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DONNE CHE MIGRANO PER LAVORO

DONNE CHE MIGRANO PER LAVORO

Migrazioni femminili stagionali e di lunga durata, dal Secondo dopoguerra ai nostri giorni. Testimonianze scritte e videotestimonianze

Mercoledi, 30/05/2012 - “Donne che migrano per lavoro”

Migrazioni stagionali e di lunga durata dal Secondo Dopoguerra ai nostri giorni



La pubblicazione, corredata da videointerviste, documenta uno spaccato di storia tutto declinato al femminile, a partire dal Secondo Dopoguerra fino alla metà degli Anni Settanta. Più di cinquanta le donne intervistate, costrette da necessità economiche a lasciare la loro famiglia per andare stagionalmente nelle risaie, alle ortaglie oppure a fare le balie, le pendolari, governanti, bambinaie, dame di compagnia o a servizio quelle delle 24ore in famiglie facoltose, oppure come operaie nelle fabbriche svizzere.

Abbiamo ascoltato anche i racconti di donne che, oggi, arrivano nel nostro Paese spinte dagli stessi bisogni che avevano le nostre nonne, zie, vicine di casa, conoscenti e che entrano nelle nostre case ad assistere vecchietti, accudire bambini, o per un aiuto nelle faccende domestiche.



Da Chiari, Castelcovati, Cizzago-Comezzano, Palazzolo S/O, Pontoglio e Trenzano, paesi dell’ovest bresciano, le nostre donne migravano nel pavese, novarese, vercellese a fare le mondine, oppure andavano nelle ortaglie alla periferia delle città fino alla fine dell’estate per la raccolta di frutta e ortaggi. Altre ancora, da pendolari, raggiungevano le grandi città, oppure emigravano all’estero, soprattutto in Svizzera e lì ci rimanevano per anni.

Con le stesse aspettative e gli stessi problemi delle donne straniere che oggi, soprattutto dall’Est Europa, arrivano nel nostro Paese: dalla lontananza degli affetti al problema della lingua, che paralizza, se non la si conosce.



Le testimonianze sono state raccolte, ascoltate, riscritte mantenendo fede al registro linguistico delle intervistate per conservarne la freschezza e la genuinità, le esitazioni, le reticenze, la spontaneità. Sono stati recuperati oggetti d’uso, ricordi impressi sulle fotografie e lettere che si scambiavano con i fidanzati, o familiari oppure con il parroco del paese

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Abbiamo rispolverato il vissuto di donne che con il loro lavoro hanno dato un sostegno determinante alla propria famiglia. Dalle mondine Maria, Elvirì, Giuditta, Enrichetta, Mary, Emma, Anna abbiamo potuto ascoltare i canti della dura vita della risaia che le teneva lontano da casa per quaranta o sessanta giorni. “…nella risaia quando il sole bruciava la pelle cantavan le mondine le canzoni più belle. La risaia l’è lunga e l’è larga l’è circundada de acqua e de riso…”



Le pendolari, mogli e madri “a servizio”, invece viaggiavano sulla tratta Chiari - Milano Milano - Chiari. Come Olga, la più anziana, la quale ci racconta che i primi tempi si viaggiava in vagoni che erano carri- bestiame, con partenza alla mattina presto e rientro a sera inoltrata, ogni giorno, per anni. Le fanno eco Maria, Iole, ma anche Anita, operaia in una maglieria. Abbiamo ascoltato anche le ninne nanne e le filastrocche delle balie, come Pina, che alleva tredici figli di altri, una vera vocazione di balia “asciutta”. Armida ci offre la sua testimonianza di bambina andata a balia e del trattamento particolare che le veniva riservato perché potesse crescere sana e forte. Teresa, balia di latte, con un’esile voce dice che ancora adesso i suoi “figli di latte” la chiamano “la Mia balia”. Giò ci racconta della signora Rosy, sua suocera, morta a novantadue anni, che ha fatto la balia, barattando il suo latte con un coniglio o una gallina, perché di denaro non ce n’era. E come non possiamo ascoltare il racconto di Maria, del Santellone, la cuoca che preparava pranzo e cena a duecento bambini della colonia marittima -prima gestita dalle Acli e poi passata comunale- a Igea Marina, ma al posto del mare vedeva solo pentole! Invece Rita comincia a lavorare giovanissima come donna di servizio “quella delle 24 ore”, ma è anche la prima a fare i turni di notte in ospedale e a rimanerci giorno e notte, anche a dormire, perché non c’erano mezzi per ritornarsene a casa.

Donne che hanno lasciato l’Italia per trasferirsi all’estero per dieci, quindici, diciassette anni come operaie nelle ditte svizzere e là si sono formate una loro famiglia. Come è successo ad Albertina di Palazzolo S/O, la nonna di Stefania. Da giovanissima è andata per anni a Milano e a Paderno d’Adda, come donna di servizio dalla signora Gnecchi, accompagnandola anche al mare, a Camogli a trascorrere le vacanze con i numerosi figli . Ed è proprio a Camogli che Albertina conosce quello che poi diventerà suo marito. Ma poi, << Siccome a Genova c’è solo il mare, ma de laurà ga n’éra mia>>, decidono di trasferirsi a Zurigo. E lì si formeranno una famiglia. La mamma di Stefania nasce, infatti, in Svizzera. Stessa nascita in terra straniera è toccata anche alla mamma di Fabio, la quale sposerà un palazzolese. I suoi genitori si erano trasferiti, prima a Urken sul Cantone Argao e poi a Shoflen, per lavoro, dove ci rimarranno per ventun’anni. Donne emigranti all’estero, anche oltreoceano che ci raccontano delle loro difficoltà dovute soprattutto alla lontananza dagli affetti, dalla famiglia e al problema della lingua, che ti paralizza, se non la conosci.



Abbiamo conosciuto anche donne straniere che, ora, arrivano nel nostro territorio spinte dall’indigenza e dalle necessità economiche a cercare un lavoro che possa contribuire al sostentamento delle loro famiglie. E proprio le testimonianze di queste donne ci aiutano a cogliere con maggiore luce quelle delle nostre nonne, zie, prozie, vicine di casa la cui storia non è stata scritta nei libri di scuola, ma che è risultata determinante perché storia fatta di duro lavoro, sacrificio, abnegazione, spesso mal considerato, consapevoli-loro sì- di avere un ruolo attivo nella propria famiglia. Si è cercato di offrire un aiuto alle donne straniere per dell’apprendimento della lingua italiana grazie alla distribuzione gratuita da parte dell'Ufficio Consigliere di Parità di Brescia di fascicoli illustrati, intitolati “Parole”, non un tradizionale vocabolario, ma immagini che si rifanno a situazioni concrete in cui ci si può trovare ogni giorno assistendo un anziano o accudendo bambini. Suggeriscono infatti i nomi degli oggetti, i modi di dire e i modi di fare locali.

In prima persona, le badanti hanno raccontato dell’utilità di questo fascicolo anche nelle azioni quotidiane spesso da noi considerate normali, quali far la spesa, oppure sottoporsi ad una visita medica o, semplicemente, chiedere dove si trova un ufficio postale.



Lo stesso problema lo racconta Carolina, emigrata da Chiari a Sciafusa in Svizzera per fare l'operaia, in uno stralcio del suo racconto: “La ditta ci aveva persino mandato a scuola, io avevo imparato molto bene la loro lingua, solo che la maggior parte parlava un dialetto tedesco. Allora i nostri datori di lavoro ci hanno detto che dovevamo imparate la vera lingua tedesca. E' stato difficile! La prima frase in tedesco che ho dovuto imparare era quella da utilizzare per il lavoro: “questa macchina è rotta”.

Invece nonna Cati, da Sarnico emigrata a Urken e a Schoflne ha imparato la lingua “ Un po' di qua, un po' di là, un po' dalle amiche, le parole che dovevamo usare tutti i giorni”.



Oggi le donne migranti, pur consapevoli delle difficoltà legate a questi spostamenti, persistono tenaci così come lo erano state le nostre donne un tempo, nella speranza di trovare con un’occupazione lavorativa anche se troppo spesso precaria e mal considerata quell’aiuto economico per favorire la crescita e il benessere delle loro famiglie, dei figli spesso lasciati nelle loro terre d’origine e per i quali non sempre è facile accettare il perché di questa lontananza.

Ancora una volta, ieri come oggi, con un vero e proprio spostamento ripetitivo e ciclico, le donne , come un esercito di silenziose, ma laboriose formiche dimostrano di essere protagoniste e figure indispensabili al sostentamento di intere famiglie.



Abbiamo voluto restituire loro la giusta dignità e il meritato valore.



A cura di Claudia Piccinelli

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