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La leggenda di Edith Piaf

La leggenda di Edith Piaf

Un ricordo a cento anni dalla nascita di Edith Piaf, la leggenda di un'eroina fragile e forte

Lunedi, 03/08/2015 -
“È stata il simbolo di un’Epoca: un’eroina fragile e forte, generosa e romantica. A cento anni dalla nascita Parigi e non solo rendono omaggio a un’artista unica, adorata dal popolo, tanto da raccogliere centinaia di migliaia di persone al suo funerale, nel 1963”



Di monelli di strada senza casa e senza famiglia che vivevano di espedienti e piccoli furti, cantanti o saltimbanchi improvvisati, nella Parigi degli anni ‘30, parla una canzone popolare: “les momes de la cloche”. Anche Edith Gassion, in arte Piaf, era una di loro. La leggenda vuole che sua madre, colta dalle doglie per strada, fu aiutata a partorire da un “flic”, nel quartiere povero di Belleville. Oggi, sulla facciata del civico 72 di Rue de Belleville si legge: “Il 19 dicembre del 1915 nacque in questa casa nella più cruda povertà, Edith Piaf, la cui voce qualche anno più tardi avrebbe incantato il mondo”. La madre, Annette Jeanine Maillard, era una cantante girovaga di origine livornese, figlia di un domatore di pulci. Il padre, Louis Gassion, era un artista di strada: saltimbanco e contorsionista. In quel periodo Louis si trovava al fronte della prima guerra mondiale, e Annette per sopravvivere, riprese la sua attività girovaga subito dopo il parto, con lo pseudonimo di Line Marsa, e affidò la piccola ai genitori anziani. La nonna e il suo vecchio, erano una coppia di “spugne”, e non avevano la benché minima idea delle più elementari cognizioni di igiene.

Così, quando Louis tornò dal fronte, si ritrovò davanti un esserino malnutrito, con la testa troppo grande, e il corpicino coperto di infezioni. Per questo non trovò di meglio che togliere la bambina ai nonni, per affidarla alla sorella, tenutaria di un bordello.

Ben presto la piccola diventò la mascotte delle “signorine della casa”, ma i suoi guai non erano finiti. A tre anni rischiava di rimanere cieca per una cheratite mal curata. Praticamente chiusa in casa, tutta sola, per consolarsi Edith comincia a cantare, e i vicini aprono le finestre per ascoltarla. Finalmente, quasi all’improvviso, la sua vista migliora. Il padre decide nel frattempo che la bambina, ormai guarita, non può continuare a vivere con una zia “maitresse” in un ambiente inadatto e corrotto. La porta con sé, in un circo dove lavora come saltimbanco. Ma il circo fallisce e Gassion si ritrova senza lavoro. Non gli resta che tornare al suo primo palcoscenico: la strada. Edith collabora con il papà: quella bambina fragile e malaticcia, con una voce straordinaria, commuove il pubblico che elargisce elemosine ai due. A diciassette anni conosce una sorellastra: Simone Berteaut, detta “Momone”, con lei forma una specie di società. Edith canta e Momone passa a riscuotere tra la folla. Le due condividono una monocamera in un quartiere povero, con un giovane fattorino, Louis Dupont, detto “Petit Louis”. Con lui dividono tutto: cibo, spese, preoccupazioni…letto. Qualche mese più tardi Edith rimane incinta di una bimba: Marcelle. Anche dopo la nascita di Marcelle continua la vita di stenti. La bimba si ammala e muore di meningite. Edith e Simone fanno una colletta per provvedere alla sepoltura, ma non racimolano abbastanza. Mancano dieci franchi all’importo richiesto da Municipio, e per quei dieci maledetti franchi Edith decide di prostituirsi. Dalla strada ai locali malfamati il passo è breve. Ma in uno di questi, in Rue Pigalle, viene notata da Louis Leplée, proprietario di un cabaret degli Champs-Élysées. Sarà il suo primo Pigmalione. Dopo qualche mese Louis decide di lanciarla: organizza per lei una grande soirée invitando nel suo locale i più bei nomi di Parigi. Tra gli altri sono presenti: Maurice Chevalier, Mistinguett. Edith va in scena con il solito striminzito vestitino nero cui è affezionata. Pallida, immobile, illuminata da un occhio di bue. Solo le mani si muovono, e la voce. “Una voce così potente – confiderà Jean Cocteau dopo averla sentita cantare – che proviene da un corpo così piccolo, ha del sovrannaturale”. Ma papà Leplée un giorno viene assassinato misteriosamente. Dopo qualche mese Edith si riprenderà dalla disgrazia, grazie all’incontro con il suo secondo benefattore, quello definitivo: Raymond Asso. Edith ha vent’anni, lui più del doppio. Asso è un uomo colto, sensibile, ed è un Pigmalione esigente: vuole che la “monella” impari a vestirsi e a pettinarsi, a lavarsi i denti almeno due volte al giorno, a non bere fuori pasto, a non cantare canzoni sguaiate.

Le impone regole di vita precise: dormire, fumare poco, non frequentare più certi amici. Affidatasi ad Asso, legata a lui anche da profondo affetto, Edith diventa una stella. È sempre grazie a lui che conosce Jean Cocteau, scrittore e commediografo di successo, che scriverà per lei “Il bell’indifferente” e “La voce umana”.

Cocteau diventerà il suo più grande amico, sino alla morte. La guerra purtroppo separerà Edith da Asso. Seguirà un periodo intenso di lavoro e amori: Yves Montand, Charlez Aznavour, lanciati da lei come cantanti. Dal 1945 in poi Edith è protagonista di grandi tournèe che ne consacrano la fama nel mondo: in Svizzera, Grecia, Italia, Norvegia, ed Egitto. Quello che maggiormente colpiva chi la sentisse cantare era che nelle sue interpretazioni sapesse usare di volta in volta toni aggressivi e duri, per passare quasi contemporaneamente a inflessioni dolci, tenere, con uno spirito gioioso che solo lei era in grado di evocare. Durante una tournée a New York incontra quello che sarebbe stato il vero grande amore della sua vita: il pugile francese Marcel Cerdan. I due socializzano subito. Marcel, a dispetto del suo aspetto massiccio da peso massimo, è un uomo dolce e gentile, delicato e generoso, privo di malizia, completamente diverso dagli uomini che sino ad allora la Piaf aveva frequentato. Il 22 Giugno del 1949 Cerdan perde il titolo di campione del mondo contro Jack La Motta. Edith che non è con lui, perché impegnata in una serie di concerti, lo prega di raggiungerla al più presto con il primo aereo. Marcel obbedisce, l’aereo però precipita. Il dolore prostra Edith a tal punto che le impedisce di esibirsi in pubblico per mesi. Dopo il silenzio, nel 1951, riprende l’attività concertistica con una nuova canzone, scritta da lei dopo la morte di Cerdan: “Hymne à l’amour”. È un trionfo.

Nel 1952 accetta di sposare il compositore Jacques Phillis. È di questo periodo un grave incidente d’auto, che le procura la frattura delle costole e delle braccia.

Edith vuole continuare a cantare, e per sopportare il dolore delle fratture, si fa iniettare della morfina. È attratta da quel rimedio che fa dimenticare il dolore, ma ne ha anche paura: la madre era morta di overdose nel 1945. Nel 1956 si separa dal marito: in quel periodo aveva conosciuto George Moustaki, che avrebbe scritto per lei “Milord”. Moustaki non ha un carattere facile: è ribelle, intollerante, infedele.

Distrutta da un faticosissimo tour americano e dalle continue liti con Moustaki, Edith nel 1959 ha un altro grave incidente automobilistico. Lei stessa è alla guida della vettura. Dovrà subire una serie di dolorosi interventi dovuti alle emorragie interne. Ricade nell’abuso di alcool e droga. Geoge Moustaki la lascia. Di nuovo è a pochi passi dalla fine. Si salva grazie all’incontro con un musicista, Charles Dumont, che le propone di interpretare quello che sarebbe diventato un altro grande successo: “Non, je ne regrette rien”, ma questo non basta a tirarla fuori dalla disperazione. È un periodo di depressione e tristezza: per non sentirsi sola, invita a casa amici di ogni genere, spesso gente che approfitta del suo stato per derubarla. È senza risorse, senza più voglia di vivere, quando incontra Thèo Lamboukas, un giovane parrucchiere greco, presentatole da un comune amico. Da anni Thèo è segretamente innamorato di Edith, le chiede subito di sposarla, vuole prendersi cura di lei anche se tra loro ci sono vent’anni di differenza. Insieme a Thèo Edith ricomincia a condurre una vita più tranquilla e riprende a cantare in pubblico. Si fa accompagnare in sala di incisione dal suo nuovo amore. Nel 1962 i due decidono di coronare il loro legame con il matrimonio greco-ortodosso. Purtroppo il giorno dopo Edith viene ricoverata per un malore al fegato, intossicato dall’abuso di morfina. In clinica Thèo non la lascia mai: la sorveglia, la accudisce, la pettina. Ma un giorno di riposo per il giovane provoca la tragedia: un visitatore incosciente la convince ad interrompere la dieta, per mangiare un’omlette, di cui Edith è ghiotta. È il coma epatico. L’annuncio della sua morte nell’Ottobre del 1963 provoca un’ondata di commozione in Francia e in tutto il mondo. Ai suoi funerali, sono presenti quarantamila persone, ma niente preti né preghiere ufficiali, perché la chiesa di Roma aveva decretato che “la cantante era vissuta in stato di pubblico peccato”. Tra i presenti: Charles Aznavour, Yves Montand, Marlene Dietrich sua grande amica, e tanti altri confusi tra la folla. “È stato un trionfo, proprio come lei avrebbe voluto”, commentarono tutti i giornali.

Poco dopo Jean Cocteau, grande amico ed estimatore della cantante, incaricato di scriverne l’elogio funebre, sarebbe morto d’infarto.




HYMNE A L’AMOUR (scritta da Edith Piaf per Marcel Cerdan)

Potrebbe oscurarsi il cielo su di noi, e la terra sprofondare.

Non m’importa, se tu mi ami.

Me ne frego di tutto il mondo.

Fino a che l’amore illuminerà i miei giorni,

e il mio corpo tremerà sotto le tue mani,

che vuoi che m’importi di qualunque problema,

se tu mi ami.

Andrei fino ai confini del mondo,

mi tingerei di biondo, se tu me lo chiedessi,

conquisterei la luna,

ruberei la fortuna se tu me lo chiedessi,

e se un giorno la vita ti separasse da me,

non m’importerebbe se tu mi ami,

perché anch’io…morirei con te.




Alma Daddario

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