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Due giorni a L'Aquila - di Rosanna Marcodoppido

Due giorni a L'Aquila - di Rosanna Marcodoppido

L’incontro nazionale ha visto oltre 600 donne provenienti da tutta Italia

Lunedi, 16/05/2011 - Il comitato donne “Terre-mutate” dell’Aquila (Donne in nero, Biblioteca delle donne Melusine, Centro antiviolenza) e la rivista Leggendaria hanno invitato le donne italiane a vivere per due giorni la città terre-mutata: incontri tematici, visite guidate, mostre fotografiche, proiezioni di video, musica, canto,danza, teatro e poesia, mercatini del commercio equo e solidale.

Il 7 e l’8 maggio l’incontro nazionale ha visto oltre 600 donne provenienti da tutta Italia animare L’Aquila; animare nel senso di restituire anima, respiro umano ad una città ostaggio di un silenzio assordante e di un vuoto di vita che è difficile da descrivere. L’Aquila delle transenne, dei divieti, dei ponteggi, alcune camionette dell’esercito e macchine della polizia; aperti solo qualche negozio, bar, ristorante in quella che era una elegante e bella strada cittadina. In tutto l’esteso centro storico palazzi, case, chiese, strade, vicoli restano immersi in un tempo rimasto sospeso dal 6 aprile del 2009. La visita nella zona rossa, con gli elmetti in testa a ricordare che il pericolo non è passato, non passa, è stata una esperienza di difficile traduzione. Era come abitare l’irreale, camminare in un fuori che si presentava nella sua oggettività, senza segni di vita, neppure una lucertola. E invece, nella parte più esposta dell’anima, la mia ma non solo, quelle case, quelle finestre quei balconi quei vetri rotti, frammenti di interni, si riempivano di suoni, rumori, voci di un normale quotidiano: bambine e bambini che strillano, il rumore di pentole e piatti, un cane che abbaia, il canto di una donna (a noi abruzzesi piace molto cantare). Nel lungo cammino a piedi ho avvertito la netta percezione di un estraniamento doloroso, innaturale, insostenibile: l’aria che si fa parete di vetro, duro cristallo tra ciò che vedi fuori e ciò che accade dentro di te. Il silenzio delle strade stride col fracasso che c’è nel cuore e che muove emozioni, paure, dolore, tanto dolore; ma anche il forte desiderio di ricomporre nonostante tutto un senso positivo dell’esistenza umana. Si prova un pudore che non consentirebbe parole, ma non ci si può permettere neanche di tacere: c’è l’urgenza di far sapere a chi non c’è e non ha visto o non vuole vedere. E tentare un racconto che chieda non solo solidarietà concreta, ma che sappia esprimere con forza la volontà di trovare la Politica in tutto questo, la politica del bene comune, contro le lungaggini della burocrazia, il malaffare, l’indifferenza, l’incuria, l’incompetenza. Ritrovare la Polis, ricostruire una polis.

Non si può raccontare tutto, dare conto del valore umano, culturale e politico di ogni singolo evento proposto a L’Aquila da donne preziose che mi sarebbe piaciuto conoscere e nominare una ad una.

Parlo perciò soltanto dell’ esperienza fatta nel gruppo “Donne in resistenza Contro la militarizzazione dei territori” che si è dovuto dividere in due perché la sala non riusciva a contenere tutte. Serenella Ottaviano nell’introdurre l’incontro ci ha invitate a partire proprio dalle impressioni suscitate dalla visita alla città. Questo ha consentito un registro comunicativo che ha intrecciato emozione, affettività, racconto di sé e riflessione politica; si è così realizzata una empatia che ha permesso un ascolto attento, una conoscenza reciproca al riparo da fastidiosi narcisismi e contrapposizioni distruttive.

Qualcuna ha detto: in presenza del mondo abbiamo come donne qualcosa da dire, a partire da L’Aquila e da quello che abbiamo visto.

Dalla militarizzazione del territorio, visibile a L’Aquila, ma anche a Vicenza, a Napoli, a Roma… si è passate a riflettere sulla militarizzazione delle menti e sui meccanismi culturali che trasformano l’alterità, ogni alterità in nemico. Ci si è soffermate sulla necessità di individuare e sconfiggere l’idea di nemico che nostro malgrado segna a volte anche noi stesse, i nostri pensieri, i nostri gesti.

Si è parlato di terremoto fisico e di quello strisciante che sta deformando il tessuto democratico del nostro Paese; della necessità di impegnarsi per il bene comune, come la terra ( noi ci sentiamo la terra!), l’acqua (si è fatto riferimento al prossimo referendum), l’informazione (recuperare la sua funzione sociale). Erano con noi domenica mattina due donne della Resistenza romana, Giovanna Marturano (anni 99!) e Luciana Romoli che ci hanno commosse con il loro racconto, la loro forza e fiducia nel futuro. E’ importante, è stato detto, essere consapevoli che siamo sempre in una condizione di resistenza all’esistente. Occorre riflettere su cosa è oggi un corpo di donna e sul perché spesso continuiamo, proprio noi, a trasmettere stereotipi sessisti nell’educare bambine e bambini. Abbiamo ragionato sui concetti di resistenza, resilienza, insistenza come capacità femminili necessarie per contrastare e sconfiggere il patriarcato vecchio e nuovo.

Ci siamo infine interrogate su cosa fare dopo queste due belle e intense giornate. L’Aquila è un bene comune, è stato detto, per questo siamo qui e da qui vogliamo ricominciare. Si parte dall’idea di acqua che rimanda al significato originale del nome della città, acqua che evoca radici mobili, non fondamentaliste, punto sorgivo di una nuova visione del mondo che deve nutrirsi di una tradizione ricca di tutto quello che le donne ci hanno lasciato. E’ stata proposta una sorta di staffetta per sostenere nei territori di provenienza la raccolta di fondi per una “Casa delle Donne Aquilane” e, nello stesso tempo, per mantenere viva e politicamente efficace questa rete nazionale di tanti colori che in tante hanno saputo tessere con competenza, fatica, intelligenza.

Ho visto tanto sapere, saggezza, sensibilità, passione politica in questi due giorni a L’Aquila che sono tornata a casa in uno stato di grazia, così raro, così lieve di questi tempi. E’ un dono grande quello che ci hanno fatto le donne aquilane, ora tocca a noi fare qualcosa per loro e per noi stesse, nelle nostre città, possibilmente con la stessa grazia e generosità.

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