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Il quarto comandamento

Il quarto comandamento

La vera storia di Mario Francese, giornalista che a Palermo sfidò la mafia e del figlio Giuseppe che gli rese giustizia

Sabato, 24/09/2011 - RECENSIONE A “IL QUARTO COMANDAMENTO” di Francesca Barra – Rizzoli – euro 17,90



La storia di Mario Francese, giornalista che a Palermo

sfidò la mafia e del figlio Giuseppe che gli rese giustizia



di Paolo Gatto


“Il quarto comandamento” di Francesca Barra è un libro che lascia il segno nella memoria e nelle coscienze. Si legge come un thriller con l’ansia del come andrà a finire ed è un mix equilibrato di passione civile, di delicatezza dei sentimenti, di cronaca e storia, di storia palermitana del giornalismo, di vicende individuali, giudiziarie e di mafia che s’intrecciano, si sfiorano, si contrappongono, si allontanano e di nuovo si mescolano e rispetto alle quali ti senti inspiegabilmente immerso nell’ambiente e tra i protagonisti grazie ad una tecnica narrativa di forte impatto che prima di tutto ti stupisce e poi ti ammalia, ti prende, piacevole e insieme misteriosa.

Quasi lo vedi questo delitto di mafia del giornalista Mario Francese. Stai là, nel lontano 1979, 26 gennaio. E sei vicino a quei quattro ragazzi, i figli, e alla madre che piangono assieme. E ai cronisti, alle forze dell’ordine, alla gente, ai mafiosi col volto mascherato di costernazione e di lutto che invece gioiscono nel loro intimo per essersi liberati di un ficcanaso di giornalista che aveva capito sin da subito come si stava evolvendo la mafia e lo scriveva sul suo giornale che per la verità avrebbe preferito “smussare”, attenuare, evitare alcune certezze. Erano i tempi in cui i corleonesi cominciavano ad imporsi come gruppo trainante della nuova mafia che voleva farsi imprenditrice, infiltrarsi nelle istituzioni e arraffare quanto più possibile col commercio clandestino della droga di massa e con altri illeciti, corrompendo e ammazzando.

Mario Francese aveva fiutato una pista e ne argomentava la consistenza e l’importanza: la diga Garcia, dopo un terremoto, quello del Belice e l’inevitabile ricostruzione: 1000 miliardi di lire italiane di valore complessivo, per capirci.

Quando uno muore la disgrazia non investe solo la vittima. Che ne sarà dei familiari, delle mogli, dei figli? E’ questo l’incerto e lacerante percorso esistenziale e storico nel quale ci conduce Francesca Barra. Grazie a lei siamo pellegrini, curiosi esploratori in questo viaggio in terra di storia sicula e di mafia nel quale a libro aperto veniamo trasferiti come per un incantesimo. Ci scopriamo così gomito a gomito coi quattro figli della vittima, condividiamo con essi lacrime e sorrisi, la loro stessa ansia di ricostruire gli episodi di vita professionale del padre per la riapertura del processo. Più di vent’anni di lavoro, di sofferenza, segnati inizialmente in un attimo dal piombo esploso da chi vuole affermarsi nella vita e in mezzo al suo prossimo estirpando col sangue e con le stragi le forze sane, pulite, gli “ingenui” come Mario Francese con modalità operative molto simili al contrasto di una metastasi all’incontrario dove estirpi le cellule buone e lasci quelle malate, quelle che è garantito che uccideranno il corpo sociale e le sue capacità immunitarie contro ogni germe, ogni infezione, ogni attacco, piccolo o grande, alla vita dell’intero organismo.

Passano nel “Quarto Comandamento” personaggi e scorci di realtà veri, pentiti di mafia, la Procura di Palermo, l’amore per gli animali, gli affetti delle radici e del sangue comune fra fratelli e fra genitori e figli, le ipocrisie e le connivenze, le rabbie e le solitudini, con sofferta partecipazione e con ironia. E primeggia tra i protagonisti il figlio più piccolo della vittima: Giuseppe, artefice della ricostruzione certosina delle carte di papà da dare ai magistrati per il processo.

Non vi racconto tutta la storia. Leggetela, se volete. Alla fine è straziante e purificatrice per il lettore. Per i protagonisti è un altro discorso. Ma in un corpo malato di cancro si tolgono le cellule infette non quelle buone. Altrimenti non può che succedere il peggio.

Concludo con un auspicio. Che questo libro diventi un film e giri il mondo. E’ una storia emblematica e grandiosa insieme della Sicilia e dell’Italia del periodo fine anni Settanta–Duemila. Una storia che vede contrapposte grandi scelleratezze ed elevate e nobili grandezze spirituali. Una storia che nel complesso ci riscatta un po’, ci fa piangere e ci fa soffrire. Ma che, fatta com’è di carne e di sangue senza ipocrisie né pudore, ci fa lucidamente anche sperare.

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