Login Registrati
Filosofia della condivisione

Filosofia della condivisione

Secondo molti interpreti della filosofia della condivisione, il primo impegno della nostra vita, in qualità di esseri umani, è quello di promuovere l’amore, la gioia e la compassione, elementi chiave per una vita felice a livello individua

Martedi, 22/05/2012 - Nella redazione di questo articolo sono stato assistito da amici e compagni, che ringrazio di cuore per i loro consigli e la loro generosità. Li ringrazio per avermi dato modo di capire ancora una volta la bellezza della condivisione.







«Un giorno dovremo chiederci: “Perché ci sono 40 milioni di poveri in America?”. E, quando cominceremo a rispondere a quella domanda, si solleveranno questioni sul sistema economico e sulla più ampia distribuzione della ricchezza. Quando si fa quella domanda, si comincia a mettere in dubbio l’economia capitalistica. Sto dicendo semplicemente che, sempre più spesso, dobbiamo iniziare a interrogarci sulla società nel suo complesso. È nostro compito aiutare i mendicanti scoraggiati sulla piazza del mercato della vita. Ma un giorno dovremo capire che un edificio che produce mendicanti ha bisogno di essere ristrutturato. Significa che vanno sollevate delle questioni. Vedete, amici miei, quando si affronta questo tema, si comincia a chiedere: “Chi è il proprietario del petrolio?”. Si comincia a chiedere: “Chi è il proprietario delle miniere di ferro?”. Si comincia a chiedere: “Come mai la gente deve pagare le bollette dell’acqua in un mondo fatto per due terzi di acqua?”. Questa sono le domande da porre».



Martin Luther King



(citato da Raj Patel in Food Movements Unite! Strategie per trasformare i nostri sistemi alimentari, p. 163-164)





I. Secondo molti interpreti della filosofia della condivisione, il primo impegno della nostra vita, in qualità di esseri umani, è quello di promuovere l’amore, la gioia e la compassione, elementi chiave per una vita felice a livello individuale, familiare e sociale. In questa particolare fase storica segnata da una grave crisi finanziaria, politica ed etica, questi fattori non sono coltivati a sufficienza, ed è per questo che l’uomo necessita di fare del loro sviluppo la sua priorità. Ciò significa riconoscere la responsabilità che abbiamo gli uni verso gli altri, verso la vita nel suo insieme e verso le generazioni future.

Tale sviluppo può certamente partire dalla famiglia, che rappresenta la prima scuola di virtù umane e sociali. Essa è il luogo in cui è possibile educare i figli ai valori essenziali della vita, al senso della vera giustizia, del rispetto della propria e altrui dignità, ma ancora più al senso del vero amore, come sollecitudine e servizio disinteressato verso gli altri. La famiglia strappa l’uomo dall’anonimato, è in grado di mantenerlo cosciente della sua dignità personale e di arricchirlo di profonda umanità. La famiglia rappresenta la prima scuola di socialità. In quanto comunità d’amore, essa trova nella condivisione e nel dono di sé i fattori che la guidano e la fanno crescere.

Nella famiglia è dunque possibile dare l’avvio a un approccio nuovo alla vita, di responsabilità universale che si estende oltre i suoi stessi confini.



«Questa è la nostra guida per il presente e la nostra visione per il futuro: una libera comunità di nazioni, indipendenti ma interdipendenti, che uniscano nord e sud, est e ovest, in un’unica grande famiglia degli uomini, superando e trascendendo gli odi e le paure che travagliano la nostra epoca. Noi non raggiungeremo questo obiettivo oggi, o domani. Non lo raggiungeremo forse durante il corso della nostra vita, ma la sua ricerca rappresenta la più grande impresa del secolo».



John Fitzgerald Kennedy



(Messaggio sullo stato dell’Unione, 11 gennaio 1962)





II. Di quale parte del mondo siamo originari non ha molta importanza: tutti non siamo altro che esseri umani. Tutti cerchiamo la felicità e vogliamo evitare la sofferenza. Abbiamo essenzialmente gli stessi bisogni e le stesse preoccupazioni. Come ci ricorda lo studioso Raj Patel, i problemi con cui oggi siamo chiamati a misurarci sono stati prodotti dall’uomo, si tratti di brutali conflitti, della distruzione dell’ambiente, della povertà o della fame. Tali problemi possono essere risolti mediante l’impegno dell’uomo, comprendendo che siamo fratelli e sorelle e promuovendo questo senso di fratellanza.

La nostra responsabilità è direttamente chiamata in causa nei conflitti provocati dall’ideologia, dalla religione, dalla razza o dall’economia. È dunque giunto per noi il momento di pensare in termini di umanità, a un livello più profondo, nel quale si prenda in considerazione con rispetto l’uguaglianza con gli altri, che sono esseri umani come noi. Dobbiamo costruire rapporti di buon vicinato improntati a reciproca fiducia, mutua comprensione e solidarietà, senza fermarci alle differenze di cultura, di filosofia, di religione o di credo.

Se prendiamo coscienza del fatto che condividiamo un identico bisogno di tendere verso la gioia, di amare e di essere amati, ci accorgiamo che ogni persona che incontriamo, in ogni circostanza, è nostro fratello o nostra sorella. Il fatto che il suo volto non ci sia noto, che il suo abito o il suo comportamento non ci siano familiari, poco importa. Tra noi e l’altro non esistono discrepanze significative. Fermarsi alle differenze esteriori non ha senso, perché la nostra natura fondamentale è identica.



«… Ma la pace non risiede soltanto negli statuti e nei patti: essa alberga nel cuore e nella mente dei popoli. E, se ne viene scacciata, nessuna legge, nessun patto, nessun trattato, o nessuna organizzazione può mai sperare di preservarla. Pertanto non fondiamo tutte le nostre speranze di pace sulla pergamena e sulla carta, sforziamoci anche di edificare la pace nel cuore e nella mente dei nostri popoli».



John Fitzgerald Kennedy



(All’ONU, 20 settembre 1963)





III. In ultima analisi, l’umanità è una sola e l’unica nostra casa è questo piccolo pianeta. Se vogliamo proteggerlo, ciascuno di noi deve vivere l’esperienza della condivisione. Solo così facendo potremo eliminare le spinte dell’egoismo che inducono la gente alla prevaricazione del prossimo. Viviamo tutti quanti in un mondo intrappolato nell’antica competizione, che cerca di risolvere i propri problemi con metodi vecchi e sorpassati, mentre la risposta – la cooperazione – è nelle nostre mani. Soltanto la cooperazione e la giustizia salveranno gli uomini da un disastro compiuto da essi stessi. Qui risiede la chiave del loro futuro.

La nostra vita dipende a tal punto da quella altrui che alla radice della nostra esistenza c’è un essenziale bisogno d’amore. Per questo è buona norma coltivare in noi un autentico senso di responsabilità e una sincera preoccupazione per il benessere altrui. Si tratta certamente di una importante rivoluzione del modo di sentire, pensare e agire, che inizia a fare seriamente i conti con l’idea di interdipendenza.

Questa rivoluzione interiore che i filosofi della condivisione vanno invocando altro non è che un riorientamento etico del nostro atteggiamento di fondo: si tratta di imparare a tener conto delle aspirazioni altrui non meno che delle nostre. Tale rivoluzione scaturisce dall’intimo, dal desiderio profondo di trasformarsi per diventare uomini e donne migliori. L’intenso spirito di competizione che domina la nostra vita, generando paura e profonda insicurezza, va abbandonato al più presto e sostituito dalla cooperazione, che parte dal riconoscimento che l’umanità è una. In passato le comunità potevano permettersi il lusso di concepirsi come separate. Oggi, però, ciò che accade in un paese ne chiama in causa molti altri. Il mondo è sempre più interdipendente. Nel contesto di questa interdipendenza, l’interesse personale non può prescindere dall’interesse degli altri. Se non comprendiamo e non alimentiamo già a partire dalle giovani generazioni un senso di responsabilità universale, il nostro stesso futuro è in pericolo. Dobbiamo imparare a lavorare non soltanto per noi, per la nostra famiglia o la nostra nazione, ma per il bene dell’umanità. Tendiamo a scordare che, a dispetto delle diversità di razza, religione, cultura, lingua o ideologia, condividiamo tutti lo stesso fondamentale diritto alla pace e alla felicità.



«Se la libertà non fiorisce in tutti i paesi, non può fiorire in uno solo. Concepita in un solo luogo, essa deve essere diffusa in molti altri… Oggi non vi sono problemi esclusivamente tedeschi, o problemi esclusivamente americani, o persino problemi esclusivamente europei. Vi sono problemi mondiali… Anche la nostra libertà è messa in pericolo se ci fermiamo a contemplare l’attimo fuggente, se riposiamo sugli allori, se opponiamo resistenza alla marcia del progresso. Ché il tempo e il mondo non sono statici. Il mutamento è la legge della vita, e certamente coloro che guardano solo al passato finiranno col perdere il futuro».



John Fitzgerald Kennedy



(Discorso nella Paulskirche di Francoforte, 25 giugno 1963)





IV. La condivisione e la responsabilità universale rappresentano il miglior fondamento possibile per arrivare alla nostra felicità personale e alla pace mondiale. Si tratta, tra l’altro, di offrire a tutti un equo accesso alle risorse naturali e di preservare l’ambiente per le generazioni future. L’attività dell’uomo sta infatti provocando ovunque una veloce distruzione degli elementi chiave sui quali si basa l’ecosistema naturale di tutti gli esseri viventi.

Per contrastare questa condotta nociva, dobbiamo diventare più consapevoli della nostra mutua dipendenza e dedicarci ad azioni giuste, animate da istanze migliori, volte ad aiutare la Terra e i nostri simili. Ci servono conoscenze che ci rendano capaci di prenderci cura di noi, di ogni luogo della Terra e della vita che lo abita. Questo riguarda anche le generazioni a venire, perciò l’educazione in materia di ambiente rappresenta una priorità per tutti.

Il nostro piccolo pianeta non è solo patrimonio comune dell’umanità, ma anche fonte ultima della nostra vita. Sfruttandone in misura eccessiva le risorse stiamo minando il sostrato della nostra esistenza. La tutela e la conservazione della Terra non costituiscono una questione etica o morale, ma un problema reale di sopravvivenza. L’ambiente del nostro pianeta, con le sue limitate risorse, richiede la sollecitudine di tutti, non solo – come afferma Eric Holt-Giménez – di quei pochi «visionari con una sete insaziabile di giustizia». La protezione della vitalità, della diversità e della bellezza della Terra è un compito sacro al quale non possiamo più sottrarci. È venuto il momento di diventare uomini e donne che, come padri e madri amorevoli, si prendono cura della natura, garantendo il benessere della grande famiglia umana e di tutte le altre forme di vita.

Molti filosofi della condivisione insistono inoltre nel ricordarci che questo benessere passa come prima cosa da una sovranità alimentare su cui l’uomo sta ancora faticosamente lavorando. Il cibo e l’ambiente sono al centro di tutte le preoccupazioni del mondo odierno: non solo ciò che mangiamo, ma anche chi produce il cibo e come. Dal momento che un sesto della popolazione mondiale soffre la fame (e presto ne vedremo delle belle anche nei paesi più sviluppati come il nostro), tali preoccupazioni stanno crescendo e un numero sempre più grande di esperti avverte la necessità di adottare al più presto un indirizzo alternativo alle attuali politiche neoliberali. Questo indirizzo è senza dubbio la sovranità alimentare, ossia il diritto dei cittadini di determinare le politiche alimentari e agricole e di decidere cosa produrre, come farlo e quali attori della produzione scegliere. Essa consiste nel diritto a risorse pubbliche come l’acqua, il suolo e le sementi e richiede politiche basate sulla solidarietà fra i cittadini e fra consumatori e produttori. È garantire un cibo socialmente sostenibile e prodotto in modo ecologico, che rappresenti ovunque una fonte di lavoro per le persone.



«Se una società libera non riesce ad aiutare i molti che sono poveri, non riuscirà mai a salvare i pochi che sono ricchi»



John Fitzgerald Kennedy



(Discorso d’insediamento, 20 gennaio 1961)





V. A dispetto dei rapidi sviluppi che la civiltà ha conosciuto nel secolo scorso, la causa immediata della nostra attuale situazione risiede nell’avere privilegiato esclusivamente il progresso materiale e la ricerca di profitti a breve termine. Ci siamo applicati a perseguirli con una tale frenesia che ci siamo dimenticati dell’essenziale bisogno umano di amore, di benevolenza, di solidarietà, di dolcezza. Un autentico senso di responsabilità non può non prescindere dalla compassione e solo uno spontaneo senso di empatia nei confronti degli altri può spingerci ad agire in loro nome.

L’homo empaticus dà l’avvio a una rivoluzione del cuore che riporta al centro i valori umani e pone l’accento sulla dimensione spirituale che restituisce al potenziale umano tutta la sua portata, schiudendo la via a una trasformazione interiore che porta a una trasformazione del mondo. L’homo empaticus fa inoltre emergere l’urgenza di cambiamenti sostanziali nei nostri valori, nelle nostre istituzioni e nel nostro stile di vita. Per evolverci dobbiamo riconoscere che al centro della grande diversità di culture e di forme di vita formiamo un’unica umanità e un’unica comunità, che sulla Terra condivide un destino comune. Stiamo entrando in una fase storica nuova che richiede gli sforzi di tutti per dare vita a una durevole società mondiale, fondata sul rispetto della natura, sui diritti universali dell’uomo, sulla giustizia economica e su una cultura di pace.

Chiamato a essere sale della terra, presenza discreta ma significativa nel miglioramento delle condizioni di vita dei suoi simili, l’homo empaticus mette al centro della propria vita l’amore, che significa volere il bene dell’altro, desiderare la sua felicità, significa scomodarsi, impegnarsi, servire, donarsi. Meglio di ogni altro, il termine donarsi addita a ogni cammino d’amore il suo vero e definitivo traguardo. Amare non è tanto donare quanto donarsi. È unirsi ai propri doni, anche i più materiali; è mettere in essi tutto se stessi, il proprio cuore, indipendentemente dai ringraziamenti e dalle ricompense altrui.

Da qui la necessità di muoversi nell’ottica di una nuova pedagogia della condivisione che nutra l’ambizione di mostrare all’uomo la gioia di essere, anche andando contro la mentalità dominante e i tanti luoghi comuni che stabiliscono la priorità dell’avere.

Concordi con quanto ha recentemente ricordato lo studioso Andrea Braggio, dobbiamo innanzitutto riconoscere che, una volta soddisfatti i bisogni di base, l’evoluzione dell’umanità non è una questione di avere di più, ma piuttosto di essere di più.





Bibliografia consigliata



D. Harvey, The New Imperialism, Oxford University Press, New York 2003.

E. Holt-Giménez, Campesino a Campesino: Voices from Latin America’s Farmer to Farmer Movement, Food First Books, Oakland 2006.

R. Patel, I padroni del cibo, Feltrinelli, Milano 2008.

R. Patel, Il valore delle cose e le illusioni del capitalismo, Feltrinelli, Milano 2010.

E. Holt-Giménez e Raj Patel con Annie Shattuck, Food Rebellions! La crisi e la fame di giustizia, Slow Food Editore, Bra 2010.

E. Holt-Giménez (a cura di), Food Movements Unite! Strategie per trasformare i nostri sistemi alimentari, Slow Food Editore, Bra 2011.

Jeremy Rifkin, La Terza Rivoluzione Industriale, Mondadori, Milano 2011.

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®