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Palestina / I sensi di colpa dell'Occidente ....

Palestina / I sensi di colpa dell'Occidente ....

'... ma piano con le accuse: la storia non è l’elenco delle malefatte o della perfetta iniquità umana. La storia elenca (anche) date di guerre e trattati di pace...'

Domenica, 21/09/2025 - Adesso tutti a pentirsi dei danni compiuti dall’Occidente e dei disastri prodotti per sostenere i nostri interessi. Confessiamo di aver sempre sfruttato e favorito le ingiustizie ovunque nel mondo ci siamo trovati - credevamo - a cooperare, senza accorgerci di praticare la rapina, il furto, le stragi, l’aggravamento dei conflitti.
Oggi nessuno osa dire che non lo sapevamo. E oggi tutti accusano le responsabilità dell’Occidente. Anche quando persone impegnate a lottare per i diritti umani e dei popoli e perfino politici che invitavano a un’austerità finanziaria che consentisse di riequilibrare il divario tra i paesi ricchi e il Sud “in via di sviluppo”.
Chi sta soffrendo per Gaza - e non riesce a rimuovere l’interiore senso di inadeguatezza e di colpa - sa bene di seguire con ansia la flotilla perché la legge come il simbolo delle tante iniziative di solidarietà con il popolo palestinese a cui ha aderito, generazione per generazione, per quasi tutti i quasi ottant’anni dalla fondazione dello Stato di Israele.
E’ infatti del 1948 il primo ricordo, quello dei 400 abitanti del villaggio di Deir Yassin, raso al suolo dai gruppi paramilitari sionisti che uccisero e, poi, provocati alla guerra, costrinsero all’esodo della Nakba i palestinesi. A cui non era andato alcun riconoscimento istituzionale. Non c’era, né si sa se ci sarà mai, uno Stato di Palestina, anche se, al vertice dell’ipocrisia storica, alcuni governi europei ne hanno avanzato, oggi, il riconoscimento.
Eravamo, siamo occidentali. Le autorità che allora, dopo la seconda guerra mondiale, vollero rendere agli ebrei un radicamento istituzionale nei luoghi della loro tradizione storica, una restituzione di vita al popolo violato dalla shoà, non seppero tracciare un analogo confino per delineare uno spazio istituzionale dovuto agli abitanti legittimi del luogo da cui dovevano andarsene per fare largo agli insediamenti di altri?
Fu grande il valore simbolico di Israele per quanti sentivano le colpe del nazi-fascismo nei confronti dei popolo che, originariamente mediorientale, era stato per secoli oggetto di razzismo e persecuzione ed era stato sterminato da Hitler, ma era anche un popolo affine agli occidentali bianchi più che al mondo arabo/islamico. Infatti, il nuovo Stato crebbe simile ai nostri. E giustamente mettiamo dentro alla caterva delle colpe dell’Occidente anche la contraddizione di sentirsi complici involontari per essere stati nazifascisti.
Considerazioni possibili su un passato che non cambia, mentre molte critiche vengono rivolte alle responsabilità della storia. Ma se teniamo lo sguardo rivolto alla realtà dobbiamo dire che chi protesta consapevole del sistema capitalistico, sfruttatore, oppressore, corruttore, non ne assume intera la responsabilità: l’Occidente non è univoco.
È l’Europa che ha costruito i diritti, a partire dall’Habeas corpus fino alle costituzioni democratiche, alla carta dell’Onu, alle Convenzioni internazionali, la Corte Penale Internazionale. Il cittadino protesta perché ha coscienza dei diritti, propri e altrui. E sa che l’uguaglianza è universale, anche se c’è chi vuole esseere “più uguale”. Residui di vizi insopprimibili, egoismo, avidità, paure ripetono le tragedie mai uguali del passato. Dopo due guerre mondiali abbiamo recitato il mai più, fondato l’Onu e dal 1945 rimosso la guerra che - lasciata attiva in paesi lontani dal nostro interesse, è tornata. A prescindere dal tentativo di definirla diritto dei popoli.
Quindi piano con le accuse all’Occidente: la storia non è l’elenco delle malefatte o della perfetta iniquità umana. La storia elenca date di guerre e trattati di pace. Che spesso il popolo aveva ricusato, poi costretto ad ubbidire a chi comanda. Per interrompere la catena di morte è necessario non perdere di vista i diritti, oggetti fragili da difendere con la politica, la diplomazia, il negoziato.

 

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