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La strage 'nascosta' di nazista di Sant'Anna di Stazzema - di Patrizia Minella

La strage 'nascosta' di nazista di Sant'Anna di Stazzema - di Patrizia Minella

Con “Era un giorno qualsiasi” (Terre di mezzo editore) Lorenzo Guadagnucci scrive di come, per caso, il padre Alberto sfuggì all'eccidio

Lunedi, 10/07/2017 - Le pagine di “Era un giorno qualsiasi” (Lorenzo Guadagnucci, Terre di mezzo editore, pagg 196, euro 12) sono attraversate da un dialogo tra padre e figlio, nato all'interno della storia di famiglia, un dialogo a volte serrato, tra il nipote e il figlio di una delle vittime innocenti della strage nazista di Sant'Anna di Stazzema, la signora Elena Guadagnucci, rifugiatasi a Sant'Anna con il figlio Alberto dalla costiera Fiumetto, frazione di Pietrasanta, dove viveva.

Un caso, solo un caso, la volontà di Alberto, allora bambino di dieci anni, di seguire un amico con il suo nonno nel bosco, lo salvò dalla strage in cui furono uccisi atrocemente 393 civili (le vittime identificate), soprattutto donne e bambini.

La strage rimase nascosta, o per meglio dire ignorata, per 60 anni fino a che un coraggioso e tenace magistrato iniziò il processo a La Spezia. Dopo le testimonianze dei superstiti e dei familiari, dopo le condanne del 2004, Sant'Anna divenne un simbolo delle tante stragi naziste di civili che insanguinarono tutta l'Europa e anche il nostro paese.



Lo scrittore, Lorenzo il nipote, si è immedesimato nella voce narrante del padre Alberto, che ci conduce attraverso le pagine del libro, raccontandoci la storia della sua vita, da prima della tragedia all'infanzia da orfano, all'impegno con l'ANPI per mantenere viva la "memoria dell'offesa". Lorenzo è un giornalista, testimone dei fatti della scuola Diaz di Genova, per cui il nostro paese è stato di nuovo condannato dalla Corte Europea per i diritti umani di Strasburgo il 22 giugno 2017. La sentenza ha stabilito che le leggi italiane sono inadeguate a punire e quindi prevenire gli atti di tortura commessi dalle forze dell'ordine.



Come è stato ad esempio per gli atti di tortura perpetrati dalle forze dell' ordine nella notte tra il 20 e 21 luglio 2001 nella scuola Diaz, ai margini del G8 di Genova, contro diverse persone. E' la stessa ferocia contro le "nude vite" che Lorenzo ritrova nella storia della nonna Elena, di cui resta al padre "una piccola fotografia in bianco e nero" e lo sconvolgimento di non averla saputa aiutare quando la ritrovò ferita a morte accanto ai cadaveri carbonizzati degli altri abitanti di Sant'Anna. Il dialogo tra i due si snoda quindi intorno alla proposta di considerare Resistenza anche quella civile e non armata, come gli atti di disubbidienza (aiutare i renitenti alla leva, ospitare vittime innocenti ecc..), mostrando le tante forme di lotta praticate dalle persone non armate sotto un'occupazione feroce come quella nazista.



Episodi da studiare e da raccontare, valorizzandoli, facendone degli exempla. Molti storici della Resistenza stanno lavorando nella direzione tracciata. Sant'Anna e i suoi testimoni come gli Hibakusha, cioè i sopravvissuti, di Hiroshima servono a farci capire che ogni guerra è disumana, senza scuse né attenuanti. Occorre parlare e far parlare di resistenza civile alla guerra, anche quella di chi bombarda i barconi, innalza i fili spinati: la guerra contro i corpi delle persone che abitavano a Sant'Anna è la stessa contro i bombardati nelle tante guerre della terza guerra mondiale come l'ha definita papa Francesco.



La discussione tra i due verte quindi su come mantenere viva una memoria storica che serva all'oggi, senza indulgere a modi militari o militareschi di commemorazione, facendo di Sant'Anna, del parco della pace, un luogo di ricerca culturale che cambi le mentalità e "liberi il pensiero", anzitutto separando rigidamente il concetto di Resistenza da quello di guerra. Perché se oggi L'Obbedienza non è più una virtù, come recita un grande libro della scuola di Barbiana di don Milani, disobbedire a un ordine ingiusto è una forma altissima di Resistenza.



I pescatori di Lampedusa che raccolsero i profughi sulle loro barche, disobbedendo alla legge, praticarono questo tipo di Resistenza. Lorenzo cita Galeano e la sua parabola sull'utopia. Chi la segue cammina verso l'orizzonte e certamente si avvede che questo si allontana e tuttavia prosegue "perché a questo serve l'utopia, a camminare nella giusta direzione". Aggiunge ancora Lorenzo, nel dialogo con il padre, che "l'utopia può creare uno spazio mentale intangibile, proteggendo dalle pressioni esterne e forse è il solo modo di occuparsi di politica dopo il cosiddetto crollo delle ideologie".



Come dire che nel nostro tempo e nella nostra società consumista dove tutto è mercificato, vivere con convinzioni profonde può salvare la vita.

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