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Il mio ‘68 di Catherine Spaak

Il mio ‘68 di Catherine Spaak

1968/2008 - "trovavo che le donne italiane fossero molto in ritardo; il contrasto con la realtà francese era sconcertante. Ero stupefatta che le ragazze a 18 anni non andassero a vivere per conto loro, che fossero così controllate"

Bartolini Tiziana Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2008

“Il ’68 l’ho vissuto un po’ di riflesso. In quegli anni lavoravo moltissimo, facevo un film dopo l’altro, e non ero consapevole di quello che stava accadendo in Italia. Venivo da Parigi e per quello che riguardava il costume trovavo che le donne italiane fossero molto in ritardo; il contrasto con la realtà francese era sconcertante. Ero stupefatta che le ragazze a 18 anni non andassero a vivere per conto loro, che fossero così controllate. In Francia le donne erano molto più libere e potevano esprimersi con autonomia anche con progetti di lavoro e di carriera. In Italia c’era il delitto d’onore mentre in Francia c’era il divorzio già da molti anni”. Abbiamo intervistato Catherine Spaak, bella oggi quanto ieri, durante le prove per l’impegnativo monologo ‘Vivien Leigh. L’ultima conferenza stampa’ di Marcy Lafferty (tradotto e adattato dalla stessa Spaak) che ha debuttato a Roma a fine ottobre. “Ero sul set e non avevo rapporti con il mondo della scuola, ma avvertivo un fermento che però non mi sembrava qualcosa di straordinario: lo avevo già vissuto in Francia e quindi tutto quello che accadeva lo percepivo come molto naturale. Per me era logico che in una situazione con quei ritardi ci fosse un desiderio di affrancamento”. Ma come era il mondo dello spettacolo negli anni sessanta? “Sul set i giovani erano pochi e poi c’era un maschilismo pesante. Lo trovavo strano perchè avevo creduto che l’ambiente cinematografico fosse libero e di larghe vedute, invece la situazione era analoga a quella della società italiana. Sul set c’erano tre donne: l’attrice, la segretaria di edizione e la sarta. Il resto della troupe era composta di uomini, che per quanto riguardava le donne avevano una mentalità molto arretrata: o sante o puttane. Non che trattassero le attrici in modo irrispettoso, ma capitava anche la battuta offensiva e l’atteggiamento maschile nei confronti delle donne era decisamente negativo. Ero stupefatta di questa situazione”. La giovane Catherine spesso interpretava ruoli di adolescenti spregiudicate. Uno stereotipo che è stato anche un fardello. O no? “Non saprei dire, non me ne sono mai preoccupata. Certamente l’immagine di quegli anni fu forte. Cambiò la moda, il costume il modo di pettinarsi, vestirsi, rapportarsi con i ragazzi. Cominciò la libertà sessuale e cambiarono anche i modelli femminili. Nel ‘60 andavano le maggiorate: donne formose, rotonde, burrose. Poi arrivarono ragazze longilinee, asciutte, con un erotismo più celebrale. Questo nuovo modello ha corrisposto con la mia fisicità e anche con un modo non spregiudicato (perché non lo ero affatto) ma più libero, quello sì, di esprimere opinioni e gusti. Tutto questo ha fatto in modo che in quegli anni fossi un punto di riferimento. Ero adorata dai giovani, le ragazze si pettinavano e si vestivano come me”. Quella giovane attrice francese ha aiutato dunque le ragazze italiane a conquistare le loro libertà? “No, pensare questo sarebbe presuntuoso. Sicuramente ho rappresentato la tipologia della nuova donna. Ho avuto anche la fortuna di fare dei film con registi e sceneggiatori che avevano intuito questo cambiamento e che lo proponevano”. Una vita passata sotto i riflettori. Ci sono differenze oggi, con il passato? “E’ cambiato tutto. Oggi sul set ci sono moltissime donne, prima non era concepibile. All’epoca si girava con delle grosse macchine da presa e il regista era presente sul set. Oggi il regista è in un gabbiotto, lontano; non guarda quello che accade mentre si gira ma lo vede direttamente sullo schermo. Allora si sviluppava la pellicola e ci si riuniva in una sala dove c’era una proiezione settimanale del girato. Oggi il regista vede subito il risultato finale, può intervenire immediatamente su quello che sarà il prodotto finale”. Secondo lei il ‘68 e tutti i cambiamenti che arrivarono furono positivi? ”Sì assolutamente. C’è stato un progresso. A distanza di tanti anni osservo che per quanto riguarda l’evoluzione femminile siamo in una fase di stasi, anzi stiamo tornando indietro”. Perché oggi ci sono delle critiche al ’68 ? “Mi sembra ridicolo incolpare il ’68 dei problemi che viviamo oggi, causati da altri fattori. L’accelerazione che ha impresso la tecnologia, anche alla nostra vita quotidiana, è stata troppo veloce: i cellulari, i canali televisivi che ci consentono di essere testimoni dal vivo di ciò che accade nel mondo contemporaneamente all’evento. C’è anche un altro fattore di cui non si parla mai: quanti milioni di persone di più ci sono al mondo. Oggi ci accalchiamo in code e assistiamo a disastri ecologici. La vita quotidiana era diversa e diverso lo spirito. Con il famoso boom italiano della ricostruzione dopo la guerra c’era la speranza di qualcosa di migliore, i giovani erano pieni di sogni. Oggi cosa può sognare un giovane? Tutto è diventato più difficile e faticoso. Io non vorrei mai avere vent’anni oggi”. Vorrebbe dire qualcosa, alle giovani di oggi….”Non voglio dare consigli, non fa parte del mio carattere. Spesso ho la sensazione che queste giovani non sappiano cosa è successo prima che loro nascessero, che cosa hanno fatto le loro madri e le loro nonne. E’ un gran peccato perché sembra che tutto sia possibile, che sia dovuto. E anche da disprezzare, in un certo modo. Invece dovrebbero sapere come era la vita negli anni quaranta, cinquanta e sessanta e dovrebbero apprezzare le battaglie che hanno fatto le donne per ottenere dignità e rispetto, una certa parità nel costume e nel lavoro, libertà nella vita sessuale e nei rapporti con gli uomini, garanzie con la legge e tutele dei diritti. Questa libertà, che è il frutto di tante lotte delle donne nate prima di loro, è utilizzata in modo erroneo. La libertà sessuale, ad esempio, non è andare a letto col primo che capita. La liberta in generale è qualcosa di estremamente positivo. Invece molti giovani vivono la loro libertà in modo distruttivo, addirittura come una specie di fardello. Il discorso evoca altre considerazioni e le conclusioni dicono che, purtroppo, c’è stato qualcosa che è fallito, che è andato male. Bisogna ritrovare il senso della propria vita, del proprio essere, della propria dignità. E penso anche ai ragazzi, non solo alle ragazze”.



Come eravamo”noidonne”



Tutto è cambiato rispetto al ’68. In meglio perché le donne hanno conquistato libertà e autonomia…..ma? C’è qualcosa che non va. Cosa? Per le donne e per gli uomini, nella stessa maniera? La vita è cambiata per tutti, donne e uomini, ma ci sono differenze. Quali?



(Scrivi riflessioni e opinioni anche sul tuo ’68 a: redazione@noidonne.org)



(11 novembre 2008)

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