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Il genere della stampa

Il genere della stampa

- La vivacità e i limiti del giornalismo femminista e le numerose testate che hanno avuto vita breve. Un focus sulle esperienze romane degli anni Settanta del secolo scorso e non solo

Giancarla Codrignani Lunedi, 02/05/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2016

Le donne non hanno mai avuto un buon rapporto con l'informazione: le "suffragette" non sono mai riuscite a farsi chiamare suffragiste sui giornali né le "staffette" ad essere, come furono, partigiane. Anche le giornaliste ci giudicano strane se diciamo che voteremmo la Clinton per paura di Trump e per femminismo quasi quasi preferiremmo Sanders. 



Quando diventiamo editrici, entusiasmiamo le affiliate, ma viviamo di resistenza: in settant'anni di libera Repubblica abbiamo visto molte pubblicazioni nascere e morire per esaurimento delle redattrici e incostanza delle lettrici. C'entrano certamente le crisi e, anche oggi, la gente che per risparmiare si informa solo per tv (e se ne vedono i risultati!); ma non è così vero. 



 



Di fatto, da un lato c'è il dato oggettivo di non avere "mecenati" di genere, ma conta soprattutto il cedimento a rabbie e scoraggiamenti indotti dal sistema che invade specificamente le donne, quelle che si disperano ma dopo i crolli tirano su le case. Finisce che non vanno a votare. Della serie come farsi ancor più male.



 



Un numero di Genesis del 2008 riesaminava, in un articolo di Federica Paoli, la stampa femminista romana degli anni Settanta (del secolo scorso), nata dal bisogno di "partire da sé", senza fermarsi solo al piccolo gruppo e senza condannarsi all'oralità: bisogno di avere un luogo del problematico e del non risolto. Noi Donne dal 1944 aveva aperto la strada; Adriana Seroni (sezione femminile Pci) nel '69 fece uscire "Donne e politica", il Filf (Fronte di Liberazione Femminile) "Quarto mondo" e l'Mld (Movimento di Liberazione della Donna) "La nuova luna"; di "Compagna" uscirono solo quattro numeri; "Mezzo cielo" e "Se benche siamo donne" fecero parte dell'extrasinistra proletaria. Nel 1975 uscì DWF, cultural-accademica, che è ancora su piazza, mentre sono state meteore solo romane altri fogli di controinformazione femminista (tra cui "Lilith", "Zizzania", "Tutte le donne") che per ovvie ragioni pratiche non riuscirono ad impegnarsi in continuità. Tre testate, comunque, diverse tra loro, hanno rappresentato l'esperienza femminista di quegli anni: "Differenze", "Quotidiano donna" ed “Effe” che, per la Paoli, rappresentò la testimonianza più significativa. Nasce all'inizio degli anni '70, dalle volontà di giornaliste e intellettuali che furono delle "maestre". Oltre a Daniela Colombo, da non dimenticare: Adele Cambria, Grazia Francescato, Gabriella Parca, Alma Sabatini, Adele Teodori, Vanna Vannuccini. In dieci anni, tra debiti e divisioni interne al movimento, la volontà di contrapporsi ai giornali femminili del mercato e di fornire alla donne non solo romane, ma dell'intero paese l'informazione su ciò che "direttamente o indirettamente le riguardava" si scontra con le diverse scuole di pensiero femministe che contrapponevano emancipazione a liberazione. La rivista diventa mensile e tira fino a 30mila copie; pubblica i documenti femministi in circolazione, aspira ad essere il punto di riferimento nazionale, non vuole finanziamenti pubblici, non cerca egemonie, ogni articolo deve essere condiviso dalla redazione, l'obbligo di una direttrice non doveva significare maggior rappresentatività. Viene accusata di voler "dare la linea" al movimento, di banalizzare per andare incontro alle non-femministe, di diluire il "potenziale rivoluzionario" … mancherà insomma il riconoscimento, mancherà la solidarietà alla portata politica della rivista. Troppo grande la difficoltà di chi muoveva dall'autocoscienza, dal partire da sé (ma non era per capire come coniugare le differenze tra noi), da un'aspirazione all'omogeneità per il solo fatto di essere l'Altra. Per questo rifiutava l'istituzione che, per essere stata (e continuare ad essere) ordinata al maschile, era estranea al pensiero delle donne. Voler destabilizzare il mondo dell'informazione senza avere un progetto alternativo - per esempio, anche nella distribuzione - non solo era un handicap, ma rischiava di risolversi in un adeguamento. E anche “Effe” fu assorbita dal "sistema". 



 



Nei decenni successivi molti altri giornali potrebbero essere citati, dal settimanale “Il Paese delle Donne” (che inizia la sua avventura nel 1985 e che oggi è on line) a “Marea”, che ha festeggiato di recente venti anni di pubblicazioni. L'esempio della stampa femminista degli anni Settanta a Roma è molto parziale, ma indicativo. Negli anni e in molte città e paesi le iniziative sono state tantissime, ma assai poche di rilievo nazionale, consultabili pubblicamente e archiviate. Oggi molto viaggia su rete, anche qui con dubbi sulla futura conservazione dei materiali.



 



“NOIDONNE” continua. È la sola che ce l'ha fatta su piano nazionale, senza cedere ai rotocalchi, senza prendere posizioni femministe di scuola, tenendo la testa in ordine in un mondo che sta sfuggendo ai controlli e in cui le donne rischiano assai. Ha sempre mediato in mezzo alle contrapposizioni sociali, alle mode, agli interessi politici e alle istituzioni democratiche (democratiche sì, ma quanto inclusive del nostro desiderio?). Fa parte della storia e per questo sente il diritto di essere sostenuta dallo Stato. Ma, soprattutto, proprio mentre il mondo cambia radicalmente e “NOIDONNE” vuole esserci, dalle donne che ne sentono la voglia. Fino a quando? 



 



 

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