Login Registrati
Le tante fibre dei versi, il racconto di Matilde Tortora

Le tante fibre dei versi, il racconto di Matilde Tortora

Al di là di ogni mia pur ottimistica aspettativa questo libro ebbe dei lettori e alcuni di essi perfino del tutto inaspettati, tra loro anche Giancarlo Menotti....

Domenica, 16/01/2022 -

Le tante fibre dei versi, il racconto di Matilde Tortora

Il mio primo libro fu un libro di poesie e fu pubblicato nel 1974. Lo avevo intitolato “Spoleto e altro ancora”, perché diceva di una fascinazione che (ma ero tanto giovane allora!) si era sedimentata in me per le parole e per una città cui ero stata destinata, nella quale ero arrivata bambina di dieci anni e dalla quale ero andata via a diciott’anni dopo avere conseguito la licenza liceale presso il suo tanto prestigioso Liceo Classico dove, a fine Ottocento perfino Carducci era stato in visita alcuni giorni nella sua alta carica di Ispettore dei Licei che allora erano solo Classici.

Al di là di ogni mia pur ottimistica aspettativa questo libro ebbe dei lettori e alcuni di essi perfino del tutto inaspettati, tra loro anche Giancarlo Menotti, Egli che s’era destinato a quella stessa città e con ben altri intenti e quella città l’aveva fatta divenire internazionale creando lì il suo Festival che tuttora colà si svolge. Era che Menotti, soprattutto in quegli anni, amava incontrare giovani anche alle loro prime prove e io con questo mio primo libro fui tra loro.

Ho riletto stamane quello che a questo libro avevo apposto con un certo evidente impeto giovanile come Premessa: “C’è per tutti, a me pare, un “luogo” cui si tende dall’esilio del quotidiano e dell’imperfetto. Tra i tanti possibili io ho scelto o mi è stato decretato quale “luogo” la parola. E Spoleto. E dal possedere parole con più dovizia di quanto possegga me stessa e dal possedere altri luoghi e volti e reali, per il tramite d’una parola che libera, talvolta gioca, poi si fa consapevole e contiene anche gli altri, a me pare d’essere giunta un po’ più dappresso alla poesia”.

Di questo mio primo libro me n’è rimasta solo una copia, ma so che in alcune Biblioteche se ne conserva qualche altra. E certo il libro, stando là, potrebbe avere dei lettori, anzi alcuni li ha senz’altro avuti anche decenni dopo la sua pubblicazione.

Come faccio a saperlo?

Ebbene, nel 2009 quando dopo anni di chiusura per i danni causati dal terremoto fu infine riaperta, mirabilmente restaurata, la Biblioteca Comunale “Giosué Carducci” di Spoleto, mi fu gentilmente chiesta l’autorizzazione a che potessero pubblicare una poesia da quel lontano mio primo libro. Il che mi fece anche intendere che quella Biblioteca, che da ragazza frequentavo, dove prendevo libri in prestito, dove seguivo conferenze e dove pure, da liceale, avevo ascoltato e conosciuto Quasimodo venuto, due anni dopo il Nobel, a tenervene una, ne avesse conservato qualche copia.

Come non acconsentire a quella richiesta? Ne fui sorpresa, ne fui lieta, acconsentii.

Furono stampate delle bellissime T-Shirts Fruit of the Loom che recavano versi di alcuni poeti e tra essi, i versi del sommo Carducci, di alcuni altri e i miei da quel lontano libro.

In questo modo, ho avuto a distanza di tanti decenni ancora lettori per i versi da quel libro e mi hanno detto che siano stati soprattutto i giovani ad acquistarle, essi cui piacque quel modo di leggere alcuni versi stampati su cotone di diversi colori e che tuttora colà se ne acquistano da indossaree, inavvertitamente (davvero e quanto poi?) porgere quei versi ad altri da scorgere, forse finanche da leggere tuttora.

E che da quel lontano supporto cartaceo ancora oggi ci siano versi stampati su tutt’altre fibre vegetali, perfino da indossare (e quanta parte vi abbia pure avuta la parte digitale) mi dona una colorata, tattile allegria.

E forse è anche in questo la tenace fibra dei versi. Anzi, dovrei dire, le tante fibre dei versi, finanche a volte d’acciaio. E che una me poco più che ventenne l’avesse già allora intuito mi riempie oggi di un lunghissimo incantato stupore.

 

Immagine: copertina del libro “Spoleto e altro ancora”, 1974. In essa l’immagine del Teodelapio di Alexander Calder, realizzato e donato dall’artista alla città di Spoleto nel 1962, in occasione della mostra open air ideata da Giovanni Carandente per il V Festival dei Due Mondi ideato e diretto da Giancarlo Menotti. Il Teodelapio fu realizzato in lastre d’acciaio per scafi dello spessore di undici millimetri.

Giosué Carducci fu per alcuni giorni al Liceo Classico di Spoleto nel giugno del 1876, colà giunto nella sua carica ministeriale di Ispettore dei Licei. Durante quei giorni ebbe modo di visitare le fonti del Clitunno, a mezz’ora circa di carrozza dalla città; a quella visita dobbiamo la poesia omonima che si trova nel primo libro delle sue Odi Barbare.


Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®