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In assemblea, verso la manifestazione nazionale del 26 novembre contro la violenza di genere

In assemblea, verso la manifestazione nazionale del 26 novembre contro la violenza di genere

Sabato scorso a Roma si è lavorato a tentare di superare le differenze tra i vari femminismi italiani, giovani donne con quante invece hanno consolidato nel tempo la loro esperienza di mobilitazioni e rivendicazioni.

Martedi, 11/10/2016 -
Chi sabato 8 ottobre abbia varcato la soglia dell’aula di Psicologia dell’Università La Sapienza di Roma si è trovata di fronte a centinaia e centinaia di donne accorse all’appello “Non una di meno” per preparare la manifestazione nazionale contro la violenza di genere, da tenersi il prossimo 26 novembre a Roma. A creare le condizioni per la buona riuscita di questo confronto pubblico c’è stato il lavoro predisposto nei mesi immediatamente successivi al femminicidio di Sara Di Pietrantonio, allorquando si è ancora di più evidenziata la necessità di forme d’impegno nuove. Caratterizzate dalla consapevolezza che la violenza sessuata non possa continuare ad essere considerata quale una questione privata riguardante le sole donne, ma bensì un fenomeno a valenza collettiva perché connesso all’incapacità maschile di costruire relazioni improntate al rispetto con l’altro genere. Di qui è stato breve il passo a focalizzare l’analisi preliminare sulla declinazione delle varie forme di violenza contro le donne, tant’è che nell’assemblea di sabato le voci di chi ha preso parola si sono sostanziate dei temi che al proposito più le riguardavano.

Così la precaria dell’Istat, le insegnanti, le operatrici a tempo determinato dei servizi sociali, le lavoratrici del commercio e quelle siciliane delle cooperative del terzo settore, la rete aquilana di solidarietà ad una vittima di stupro, una ginecologa non obiettrice, un’ avvocata attivista dei diritti delle donne in sede processuale, solo per citare alcune delle sessanta intervenute in circa cinque ore di assemblea, hanno evidenziato “la necessità che si lavori alla formulazione di un’Agenda politica delle donne” (Sara, Rete Io Decido). Una volta condivisa l’attestazione dell’incapacità istituzionale ad affrontare il fenomeno della violenza di genere, come ha sostenuto Titti Carrano presidente di DiRe, si è iniziato il confronto per capire quali modalità d’azione scegliere. “Il sistema culturale che è alla base della violenza contro le donne è correlato al sistema di potere, sicchè entrambi devono trasformarsi. Come? Con rivendicazioni che ci vedano unite, perché non possiamo più permetterci di essere pezzetti staccati gli uni dagli altri” (Vittoria Tola, presidente dell’Udi).

Questo è stato il punto dirimente del confronto successivamente sviluppatosi, ossia la constatazione che “Non una di meno” debba essere la parola d’ordine anche tra le donne che intendano predisporre un programma di rivendicazioni politiche” (Rosangela Pesenti, Sconfinate). Nella consapevolezza che non si possa prescindere dal rapporto con le istituzioni, connotandolo al contempo con uno specifico approccio femminista. Dismettere le differenze tra le varie espressioni in cui si sostanziano i femminismi italiani, peraltro non tutti presenti all’assemblea romana, come anche fugare la correlata paura, a dire di Ornella Pucci dell’Arci, è stato un punto di forza nell’elaborazione collettiva evidenziatasi nel corso del confronto tra le sue partecipanti. Altrettanto la volontà di non avallare “il separatismo tra i sessi, perché la libertà delle donne è per tutti” (Martina). Per questo motivo alla manifestazione del prossimo 26 novembre “ci saranno a sfilare con le donne anche gli uomini coscienti che occorra riportare l’ottica di genere nell’agenda politica” (Michela, Lucha y Siesta).

Altro elemento di condivisione appalesatosi in assemblea ha riguardato la necessità che si evitino strumentalizzazioni politiche di qualsiasi sorta, ragione per la quale è stato deciso che non dovranno esserci né simboli di partito né di sindacato. Il momento è particolare e chiedere al governo di tenere nel debito conto “la richiesta di una riscrittura femminista del Piano nazionale antiviolenza” (Chiara, Infosex) non può essere intesa come un’intromissione a gamba tesa nello specifico clima referendario. Il rilievo non è di poco conto, perché si scende in corteo criticando le scelte governative che sinora sono state approntate in tema di contrasto alla violenza di genere, non solo quelle dell’attuale esecutivo, nella prospettiva di marcare i punti qualificanti da presentare nelle future interlocuzioni con le istituzioni pubbliche preposte. Donne in mobilitazione che, quindi, “non debbono diventare merce di scambio per la riforma istituzionale” (Barbara Bonomi Romagnoli) e che “non vogliono legittimare alcuna passerella sui propri corpi” (Lella Paladino, centro antiviolenza Caserta).

Poiché “le conquiste delle donne hanno tempi terribilmente lunghi”, come ha sostenuto Rosanna Oliva di Aspettare stanca, non si deve concorrere a mandare gambe all’aria tutto il lavoro preparato per la riuscita della manifestazione nazionale, facendosi strumentalizzare da chi vorrebbe etichettare il corteo come una rivendicazione politica delle femministe contro il governo attuale proprio in pieno clima referendario. L’assemblea romana ha fugato questa prospettiva di lettura, che sarebbe estremamente pericolosa anche alla luce del lavoro dei tavoli di discussione che le donne riunite il 27 novembre intraprenderanno per redigere la vera e propria agenda politica. Questi luoghi di elaborazione, che si auspica quali “tavoli intersezionali di condivisione” (Caterina, Fuxia Block), saranno otto: “Narrazione della violenza attraverso i media: come immaginarne un ribaltamento in chiave femminista”; “Educazione alle differenze, all’affettività e alla sessualità: la formazione come strumento di prevenzione e contrasto alla violenza di genere”; “Diritto alla salute, libertà di scelta, autodeterminazione in ambito sessuale e riproduttivo”; “Piano legislativo e giuridico”; “Percorsi di fuoriuscita dalla violenza e processi di autonomia”; “Femminismo migrante”; “Lavoro e accesso al Welfare” e “Sessismo nei movimenti”.







Sabato scorso a Roma si è lavorato a tentare di superare le differenze tra i vari femminismi italiani, giovani donne con quante invece hanno consolidato nel tempo la loro esperienza di mobilitazioni e rivendicazioni. Tutte insieme consapevoli della necessità di relazioni improntate ad un’idea orizzontale della politica, perché a detta di Rosanna Marcodoppido dell'UDI: “Nel rapporto con generazioni diverse non devono esserci relazioni diseguali, perché io ho una ricchezza di saperi, ma non ho quelli di chi sta vivendo in questa contemporaneità i problemi della diseguaglianza”. Probabilmente è proprio la coscienza di essere obbligate a superare le differenze in nome di un obiettivo più alto, in un momento storico di forte arretramento sul fronte della tutela dei diritti delle donne italiane, che ha comportato la riuscita dell’assemblea di preparazione della manifestazione nazionale del 26 novembre. E, come sostiene Simona Sforza, che idealmente era a Roma: “Oggi siamo unite perchè ci hanno sottratto troppi diritti e questo non è un Paese per donne…..Non perdiamo l’occasione. Altrimenti davvero ci meritiamo tutto e ci dovremo tenere chi ci usa come marionette”. Ora più che mai le varie generazioni femministe intendono camminare insieme, responsabilmente coscienti che “Nessuna di meno” non sia solo un corteo di oggi ma una meta di domani per tutte, nessuna esclusa.

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