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Il centro antiviolenza dell'Aquila

Il centro antiviolenza dell'Aquila

Viaggio tra le macerie, umane e sociali, per ricostruire, insieme

Martedi, 15/11/2011 -
Il centro antiviolenza dell’Aquila sta vivendo una situazione di enorme disagio, determinata, tra l’altro, dalla mancanza di una sede fissa, che aumenta ulteriormente i già copiosi problemi, implicitamente connessi alla gestione di un centro antiviolenza. Al contempo, numerosi sono i progetti portati avanti, a sostegno di una rinascita del territorio.

Ne parla l’avvocatessa Simona Giannangeli, la quale è, tra l’altro, una delle operatrici che lavorano attivamente nel centro antiviolenza stesso.



Se e come si è risolta la situazione di disagio derivata dalla mancanza di uno spazio per il centro antiviolenza? I 3 milioni di euro stanziati sono arrivati a destinazione?




All’indomani del terremoto sono stati stanziati dei fondi destinati ai centri antiviolenza in Abruzzo. Tuttavia, durante l’estate del 2009 abbiamo lavorato in spazi rimediati. In seguito, nel mese di ottobre, abbiamo, a nostre spese, individuato una sede e, insieme al consultorio AIED e alla biblioteca della donna, abbiamo riaperto una sede, interamente pagata da noi.

I 3 milioni promessi, pensati per ristrutturare gli edifici danneggiati, non sono mai arrivati, ed ora pare che siano fermi alla Regione. Stefania Pezzopane, assessora dell’Aquila, ha rivolto una domanda formale alla ministra Carfagna, per conoscere il destino di questi milioni, e stiamo attendendo una risposta.

Oggi siamo un centro antiviolenza che si sostiene da solo, con gli aiuti del comune e dell’ONG Pangea. Ma soprattutto, siamo un centro che ha potuto riprendere l’attività grazie all’aiuto giunto da tutta Italia, da donne più o meno organizzate.

Storicamente, come centro antiviolenza nasciamo nella biblioteca della donna. Attualmente siamo in una sede in affitto e nella nostra struttura coesistono il consultorio AIED, la biblioteca donne e il centro antiviolenza.





Quali risultati state ottenendo grazie al comitato DONNE TERRE-MUTATE?



All’indomani del terremoto, alcune donne della rivista Leggendaria stamparono un numero monografico sull’Aquila, nel giugno del 2010. Dopo ci fu un movimento importante di donne che decisero di andare avanti. Da qui ci siamo aggregate con donne di esperienze diverse da quelle dell’Aquila. Da quest’esperienza è nato DONNE TERRE-MUTATE, un comitato di donne che all’Aquila già operavano in varie associazioni e comitati. Ci siamo unite per condividere un percorso: terremoto, discarica, o altro, sono eventi che sottraggono i luoghi, lo violentano. Oltre la natura, tutto quello che succede ora all’Aquila è frutto di scelte umane scellerate.

Un terremoto ha tolto territorio, luoghi comuni, socialità: ci sentiamo come polverizzate e vogliamo riappropriarci del territorio. L’obiettivo è la costituzione di una casa delle donne come luogo simbolico e concreto, in cui ricomprendere tante esperienze come centro antiviolenza.



Attualmente, quali sono le problematiche maggiori che dovete affrontare come centro antiviolenza? Sono cambiate a seguito del sisma?



L’esperienza delle donne che si rivolgono a noi ci racconta di una violenza domestica, di molestie ad opera di ex conviventi, datori di lavoro, di una violenza che si ripercuote sui figli.

A seguito del sisma nelle storie di violenza si sono aggiunti elementi ulteriori dovuti al trauma del terremoto, con conseguenze varie come la maggiore fragilità e la maggiore difficoltà ad allontanarsi dalla situazione di violenza e a reperire altre soluzioni. Purtroppo, la mancanza di una casa rifugio complica il tutto, l’emergenza del terremoto continua e non ci dà soluzioni.

Oggi le case rifugio sono piene perché sono poche, non ci sono strutture in numero sufficiente, quindi si creano delle paradossali liste d’attesa, l’individuazione di una struttura per la casa rifugio è un’emergenza. Così si riconsegna la donna alla situazione di violenza dalla quale vorrebbe uscire. Difatti, la frammentazione familiare è una delle conseguenze del terremoto, ed anche quel poco aiuto che in questi casi può offrire la rete familiare si ritrova a essere indebolito.

Una delle nostre battaglie fondamentali è per una casa delle donne, ma come centro antiviolenza.

Questo 31 dicembre terminerà finalmente lo stato di emergenza all’Aquila(iniziato il 6 aprile 2009). Ritorniamo così in possesso del potere decisionale sul nostro territorio.



Qual è il numero di persone che si rivolgono a Voi mediamente in un mese?



Nell’arco del mese si rivolgono a noi, come primo contatto, dalle 7 alle 11 donne, naturalmente con variazioni. Questi primi contatti non sempre diventano percorsi di accoglienza. All’inizio, infatti, cerchiamo di stabilire un rapporto di fiducia e scambio con le donne che si rivolgono al centro. Noi siamo tutte operatrici, abbiamo fatto corsi di formazione, accrescendo il nostro patrimonio di conoscenze. L’operatrice della prima accoglienza è quindi una di noi, che siamo una ventina. Durante questa prima accoglienza c’è un colloquio aperto, generale, in cui si fa in modo che parlino loro. A volte chiedono loro specificamente di rivolgersi a qualcuno, alcune decidono solo percorso psicologico, altre un percorso legale, altre decidono di fare solo il colloquio con un’operatrice.





L’età media e la provenienza geografica e culturale delle donne che si rivolgono ai Vostri centri hanno subito delle variazioni?



Tante sono le donne italiane che si rivolgono a noi, tante le migranti, con un’incidenza di donne migranti che provengono dalla Romania o dall’Est Europa. L’età delle donne che si rivolgono a noi varia dai 20-25 anni ai 60. E tante sono quelle tra i 30 e i 40. Relazioni fatte di fidanzamenti più o meno brevi, rapporti in cui, dopo due o tre anni, i compagni si rivelano altro. Così le giovani donne con giovani uomini violenti diventano un modello negativo violento e diffuso. Cade pertanto lo stereotipo dell’uomo violento visto come uomo avanti nell’età, povero o straniero.

Le violenze provenienti da famiglie bene sono insospettabili e incontrollabili perché non possono essere monitorate da servizi sociali, non ce n’è l’apparente necessità. Il rischio di non essere credute aumenta.

Quando il centro è stato fondato, nel 2007, all’inizio venivano donne d’età avanzata. Poi abbiamo costituito una rete con la questura, i carabinieri, i servizi sociali, il pronto soccorso, man mano che ci siamo radicate sul territorio, diffondendoci, chiaramente questo ha fatto si che ci conoscessero a più livelli. Questo è stato un risultato straordinario.

È stato fatto un lavoro davvero capillare. Oggi la struttura è accettata e riconosciuta. Ad esempio in aprile siamo state invitate dall’Ordine dei Medici a tenere un corso di formazione relativo alla violenza di genere, con ortopedici, ginecologi, e ci hanno già richiesto altri interventi. Faremo stessa cosa per la questura. Svolgiamo anche servizio come sportello antiviolenza per il Comune dell’Aquila, che ci vede in rete con il servizio sociale del comune. L’obiettivo è rendere più fluido l’arrivo al centro antiviolenza così da evitare scoraggiamenti durante il percorso.





Quali sono le Vostre iniziative per il prossimo 25 novembre?



Il 25 faremo un’iniziativa come comitato DONNE TERRE-MUTATE, perché abbiamo intenzione di riprendere discorso su progetto sulla Casa, da intendere come corpo collettivo. Ripartendo dall’idea che qui è stata fatta violenza al territorio, ed ha riguardato tutte e tutti.

Abbiamo individuato, ma ancora dobbiamo vedere se ci concedono la sede, in centro storico, complesso di San Domenico, dove c’è una sala. Ma ad oggi non abbiamo ancora avuto risposta. Abbiamo realizzato video, soprattutto delle donne di 7 ed 8 maggio, legandola all’oggi, desiderio ed energie. È un incontro di scambio per mantenere comunque il senso politico della nostra scelta.



Piera Francesca Mastantuono

(15/11/2011)

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