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Legge 194: insieme per non tornare indietro

Legge 194: insieme per non tornare indietro

Un disegno di legge, a firma del sen. Gasparri, potrebbe costituire un grave attentato alla legge 194, una conquista fondamentale in tema di diritti civili per le donne italiane

Venerdi, 22/03/2019 - Se ci fosse stato mai bisogno di un ulteriore elemento a riprova del continuo e pervicace contrasto ai diritti civili riconosciuti alle donne negli ultimi decenni, in questi giorni si è avuto modo di conoscere il disegno di legge Gasparri n. 950/2018, richiedente la modifica dell’art. 1 del codice civile. Tale impianto normativo si compone di un unico articolo, ossia «Art. 1. – (Capacità giuridica) – Ogni essere umano ha la capacità giuridica fin dal momento del concepimento. I diritti patrimoniali che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita». Un articolo che, ove fosse approvato, aprirebbe un fronte rilevante di attacco frontale alla legge 194/1978, che depenalizzò l’aborto in Italia, riconoscendo alla donna il diritto di avvalersi della prestazione sanitaria concernente l’interruzione di gravidanza, volontaria o terapeutica, con i limiti e le modalità previste dalla sua stessa normativa di riferimento. Una legge, la 194, la cui approvazione fu avvantaggiata dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 27 del 1975, in cui si statuiva che «non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell'embrione che persona deve ancora diventare».
Per superare l’ostacolo costituzionale, nella parte introduttiva alla formulazione della richiesta di modifica dell’art.1 del cod. civ. prevista dal suindicato disegno di legge, si ha modo di leggere: «Nel nostro diritto positivo l’articolo 22 della Costituzione stabilisce che “Nessuno può essere privato [...] della capacità giuridica”. Come è noto la capacità giuridica è l’attitudine alla titolarità dei diritti. Non importa il numero dei diritti. Basta l’imputazione anche di un solo diritto per affermare l’esistenza della capacità.». Il sen. Gasparri ed i cofirmatari (Quagliariello, Mallegni e Gallone) fanno riferimento al diritto alla vita ed alla salute in capo al concepito, attualmente non disciplinato dal codice civile. Così anche in un altro passaggio della suddetta introduzione è presente che: «La Corte costituzionale, dal canto suo, nella fondamentale sentenza n. 27 del 18 febbraio 1975 ha affermato che i diritti dell’uomo spettano anche all’embrione, ma poi ha affievolito la forza di tale riconoscimento argomentando che l’embrione persona deve diventare. Il riferimento all’articolo 1 del codice civile è evidente. Dunque la correzione dell’articolo 1 appare altamente significativa. »
Non v’è chi non veda che il ddl Gasparri, richiedendo il riconoscimento del diritto alla vita in capo al concepito, lo contrapporrebbe a quello riferibile alla donna che intende effettuare un’interruzione di gravidanza, volontaria o terapeutica, creando di fatto e di diritto un ostacolo insormontabile alla legittimazione prevista dalla legge 194 della sua richiesta. Se già con il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza, sancito dall’art. 9 di tale legge, si è assistito impotenti al suo depotenziamento effettivo, visto le altissime percentuali di ginecologi ed anestesisti che si appellano a tale articolo per non svolgere l’attività sanitaria correlata all’aborto volontario o terapeutico, qualora la proposta normativa del sen. Gasparri divenisse legge non è da escludere che in concreto si blocchi l’attuazione della legge 194. Quale potrebbe essere il passo successivo a tale paventata situazione, che si ritorni alla clandestinità delle interruzioni di gravidanza o, peggio ancora, al loro ritorno a fattispecie criminosa, con conseguenti sanzioni a carattere penale?
I senatori firmatari del disegno di legge n. 950/2018 già avevano provato nella XVI legislatura a presentare la medesima richiesta, “in modo da anticipare al momento del concepimento il riconoscimento della capacità giuridica, che oggi è, invece, fissato al momento della nascita”, sull’onda di un disegno di legge di iniziativa popolare proposto nel 1995 dal Movimento per la vita italiano. Nel testo del ddl citato invece ora scrivono “Sembra doveroso sottoporlo nuovamente all’esame del Parlamento oggi che i temi antropologici sono posti con crescente intensità all’attenzione di tutti noi”. E tanto sono “intensi” questi temi che ne è prova l’iter del disegno di legge Gasparri che, presentato in data 20 novembre 2018 ed annunciato nella seduta n. 60 del 20 novembre 2018, è stato assegnato il 22 dicembre 2018 alla Commissione Giustizia del Senato in sede redigente. Ossia la commissione licenzierà un testo definitivo che andrà al voto dell’aula parlamentare senza possibilità di essere emendato.
Certo balza evidente agli occhi come la sede di discussione in Commissione Giustizia sia analoga a quella del ddl Pillon, ma, mentre a detta del senatore leghista il suo impianto normativo rientra nel contratto di governo siglato con i pentastellati, l’attacco frontale alla legge 194 no. Diventa, quindi, necessario che una mobilitazione simile a quella, ancora oggi in campo, contro la controriforma pilloniana dell’affidamento familiare sia approntata, perché è oramai evidente che l’obiettivo delle forze conservatrici è di denegare le conquiste ottenute dalle donne italiane in tema di diritti civili fondamentali. Alcuna ritrosia o temporeggiamento dovrà valere al riguardo perché, come nel caso del ddl Gasparri, il diritto consentito dalla legge 194 di scegliere se e quando divenire madri deve essere difeso ad oltranza. Non si deve indietreggiare ai tempi delle donne messe in galera per avere effettuato un aborto o, peggio ancora, alle vicende delle morti per una clandestinità subita ferocemente per l’assenza di norme a tutela della vita delle donne che effettuavano un’interruzione di gravidanza. Una sola parola d’ordine, conseguentemente, si impone "Legge 194: insieme per non tornare indietro".

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