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Donne di mafia e donne contro la mafia

Donne di mafia e donne contro la mafia

L'associazione culturale A Voce Alta di Napoli ha presentato "Il castello di San Michele" di Laura Caputo.

Martedi, 02/04/2013 - Il 25 Marzo 2013, scorso, nella libreria Ubik in via Benedetto Croce a Napoli, l’associazione culturale A Voce Alta ha presentato il libro di Laura Caputo “Il castello di San Michele” insieme con Annamaria Torre di “Libera memoria Campania”, figlia di Marcello, e Angelica Romano della rete Lilliput, rappresentante di Libera Casalnuovo (Napoli).

Marinella Pomarici, presidente dell’associazione che si dedica alla promozione della lettura, di fronte ad una sala piena anche di giovani e con prevalenza femminile, ha presentato la giornalista e scrittrice Laura Caputo, che ha lavorato come cronista giudiziaria sia in Francia sia in Italia. Era presente anche la sen. Isa Ferraguti, già Consigliera di Parità della provincia di Modena, e attualmente Presidente della Cooperativa Libera Stampa, editrice di 'noidonne'. Il titolo del romanzo allude al castello mediceo di Ottaviano, paese cresciuto attorno a Raffaele Cutolo. Questo libro non appartiene al genere letterario sulla criminalità organizzata al quale siamo abituati: è la storia di una giornalista italo-francese cui l’editore ha chiesto di scrivere la vita di questo boss, detenuto da molti anni, che ha seminato il terrore in Campania. Ha inizio, così, una fitta corrispondenza con Cutolo che la invita a conoscere la sua famiglia (moglie, nipote, cugini, ecc…). La giornalista alloggia nell'unico albergo del paese di Settimiano (nome di fantasia) dove incontra amici e nemici del boss e in particolare un anziano maestro in pensione che la introdurrà ai molti e diversi meccanismi e comportamenti del mondo camorrista.

Il libro, secondo Marinella Pomarici, suscita molti interrogativi. Perché l’autrice ha preferito, data la sua conoscenza dell’argomento, adottare un punto di vista così ingenuo e usare nomi di fantasia?

La Caputo ha risposto con una domanda sorprendente per tutto il pubblico, sempre più attento, “Quante stelle ci sono in cielo?”. Questa domanda le era stata posta da un ragazzo campano, incontrato casualmente, che aveva saputo che lei stava scrivendo un libro su Cutolo, ed essendo in semilibertà da una condanna per 416 bis aveva bisogno di aiuto. Lei avrebbe dovuto rispondere: “Tante, le stelle sono sentinelle di camorra” per dimostrare la sua appartenenza al clan. La scrittrice ha voluto sottolineare che il suo sguardo ingenuo è dovuto al fatto di essere arrivata ad Ottaviano direttamente dalla Francia e alla sua scarsa conoscenza, in quel momento, della criminalità organizzata. Altra curiosità svelata dalla scrittrice è relativa alla scritta “Dio c’è” presente in molte strade della periferia di Napoli: utilizzando la frase in codice delle stelle, in quella zona si poteva essere aiutati dal clan della NCO. I nomi di fantasia sono stati usati non per timore di ritorsioni, ma perché l’abitudine all’illegalità, la presenza di zone grigie e la sudditanza alla criminalità organizzata sono fenomeni presenti in tutta Italia, comprese le regioni del nord.

La scrittrice ha anche raccontato vari episodi indicativi dell’atmosfera che regnava allora negli anni ’90 ad Ottaviano, quando il capo del clan rivale di Cutolo l’affrontò nel bar dell’albergo intimandole di andarsene dal paese e, colpito dalla sua ingenua imperturbabilità, le inviò addirittura un fascio di fiori. Naturalmente qualsiasi sua mossa era conosciuta immediatamente dall’intero paese, e la sua avventura alla ricerca delle verità sulla storia di Cutolo e sulla collaborazione abortita finirono realmente, come racconta nel libro, con l’incendio della sua automobile.

Interviene quindi Annamaria Torre che parte dal confronto della sua storia personale e di quella di sua madre, vittime della violenza della NCO, con quella delle donne di camorra come la moglie di Cutolo. La famiglia Torre è stata infatti privata di Marcello, sindaco di Pagani, onesto democristiano, ucciso per essersi voluto opporre agli appalti illegali che favorivano la NCO, al tempo del terremoto dell’80. Annamaria racconta le sue vicissitudini, di come è cresciuta nelle aule dei tribunali incrociando da vicino, anche se sotto scorta, la famiglia di Cutolo, chiedendo solo verità e giustizia. Ricorda sempre con orrore lo sputo a terra dopo la sentenza di condanna a Cutolo di Immacolata Iacone e la vita difficile dei familiari delle vittime della criminalità organizzata, contrassegnata però da un costante impegno civile. La sua resistenza è questione di esistenza.

Angelica Romano ha voluto ricordare che l’associazione Libera compie 18 anni, che don Ciotti definisce “gli anni della responsabilità” .

La parola corresponsabilità si addice anche alle donne di cui ci racconta Laura Caputo nel suo libro: le donne di Cutolo lo hanno sempre assistito durante la latitanza e gli anni di prigione, occupandosi di lui e delle sue attività criminali di cui sono state le portavoce.

Il “Castello di San Michele” descrive una realtà che i napoletani conoscono bene, ma la racconta con lo sguardo diverso di chi arriva da fuori, ricordandoci che spesso l’abitudine ha sottratto il diritto all’indignazione.

Ci racconta anche un aspetto nuovo di queste donne: entrando a casa Cutolo, portati per mano da Laura Caputo, guardando le inquietanti bambole della sua stanza da letto, mangiando o prendendo il caffè con loro si scopre il volto umano di chi vive una vita difficile dovuta a scelte sbagliate, per le quali, però, non vi è alcun pentimento.

Soprattutto il romanzo descrive il modello feudale imposto dalla camorra, basato su simbolismo e potere cruento. Un regno con un castello e una regina fondato su equilibri di un potere che si diceva basato sul rispetto, ma che in realtà si reggeva solo sulla paura.

Ancora una volta siamo costretti a riflettere sul ruolo delle donne nelle mafie. Corresponsabili lo sono sempre state, ma la loro funzione è cambiata negli anni. Sino agli anni ottanta si parlava solo di donne vittime e pensare alle donne come complici era difficile anche per i magistrati che troppo spesso le hanno lasciate impunite.

Annamaria Torre ha voluto ricordare che ora il Castello di Ottaviano è un bene confiscato, la terra attorno è coltivata da una cooperativa di giovani sostenuti da Libera dove vengono organizzate manifestazioni per ricordare il sacrificio delle vittime innocenti della criminalità organizzata e dove ha letto la lettera testamento del padre.

L’incontro così si è concluso con molti ringraziamenti da parte di tutte le partecipanti all’autrice perché ha offerto l’occasione di confrontarsi su di un tema ancora purtroppo così attuale.

Marinella Pomarici

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