Intervista a Franco Manti per il Festival Bioetica 2025 "In quanto comunità di destino terrestre dobbiamo pensarci come fratelli e sorelle che improntano le loro relazioni, anche quelle conflittuali, al perseguire la giustizia e il bene comune"
La nona edizione del Festival di Bioetica (Rapallo, 29 e 30 agosto 2025) organizzata dall’Istituto Italiano di Bioetica invita a riflettere sui molteplici aspetti che evoca il tema ‘Fratenità’. Chiediamo a Franco Manti, dell’Università di Genova e componente del Comitato scientifico del Festival, di illustrare le premesse su cui si sviluppa il panel dedicato all’economia, da lui organizzato.
Siamo di fronte a cambiamenti epocali che hanno messo in crisi assetti ed equilibri che pensavamo solidissimi. L’economia è coinvolta pesantemente dalla tempesta e, come se non bastassero questioni epocali e di non facile soluzione, come per esempio la transizione ecologica, sono arrivati i dazi imposti dal Presidente Trump. La situazione appare difficile oltre ogni possibile ottimismo. Come si lega la ‘pratica della Fraternità’ al modello economico che, attualmente, sembra rimanere quello dominante nel pianeta?
La crisi che stiamo vivendo dal 2008 è radicale, profonda e sembra non aver fine perché, a mio avviso, si tratta di una crisi di paradigma. Con tutte le differenze del caso, sta avvenendo qualcosa di simile a quanto accaduto alle origini della modernità con il venir meno del paradigma aristotelico. Crisi di paradigma significa anche messa in discussione dell’immaginario sociale che lo caratterizza nelle sue diverse articolazioni compresa l’economia. Come di mostra l’esperienza storica, le crisi di paradigma hanno una certa durata nel tempo, non sono indolori, emergono sul margine del caos. Le resistenze che trova la transizione ecologica (forse sarebbe meglio definirla riconversione), il ritorno a politiche protezionistiche attraverso l’utilizzo politico dei dazi come affermazione della potenza del singolo Stato nazionale, le guerre stesse, sono interpretabili come “colpi di coda” del vecchio paradigma e dei poteri che ne sono espressione. L’epistemologia di sfondo del paradigma in crisi si fonda sul riduzionismo, ossia sull’idea che la complessità vada ridotta e, tendenzialmente, eliminata tanto nell’analisi dei fenomeni naturali quanto riguardo alle relazioni interumane e fra gli umani, gli altri esseri viventi e le componenti fisico-chimiche della biosfera. Il pensiero della complessità, che caratterizza l’emergere di istanze innovative alternative a quelle proprie del paradigma finora egemone e del suo immaginario sociale, ci richiama a un approccio sistemico per il quale tutte le componenti sono fra loro interconnesse attraverso flussi di materia e informazione. In sintesi, i nostri destini s’intrecciano e sono inscindibili come lo sono, di conseguenza, le dimensioni locali e quelle globali dell’economia. L’idea dell’economia di fraternità come aspetto caratterizzante il nuovo paradigma trova le sue ragioni nella suddetta visione relazionale. Non si tratta di veicolare una visione edenica e buonista, ma di assumere una visione che all’ideologia dell’impersonalità dei mercati sostituisca quella di relazioni di mercato evidenziando la responsabilità di donne e uomini, in carne e ossa, per le decisioni che assumono. La consapevolezza di costituire una comunità di destino terrestre richiama a pensarci come fratelli e sorelle che improntano le loro relazioni, anche quelle conflittuali, al perseguire la giustizia e il bene comune. Così etica ed economia, separate e rese fra loro eterogenee nel paradigma finora dominante, ritrovano le ragioni di un’alleanza che interpreta il mercato e la generazione di profitto non come fini a sé stessi, ma come strumento che contribuisce a generare condizioni per migliorare la qualità della vita a livello locale e globale.
I dati macroeconomici parlano di squilibri sempre più profondi tra pochi ricchi e ricchissimi e miliardi di poveri e poverissimi. Un approccio di sviluppo e convivenza ispirato alla ‘Fraternità’ (che non è ‘fratellanza’) può dare un contributo concreto a trovare nuove strade per una convivenza tra umani basata sul rispetto e sulla dignità delle persone?
Il fenomeno che siamo soliti denominare globalizzazione è caratterizzato da un incremento della ricchezza e, al contempo, da un divario sempre maggiore fra poveri e ricchi all’interno dei singoli Paesi e fra i Paesi. Una gestione miope priva di una governance internazionale e basata sulla idea, tipica del paradigma egemone per cui la “mano invisibile” avrebbe, prima o poi, generato un equilibrio di mercato e, insieme, una crescita economica e del benessere materiale dei Paesi più poveri, ha dissolto le potenzialità positive che avrebbero potuto caratterizzare il mercato globale. Dobbiamo, davvero, come afferma Morin, cambiare strada, valorizzando quanto emerge di nuovo dalla crisi del vecchio paradigma. La visione sistemica che propongo, concepisce l’idea e la pratica della fraternità, non solo come rivolta agli i umani viventi, ma orientato alle generazioni future e agli animali. Essa costituisce, così, un fondamento essenziale della sostenibilità sociale, economica e ambientale. A livello macroeconomico l’idea e l’etica della fraternità comporta, in primo luogo, una visione non predatoria nei confronti degli altri viventi, ma anche delle risorse naturali del Pianeta e una concezione dell’economia del ben-essere fondata sulla crescita di attività orientate al miglioramento della qualità della vita a livello globale. In breve, la prospettiva che si apre con crisi del paradigma che stiamo attraversando è quella di un’economia circolare capace di ridurre fino a eliminarli lo spreco e i rifiuti. Una governance planetaria glocale che coinvolga non solo gli Stati nazionali, ma organizzazioni e istituzioni sovrannazionali, ONG. ecc. appare necessaria per generare una sintesi solidale fra quanti dispongono di risorse e quanti esprimono bisogni. Non si tratta di un’utopia “buonista”, ma di una prospettiva che consentirebbe di ridurre l’instabilità e i flussi migratori incontrollati riconoscendo pari dignità ai Paesi poveri e ai loro cittadini. A livello micro economico, oltre allo sviluppo del microcredito anche nei Paesi ricchi, stiamo assistendo all’emergere di una consapevolezza da parte di un numero sempre più ampio di aziende e di operatori del mondo della finanza che s’impone la necessità di una governance interna democratica e di rispetto di quei criteri che vengono definiti come ESG (Enviromental, Social, Governance) e che stanno diventando sempre più strategici nella valutazione, anche nel mercato azionario, delle imprese. Più in generale, la prospettiva che si sta aprendo è quella di pensare le aziende come strumenti capaci di rispondere a bisogni reali e di generare una migliore qualità della vita.
Dal suo punto di vista e in questo contesto di crisi, quale relazione vede tra la bioetica e l’economia?
Ritengo necessaria una premessa: la bioetica nell’interpretazione prevalente e coerente con l’epistemologia riduttivista del paradigma ora in crisi, che la confinava all’ambito dell’umano, non ha più ragion d’essere. Le visioni teoriche e le soluzioni pratiche proposte alla luce di tali visioni sono note per quanto riguarda questioni come l’inizio e il fine vita, la genetica ecc. Semmai esse riguardano la politica e il diritto, ossia, come possiamo fare convivere senza discriminare le minoranze e le concezioni della vita buona fra loro conflittuali e irriducibili. La bioetica deve, invece, essere intesa, così come l’ha da sempre interpretata l’Istituto Italiano di Bioetica, come etica del Bios, ossia etica relativa alla rete di relazioni che costituiscono la biosfera, come una bioetica planetaria. Per brevità, propongo due campi (fra loro connessi): la salute e la bioeconomia. Per quanto riguarda il primo, One health costituisce un approccio integrato e unificante che mira ad equilibrare e ottimizzare in modo sostenibile la salute di persone, animali ed ecosistemi riconoscendo che la salute dell’uomo, degli animali domestici e selvatici, delle piante e dell’ambiente in generale (ecosistemi inclusi) sono strettamente collegati e interdipendenti. Va da sé che non si tratta di una semplice dichiarazione di principio, ma di una visione che richiede una ridefinizione delle politiche economiche in generale e dell’economia sanitaria (ad es. i tagli lineari alla spesa non sono compatibili con tale approccio). Quanto alla bioeconomia, riconosciuta come strategica dal Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della vita, s’impone la necessità di un approccio bioetico: la transizione verso un'economia innovativa ed efficiente sotto il profilo delle risorse, rigenerativa e in cui ambiente, salute e ben-essere siano prioritari esige impegni, riguardo all’etica del bios, quali, ad esempio, l’evitare la competizione fra sviluppo di aree coltivate a fini industriali e aree coltivate per l’alimentazione; modalità di coltivazione che non depauperino il territorio; lo sviluppo di coltivazioni non intensive e rispettose delle tradizioni locali, l’utilizzo di tecnologie energetiche che non impattino negativamente sui territori e sulla loro bellezza.
Intervista a cura di Tiziana Bartolini
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