Un anno fa nasceva Non Una di Meno, arrivarono adesioni da tutta Italia di singole e di gruppi subito connessi tra loro grazie alle nuove tecnologie comunicative e a incontri diffusi...
Lunedi, 19/06/2017 - Un anno fa nasceva Non Una di Meno a partire da un appello a firma della rete romana Io decido e delle Associazioni nazionali UDI e DIRE. Arrivarono ben presto da tutta Italia adesioni entusiastiche di singole e di gruppi subito connessi tra loro grazie alle nuove tecnologie comunicative e a incontri che alcune di Io Decido realizzarono in varie città. Si è così man mano formato un vero e proprio movimento che in un anno ha dato vita alla grande manifestazione del 26 novembre a Roma, a tre assemblee nazionali, ad uno sciopero globale femminista e a numerosi eventi locali a volte correlati tra loro su cui per brevità non mi soffermo e per i quali rimando a siti e pagine facebook.
A Roma, come in altre città, il lavoro preparatorio si articolò in otto tavoli tematici con giuriste, filosofe, operatrici dei Centri antiviolenza, giornaliste, ginecologhe e donne delle associazioni attraverso incontri pubblici dislocati in alcuni quartieri, uno proprio davanti alla sede del Ministero della Salute in concomitanza col contestato fertility day. Si è in questo modo sviluppato un ampio confronto su forme e contenuti e alla fine si decise di non chiudere alla presenza di quei pochi uomini che erano stati agli incontri e, più in generale, a tutti quelli che si riconoscevano nell’appello e ne condividevano analisi e proposte; il corteo sarebbe stato comunque aperto dalle donne, le sole titolari dell’evento. Su questa presenza degli uomini si è aperto il primo conflitto dentro e fuori il movimento: da una parte c’era chi sosteneva che il separatismo sempre e ovunque è pratica femminista imprescindibile, dall’altra chi riteneva giusto e utile dare spazio ai mutamenti del maschile prodotti proprio dal femminismo.
L’8 marzo 2017 infatti è stata una giornata intensa dappertutto, dalla mattina alla sera, con la partecipazione in varie forme allo sciopero, dibattiti, performance, mostre, cortei. Nei giorni seguenti è poi ripreso il lavoro in vista dell’assemblea nazionale del 22 e 23 aprile durante la quale, nel corso di una riflessione molto articolata e complessa, sono emersi ulteriori elementi di differenziazione: sul rapporto con le istituzioni, viste da alcune come il male assoluto; sulla necessità espressa da una larga parte delle presenti ma non condivisa da tutte, di costruire forme flessibili di coordinamento tra una assemblea e l’altra per dare seguito alle decisioni condivise; sulla prostituzione rispetto alla quale tutte si sono dette contrarie a qualsiasi forma di sfruttamento ma secondo alcune essa è sempre una forma di schiavitù di stampo patriarcale da combattere e stigmatizzare e secondo altre può essere anche esito di una libera scelta che però non deve rappresentare motivo di discriminazioni e violenze; sull’obiezione di coscienza nei confronti della 194 tra chi propone che si debba abolire del tutto il diritto all’obiezione e chi è convinta che per far applicare la legge non è necessario abolire un diritto: esiste già da ora la possibilità concreta non solo di denunciare in quanto illegali le strutture pubbliche che non applicano le 194, ma anche di rendere operativo in tutte le Regioni, per il personale medico e infermieristico che obietta, il divieto di accesso alle strutture preposte alla applicazione della legge.
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