verso il figlio verrà spiegata come una manifestazione della debolezza relazionale della madre in cui comunque convive, in mezzo a grandi sofferenze, anche il desiderio di amare. L'ambiguità, l'ambivalenza e la confusione sono la situazione in cui viene a trovarsi la madre. L'infanticidio diventa un meccanismo protettivo vero e proprio all'interno di un sistema disfunzionale.



Spiegare scientificamente la tragedia che si consuma all'ombra dell'amore materno non è semplice. Una metafora efficace arriva dal mondo animale: quando una madre non si sente in grado di garantire il futuro del figlio, dentro di lei si attiva un meccanismo primordiale simile a quello delle bestie che uccidono i cuccioli che non possono allattare. Si configura così “una maternità a basso funzionamento – questa la definizione proposta - come concetto capace di dare una risposta unitaria a tutte le manifestazioni del disagio della madre durante la gravidanza e nel post partum. Non è secondario il problema della disabilità indotta nel figlio a causa della difficile condizione della madre. Aiutare il funzionamento materno significa garantire ai bambini lo sviluppo della proprie potenzialità, nella salute e nella libertà". E' ancora il dottor Picano a parlare.



La depressione post partum, nel mondo, è più diffusa di quanto si pensi e colpisce il 13% delle donne (80mila l'anno solo in Italia). Al di là delle differenze di contesto economico e sociale, è interessante il fatto che in tutto il mondo i dati statistici siano simili. In Italia purtroppo solo una su quattro riceve una cura adeguata, perché la vergogna della propria condizione in molti casi blocca la possibilità di chiedere aiuto. "Questo è uno dei punti più difficili da risolvere - precisa Picano - perché la madre spesso si chiude in se stessa e rimane sola con il proprio problema. Se bastasse dire alle donne di non vergognarsi, il fenomeno non esisterebbe".



Sarebbe anche bene fornire una maggiore informazione a partire per esempio dalle scuole dove non si fa educazione sanitaria. Il disagio sociale, l'isolamento, la mancanza di servizi sanitari adeguati, la scarsa informazione favoriscono l'emergere della sindrome. A fare la differenza, spesso, è il rapporto con gli psicofarmaci. "Tutti gli studi sulla valutazione del rischio - spiega ancora Picano - concordano sul fatto che è molto più rischioso che una donna arrivi depressa al momento del parto piuttosto che assuma degli antidepressivi. L'uso di farmaci è meno rischioso dei comportamenti disordinati della madre".



Fondamentale, in tutto questo, il ruolo del partner. La sofferenza della madre è infatti sempre espressione di una sofferenza relazionale in cui il compagno ha un ruolo centrale, e la mancanza di un'alleanza coniugale è un fattore di rischio grave per lo sviluppo del disturbo.



Il servizio sanitario nazionale purtroppo non prevede un'assistenza specifica per le madri depresse. "Contrariamente agli altri Paesi europei - spiega Picano - in cui ci sono dei centri di accoglienza e trattamento madre-bambino, in Italia non esiste nulla del genere. Questa è una mancanza cui porre rimedio e per cui ci battiamo da anni con l'associazione Strade Onlus. Per questo abbiamo realizzato uno sportello dedicato esclusivamente al supporto e alla consulenza della maternità presso l'Ospedale San Camillo di Roma".



Di primaria importanza sono la formazione e il riconoscimento precoce della malattia. L'associazione ha sviluppato un software, chiamato Rebecca Blues, che comprende un social network finalizzato a rafforzare il rapporto medico-paziente e a sensibilizzare le mamme, le famiglie e i professionisti. È un sistema di autodiagnosi che permette di raggiungere il maggior numero di persone possibile e garantire un controllo sicuro, sistematico e gradito alla donna. Un sistema per tutti, a basso costo, che supera strategie più complesse e più intrusive basate sull'intervento domiciliare, metodo ormai fallito a causa dei costi proibitivi e degli scarsi risultati che ottiene.

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