Nell’ultimo periodo il tema della tutela della paternità è stato oggetto di alcuni interessanti interventi, entrambi tesi a sottolineare il diritto autonomo dei genitori – madre a padre – al godimenti dei vari istituti che il legislatore italiano ha previsto a sostegno della famiglia.
In particolare, il Tribunale di Firenze si è pronunciato lo scorso novembre sul diritto del padre lavoratore al congedo di paternità (Sentenza n.1169 del 18 novembre 2009). Nel giudizio in questione, si è posto l’accento sul fatto che il padre può usufruire di tale strumento nella stessa misura della madre e indipendentemente dalla condizione di lavoratrice della stessa - a patto ovviamente che sussistano le ragioni individuate dal legislatore per il ricorso a tale istituto (cfr. 28 del TU in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità afferma “Il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre”. ). Ciò implica che – nell’eventualità in cui la madre non abbia usufruito di alcun periodo di astensione obbligatoria pre parto, la durata del congedo di paternità risulti essere pari a cinque mesi, e non si limiti pertanto al godimento dei soli tre mesi successivi al parto. Non solo: in caso di parto prematuro, il padre ha diritto a che gli vengano riconosciuti anche gli ulteriori giorni per parto prematuro.
Peraltro, la sentenza poc’anzi citata, segue la linea che in passato era stata tracciata dallo stesso ente erogatore (INPS), il quale aveva avuto modo di deliberare per un pieno diritto del padre lavoratore al congedo di paternità. Tale diritto – afferma l’INPS nella sua circolare n.8 del 17 gennaio 2003 - non può subire limitazioni in relazione allo status di lavoratrice della madre in quanto la ratio del congedo obbligatorio è indissolubilmente legata anche alle esigenze di cura del neonato, che risulterebbero compromesse dall’assegnazione di un diritto solo parziale al godimento del congedo da parte del padre (circ. INPS n.8 del 17 gennaio 2003 punto 10: “Qualora, infatti, la richiesta del padre di fruire del congedo di paternità venisse riconosciuta solo subordinatamente al fatto che la madre sia o (sia stata) una lavoratrice, non solo si arrecherebbe un danno al neonato, ma ciò risulterebbe in contrasto con l’ordinanza n. 144 del 16/4/1987 con cui la Corte Costituzionale ha stabilito a proposito della suddetta sentenza n. 1/1987: ”in luogo di lavoratrice madre leggasi madre, lavoratrice o meno”. ).
L’irrilevanza della condizione di lavoratrice della madre – ai fini del godimento dei diritti legati alla paternità – è stata ulteriormente rimarcata di recente con riferimento ai riposi giornalieri. L’INPS infatti - facendo seguito ad una sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI n. 4293 del 9 settembre 2008 - ha dichiarato che ai fini del riconoscimento del diritto del padre ai riposi giornalieri per allattamento nell’ipotesi di cui alla lett. c dell’art. 40 del D.Lgs. 151/2001, la madre casalinga debba essere considerata alla stregua della madre lavoratrice (cfr. Inps, Circolare 27.11.2009 n. 118). Non rileva a tal fine la sussistenza di comprovate situazioni che determinano l’oggettiva impossibilità della madre stessa di accudire il bambino, trattandosi anche in questo caso di un diritto autonomo del padre.
Il quadro normativo si sta quindi arricchendo di importanti elementi, tanto che si potrebbe a ragione parlare di Testo unico sulla genitorialità.
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