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Il primo schiaffo, il racconto di Matilde Tortora

Il primo schiaffo, il racconto di Matilde Tortora

... Alzò gli occhi e guardò in viso sua suocera... e il suo futuro le sembrò profilarsi come se lo potesse vedere...

Mercoledi, 10/01/2024 -

Il primo schiaffo lo ricevette quando erano da poco fidanzati. Lui le aveva regalato un gattino quel tanto che aveva smesso d’essere svezzato, lo aveva scelto per quanto gli era sembrato che ella dovesse amarlocon imperio,senza se e senza ma. Ella veramente non è che avesse mai pensato di volere un gatto e, d’altronde, se lo avesse voluto, non è che mancassero dei vicini a cui chiederlo.

Piccolo sì, ma intraprendente assai, non si sa come né mai lo si venne a sapere, il gatto la seguì una mattina in terrazzo dove s’era recata a stendere i panni e dal pertugio dello scolo dell’acqua che era abbastanza largo il gattino sgusciò via; l’acqua piovana la si sente scivolare giù, rende asciutto il pavimento del terrazzo e fa di nuovo brillare alla vista i lapilli che l’eruzione recente aveva deposto là, quel gattino scivolò giù senza che lei se n’accorgesse e potesse salvarlo.

Lui l’incolpò di non amarlo abbastanza. Lo scroscio della mano sul viso la sorprese più che farle male, non seppe fare altro che chiudere gli occhi e ricordarsi di un lapillo dove giorni prima era inciampata e cadendo in avanti s’era sbucciata il palmo di una mano e un ginocchio.

Seguirono settimane di scuse, invii di pacchi di cioccolatini, biglietti nervosetti di pentimento, parole d’amore, ripetute a profusione. Lei di tutto incolpò il pertugio, l’acqua piovana, il terrazzo, i panni che aveva dovuto stendere ad asciugare e non da ultimi i lapilli; lo perdonò e di nuovo egli venne in casa il giovedì pomeriggio e la domenica a farle visita, come era consentito al fidanzato allora nelle case dei borghesi.

Quando la madre di Lui le portò la parure di brillanti in dono alcuni giorni prima delle nozze, le disse che era appartenuta a lei e prima ancora a sua madre e che aveva piacere che ora appartenesse a lei; lei aprì la scatola che conteneva gli orecchini e il pendentif (questo era il nome della lunga collana con un grosso brillante al centro) e non ebbe bisogno di prenderla in mano per paragonarla a un grosso lapillo sebbene fosse brillante e chiara a differenza del nero dei lapilli.

Alzò gli occhi e guardò in viso sua suocera, così a lungo che ne poté poi per anni ricordare il reticolo di rughe intorno agli occhi, l’espressione triste che aveva e il suo futuro le sembrò profilarsi come se lo potesse vedere.

Mise il pendentif il giorno delle nozze. Non tardò esso a rivelarsi ossuto, nero, infido lapillo su cui ripetutamente inciampare.

 

Questo racconto è parte di una campagna a cui hanno aderito scrittrici e giornaliste italiane per denunciare la violenza di genere e nominarla

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