L’ultima immagine è quella di una giovane donna appesa ad una corda che viene timbrata sui glutei come i tanti prosciutti che la circondano.
Quello che abbiamo visto martedì sera 8 giugno, nel documentario “Il corpo delle donne” di Lorella Zanardo e Marco Malfi Chindemi proiettato alla galleria “Filippo Scroppo” di Torre Pellice, a cura del Coordinamento Donne Valpellice, ci ha lasciate senza fiato.
Certo, a molti e molte di noi che guardano la TV, erano “note”, ma la carrellata di immagini, tratte da programmi televisivi, proposte di seguito e commentate dalla voce pacata della regista, ha squarciato un velo.
Ma dove siamo finite? In quale antro ci siamo lasciate cacciare?
Sempre più nude, indagate ossessivamente da una telecamera invadente, trattate come sorridenti figurine di contorno o come prosperose bambole senza cervello, ci chiediamo se siamo davvero noi, quelle.
Le giovani donne presenti alla proiezione, dicono che il problema forte e impellente, è quello delle adolescenti che hanno introiettato quei modelli e a quelli, molte, vogliono adeguarsi e non ne vogliono altri.
E le meno giovani? Invecchiare, si sa, non fa piacere a nessuno, ma “quel” modo di invecchiare che la TV ci impone, è spaventoso: mostruose labbra rifatte, visi privi di espressione e di storia, resi omogenei da tiraggi sempre più esagerati che paralizzano i volti.
“Ogni volta che vedo in televisione una di queste, faccio notare ai miei figli quanto sono fortunati a non avere una madre così”, è stato l’ironico commento di una signora.
La nostra società è fatta da persone che hanno la TV accesa dal mattino alla sera. La nostra società è quella che assorbe le immagini dell’omicidio di camorra, del pestaggio di un gay, delle previsioni del tempo, delle diete dei vip. Delle donne nude e complici, che rasserenano almeno un po’ lo spirito di tanti uomini frustrati e delusi.
“Un’immagine vale più di tante parole”, ha dichiarato lapidariamente, uno degli uomini presenti.
E quei corpi, esposti, indagati, offerti, scavano, nel cervello di alcuni, la convinzione che le donne sono così. E quando una dice di no, ecco che scatta la violenza, frutto di un’incredula delusione: “Ma come? Prima mi provocate e poi vi negate?” Ed ecco che si scatena la rabbia e lo stupro è la risposta al rifiuto.
Che cosa possiamo fare? Ci chiede la regista.
Possiamo cambiare canale, ma non basta, ci siamo dette. Come consumatrici e consumatori possiamo rifiutarci di comprare prodotti che vengono presentati con una pubblicità offensiva per le donne. Si può fare.
Possiamo aderire, come abbiamo fatto, a campagne come quella lanciata dall’Udi, “Immagini amiche”, per
liberare le città da quei cartelloni pubblicitari che lungo le strade ci mettono “in vendita”. E’ importante.
Possiamo denunciare all’ Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) trasmissioni, pubblicità e spot negativi per l’immagine di donna che propongono. Può servire.
Sia chiaro: non vogliamo censure ma rispetto.
Se vogliamo, però, diventare forti, dobbiamo diventare fruitrici di cultura, quella che ci fa diventare autonome nel pensiero e nelle decisioni. Quella che fa dell’impegno la leva per cambiare una società che spaccia la finzione come verità.
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