Festeggiare il giorno della Liberazione del nostro paese dal nazifascismo significa anche rivivere il passaggio da un “prima” e un “dopo” vissuto da migliaia di donne e uomini che hanno lottato
Lunedi, 20/04/2020 - Il 25 aprile, anniversario della Liberazione, è una delle date collettive più importanti per le donne e gli uomini di questo paese. Perché significa ricordare la radice e l’identità stessa della nostra preziosa democrazia. Per questo, guai a chi vorrebbe annullarla o sbiadirla con trovate vergognose. Non ci sarebbe questa nostra Costituzione, questa nostra democrazia, senza quella Liberazione.
Chiamano un’ausiliaria perché mi svesta e la incitano a picchiarmi: “Mi sporcherei le mani, per questa gentaglia, si deve adoperare il mitra”. Il primo interrogatorio fu aspro e duro, accompagnato da botte e punzecchiature col pugnale, al fianco destro e al cuore. Mi dicevano che domani all’alba mi avrebbero fucilata. Vaghi dice: per fare parlare questa disgraziata bisogna adoperare altri mezzi. Mi portarono in camera di sicurezza. Il pomeriggio continua l’interrogatorio ma non riescono a sapere altro che il nome di due individui creati dalla mia fantasia; del materiale dico di non sapere nulla, perchè non sono che una staffetta. Ebbi altri tre interrogatori. Il 28 febbraio mi riportarono in questura e poi nel carcere. Entrai nel carcere sorridendo: pensavo che quelle porte di ferro presto per volontà dei partigiani si sarebbero aperte. Era già penombra quando mi condussero in cella: i miei occhi non abituati non vedono nulla, sento però un forte abbraccio di una giovane, una biellese. Ero attesa. Trovai due compagne di Biella che conoscevo e mi sentii meno a disagio. C’erano sei brande. Le compagne mi informarono che avevano la compagnia di pidocchi e cimici. Per me non c’era la branda ma la giovane unì due brande e dormimmo in tre. I primi giorni furono lunghi e tristi: la privazione di notizie mi rendeva nervosa, ma poi a mezzo della guardiana ebbi contatti con i compagni di fuori e la vita divenne meno dura. Il 26 marzo ricevetti la prima lettera di mia madre. Discussioni politiche purtroppo se ne potevano fare poche perché c’era con noi una ladra , moglie di un milite della brigata nera e poi perché era difficile discutere. ll 24 aprile per un cambio vanno a casa due compagne. Il giorno dopo una lieta notizia: i partigiani hanno occupato Biella, dice una donna tornata dall’interrogatorio. Dalla felicità non si sta più ferme, si cantano le canzoni partigiane. Nella notte attendiamo la liberazione e perciò non si dorme. Il mattino seguente sappiamo che i partigiani sono alla periferia di Vercelli. Viviamo in un’ansia febbrile: ad ogni rumore corriamo ad aggrapparci alle sbarre della finestra. I cancelli non sono più chiusi: possiamo passeggiare nello stretto corridoio. Alle 13 scendiamo nel piccolo cortiletto delle galline per prendere aria. Poco dopo sentiamo la voce dei giovani partigiani prigionieri che vogliono impadronirsi della mitragliatrice e dei fucili. Il sottocapo si oppone, sta per avvenire una mischia ed il capo telefono alla Questura. Questa da l’ordine di aprire le porte ai prigionieri politici”.
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