Cinquanta anni fa veniva approvata la legge che istituiva i Consultori, definiti 'familiari', anche se nascevano da una lunga lotta delle donne come struttura tutta per loro
Proprio a fine luglio di 50 anni fa veniva approvata la legge che istituiva i consultori, definiti familiari, anche se nascevano da una lunga lotta delle donne come struttura tutta per loro: difficile infatti averli visti frequentati da qualche uomo che non fosse un medico.
Io c’ero, da quando incominciò a prendere forma il processo per ottenere la nuova struttura del nostro sistema sanitario nazionale, anche se i partiti che l’avevano sostenuta, oppure contestata e poi coralmente approvata, non avevano capito bene che cosa realmente fosse.
Le donne avevano capito benissimo non solo perché l’avevano chiesta, ma perché l’avevano immaginata. All’origine era diversa. L’idea accumulava tutto lo scontento di cittadine che dovevano fare i conti con una famiglia sempre più pesante sia che una lavorasse, sia che dovesse barcamenarsi con lo stipendio del marito. Ricordo bene di che cosa ragionavamo nei tanti incontri nei paesi intorno a Bologna e alle feste delle donne dell’Udi.
Si sfogliava tutto il cahier de doléance femminile e non ci pareva vero metter fuori la nostra voce per chiedere allo Stato, da legittime cittadine, un luogo di nostra cittadinanza in cui aprire a soluzioni operative esigenze che, in gran parte tuttora latenti, affondavano nella sabbia della vita quotidiana, ma che dovevano trovare riconoscimento della differente sensibilità dei bisogni umani, per dare a tutti - uomini e donne - effettività alla varietà e specificità dei bisogni. Per questo all’origine si chiedeva un luogo in cui trovassero risposta esigenze riferite alla qualità di un vivere che doveva essere un ben-vivere.
Evidentemente il corpo femminile ha richieste relative alla complessità dei suoi meccanismi che, se la donna lo desidera, sono anche riproduttivi, quindi un Consultorio giustamente dà la precedenza a medici e analisti. Ma succede che la donna abbia problemi da risolvere circa l’educazione dei figli (quando, come avviarli alla responsabilità del corpo sessuato?). Perché non poter consultare gli esperti, magari in riunioni con altre madri? Oppure: una di noi vorrebbe adottare un bambino; oppure ha problemi di relazione con il suo compagno, teme che la coppia si sia persa e vorrebbe sapere, tanto per informarsi che cosa siano separazione o divorzio. E’ sposata; ma anche la convivente ha problemi relativi alla proprietà della casa: dove trovare, senza spendere per una consulenza, un avvocato se non nel Consultorio, disponibile su richiesta? Come dire: il Consultorio come luogo di incontro di interessi comuni per aiutare la società a perdere gli stereotipi e i pregiudizi e a migliorare gli interessi dei due generi, curandone le richieste a partire da quello femminile.
La legge invece ha medicalizzato il servizio, radicalizzazione accettata sostanzialmente dall’utenza che si è adeguata a un luogo “secondo la norma”, in cui la democrazia si misura solo parzialmente con la vita reale delle relazioni umane.
Oggi la questione è tutta politica: l’impoverimento del sistema sanitario nazionale in corso da alcuni anni ha intaccato i Consultori che dovevano essere 2.900 e, radicalmente ridotti e privi di finanziamenti, sono destinati all’estinzione se non si torna all’impegno per la difesa di tutti i diritti sociali. Che sembra del tutto immaginaria, visto che la tematica è scomparsa dalla prospettiva di lotta della sinistra e dello stesso femminismo. Un po’ triste ricordare l’ambizione delle donne di un paio di generazioni fa che pretendevano di realizzare per il loro genere i “bisogni ricchi” che un certo Carlo Marx giovane ricordava ai maschi del suo tempo.
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