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Le madri argentine: per non dimenticare

Le madri argentine: per non dimenticare

La lezione di Vera Vigevani Jarach durante un suo viaggio in Italia e in occasione di un incontro a Roma

Lunedi, 20/02/2023 - La giornalista Dora Salas, un’amica argentina che ha conosciuto SULLA SUA PELLE le torture della dittatura, mi invia un suo articolo per raccontare la testimonianza che un’altra argentina, una delle “madri della Plaza de mayo” che adesso ha 95 anni e, come Liliana Segre - incontrata nel suo itinerario italiano, raccomanda di “non dimenticare” ha raccontato ancora una volta nella chiesa valdese di Roma. Vera Vigevani Jarach si definisce partigiana. A buon diritto, dato che lei, italiana compì 11 anni sulla nave che la portava con i suoi genitori che, dopo le leggi razziali, emigravano: non li accompagnò il nonno che fu deportato e finì ad Auschwitz nel campo di sterminio. Una famiglia di persone perbene che ha pagato un prezzo già alto, Ma Vera ha avuto una figlia, Franca, studentessa “brillante, che difendeva la giustizia e la verità: aveva 18 anni quando fu sequestrata, desaparecida, una dei 30.000. Franca continua ad avere diciottanni e Vera continua a ricordarla al mondo perché l’Argentina di oggi è un paese come altri in America Latina, interessante per noi italiani perché l’elenco telefonico di quel paese ha cognomi in maggioranza di nostri emigrati. Gli anni che passano allontanano la memoria di orrori che ogni tanto tornano sulla pagine dei giornali per fuggevoli notizie su processi contro torturatori e ladri di bambini - i militari che incarceravano donne incinte la facevano partorire e si appropriavano dei bambini per adottarli molti dei quali, non senza ulteriori sofferenze, sono stati recuperati dalle nonne. Una storia che negli anni Settanta e Ottanta (del secolo scorso) hanno coinvolto il nostro paese anche per la fortunata presenza nella nostra sede di Buenos Aires di Enrico Calamai che, avvalendosi della sua responsabilità di reggente in assenza dell’ambasciatore in ferie, accolse in ambasciata chi correva pericolo: divenne scomodo per l’amministrazione, ma salvò un sacco di vite e rese impossibile il mantenimento dei rapporti diplomatici con i golpisti.

Vera ha interpellato i ragazzi di una classe presente senza suscitare domande, tranne un paio di eccezioni solo femminili. Effetto di commozione per le atrocità ascoltate? Probabilmente sì, ma conoscere stragi di madri, furto di bambini e morte atroce di altri ragazzi come loro suscitano domande mute dentro, destinate a restare senza risposta perché la scuola non ce la fa a dare coscienza politica - nel senso che ci si deve educare a far parte di una comunità di una società consapevole, capace di scelte libere.

Vera offre la sua lezione non solo agli studenti: “Che la storia non venga dimenticata: è l’augurio migliore per il futuro”. Si tratta di “difendere l’umanità”, di non tacere mai. Mai. Di usare tutti i mezzi, le reti sociali, facendo attenzione agli inganni dei social. Cerchiamo la luce, non l’ombra”. Aggiungendo di essere una buona scalatrice. Quando si scala una montagna e non si sa come andare avanti, la voce di chi ti precede o ti segue ti dice dove attaccarti: passa la paura e si va avanti e siccome la spinta la dà sempre il cuore, dà in consegna ai giovani il passaggio di testimone dell’emigrazione: chi è stato migrante non può non pensare al Mediterraneo, tomba dei desaparecidos del ventunesimo secolo.


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