Quanto è giusto che i nostri bambini continuino a credere a Babbo Natale e alla Befana? Quanto è giu
Penso che la maggioranza dei genitori sia convinta che, credere alle figure speciali di Babbo Natale e della Befana renda caratteristico il Natale dei più piccoli. In verità non è una soltanto una mia convinzione personale, in quanto dall’indagine
Giovedi, 18/12/2025 - Penso che la maggioranza dei genitori sia convinta che, credere alle figure speciali di Babbo Natale e della Befana renda caratteristico il Natale dei più piccoli. In verità non è una soltanto una mia convinzione personale, in quanto dall’indagine “I bambini e la figura di Babbo Natale”, commissionata ad AstraRicerche, attraverso un questionario rivolto a 1.004 genitori con figli di età compresa dai quattro ai quattordici anni risulta così. Sembra tutto giusto.
Poi mi torna alla memoria il testo di "Figlio mio" di Franco Califano, quel "Fijo mio viè qua / Sta a senti' a papà / Consideranno che t'ho messo ar monno io / Io te devo di' qualunque verità". Già. Ricordo che mia figlia Valentina, l’ultimo anno che credette alla Befana (aveva nove anni), era combattuta dalla voglia di sapere la verità: “Mamma, non può essere. Tanti bambini nel mondo soffrono la fame, perché la befana dovrebbe portare a noi i giocattoli e loro, invece, lasciarli soffrire?” E quella di essere ancora una volta illusa dal sogno. Vinse il sogno quell’ultimo anno e fu molto difficile illuderla.
Ma vado oltre. Ho la netta sensazione che, anche senza andare a scomodare tristi verità di paesi lontani, anche guardando all’Italia si evince, dai dati Istat più recenti (2024/2025), che quasi il 10% della popolazione (circa 5,7 milioni di persone) viva in povertà assoluta, mentre quasi il 15% (8,7 milioni d’individui) vive in povertà relativa.
Che cosa c’entra con Babbo Natale? in realtà c’entra con il fatto che noi adulti, le famiglie di oggi, pur sapendo che conviviamo in una società con minori che raggiungono un picco d’indigenza al 13,8% e differenze indicative tra Nord e Sud e tra famiglie di stranieri e italiani e pur se noi stessi affrontiamo difficoltà a volte serie, tendiamo a fare credere ai nostri figli e nipoti di vivere in un Paese di Pinocchio, dove possono permettersi regali natalizi a caro costo: Chiedere doni legati alla tecnologia (cuffie, smartwatch, drone, videogiochi), all'abbigliamento e accessori di tendenza (felpe, borse sportive, sneakers), esperienze (biglietti per concerti, gite, corsi, abbonamenti) e oggetti personalizzati (custodie telefono, cuscini) come se fosse normale pretenderli benché i tassi di povertà siano e rimangano a livelli elevati, e l'inflazione e la crisi economica pesi maggiormente sulle fasce più deboli. Che non è detto non siano le nostre.
Avrei pensato che il problema “aspettative regali e denaro” fosse soltanto dei miei nipotini, che hanno famiglie “mediamente” al sicuro d’incertezze, se non fosse che mi abbiano espresso le stesse difficoltà nonni e genitori vicini al livello d’incertezza economica. “Mio nipote mi chiede completi da ginnastica firmati. Non si accontenta delle scarpe da ginnastica che portavamo noi ragazzi, le vogliono con firme costosissime…” E genitori che si preoccupano del fatto che i loro figli, a scuola “Lamentano di fare brutta figura se non vestono con capi firmati. Si confrontano con gli amici per il cellulare di ultima generazione, vogliono le feste di compleanno “come le organizzano gli amici di scuola” e devono portare regali costosi, a tali feste, per tema di sfigurare”.
Anche i genitori temono di sfigurare, si preoccupano che i loro figli possano sentirsi inferiori e sviluppare atteggiamenti tali da rischiare l’ansia (sociale, da prestazione), depressione, bassa autostima e una costante paura del fallimento. Non è inusuale che i ragazzi manifestino sintomi come ritiro sociale, perfezionismo, autocritica eccessiva, tendenza a sminuirsi, invidia e difficoltà nelle relazioni, spesso sostenuti da sperimentazioni passate negative, bullismo o dal confronto irrealistico con gli altri sui social media. E le pubblicità non migliorano lo stato dei fatti.
Tentiamo a ricordare cosa voleva dire essere adolescenti negli anni ottanta e novanta, quanto non esistevano i cellulari e i social non sapevamo nemmeno cosa fossero. Si stava assieme agli altri, nella vita reale. I ragazzi potevano giocare a pallone in strada con gli amici e non era strano che le madri cominciassero a chiamare i figli, un nome per volta, dai balconi e le finestre, perché “era pronto a tavola”, o stava rientrando il papà. E il sabato e la domenica si aveva la certezza della compagnia sui muretti o al pub.
Un tempo i nostri genitori avevano la possibilità di dedicare la vita ad essere presenti costantemente, oggi invece combattono ogni giorno con necessità lavorative che li tengono lontani e spesso impediscono il colloquio all’ora di pranzo o di cena.
Gli asili infantili per bambini molto piccoli (da sei mesi a tre anni) sono in attività con tanti piccolissimi, lasciati da mamme assenti per lavoro, che capita si sentano costantemente in colpa, sul lavoro (per non essere a casa), in famiglia, perché non puntano al meglio sul lavoro.
Il sentirsi in colpa porta anche al desiderio di accontentare i figli che pure, oltre ai regali, costano, costano ogni giorno: “Mantenere un figlio in Italia costa in media circa 640 euro il mese, secondo stime della Banca d'Italia basate su dati pre-pandemia (2017-2020), ma i costi variano molto in base all'età, con il primo anno più costoso (fino a €17.500) e cifre che possono oscillare tra i 462€ e oltre 900€ mensili a seconda della fonte e della fascia di età, coprendo alimenti, vestiti, scuola, salute, tempo libero e una quota delle spese generali familiari”. Si tratta di stime in cui s’includono i costi della famiglia per abitazione, bollette, trasporti, alimentazione e aggiungendo le spese specifiche per il minore (es. pannolini, istruzione, tempo libero, salute).
Siamo messi male.
Le tredicesime (quanto ci sono), volano via. Quindi, quando parliamo di “Babbo Natale e della Befana”, non ci riferiamo soltanto a questi individui di fantasia, quanto al fatto che, tendenzialmente, siamo portati a crescere i nostri giovani in un ambiente protetto. Dando loro ciò di cui hanno bisogno o anche che semplicemente, desiderano, cercando di non palesare lo sforzo. Con il risultato (non positivo), che non comprendano del tutto le difficoltà economiche vissute in famiglia. Sarebbe intelligente, invece, che gli fornissimo con logica un’esposizione diretta delle preoccupazioni finanziarie, di quanto costa e quanto non sia patrimonio di tutti, l'educazione che ricevono, evitando così la naturale tendenza degli adolescenti a prendere le distanze dalle questioni che decidono non siano di loro competenza.
In alcune famiglie si trova una soluzione in una sorta di educazione finanziaria che passi attraverso l'esempio e la comunicazione, ma anche della partecipazione alle spese domestiche. D’altra parte, in America alcuni “figli di ricchi”, fanno lavori umili temporaneamente per capire cosa significa guadagnarsi da vivere, ben sapendo, però, che si tratta di una fase transitoria prima di tornare alla loro vita agiata.
Ai nostri, dovremmo offrire una responsabilità graduale. Insegnando loro a gestire la paghetta anche legandola a compiti o obiettivi (accompagnare il cane a passeggio, gettare l’immondizia, togliere o metter la tavola, raccogliere fondi per iscriversi in palestra), perché quest’atteggiamento sviluppa l'autodeterminazione.
In sintesi, educare alla gestione del denaro è un processo educativo che integra l'esempio pratico, la comunicazione e la partecipazione attiva alla vita familiare. Non dobbiamo dimostrare loro che siamo più ricchi di altri, piuttosto che sappiamo gestire le nostre possibilità, anche se ci tocca qualche rinuncia.
D’altra parte dobbiamo chiederci: Siamo certi che il futuro possa regalare loro lo stesso vivere sereno economicamente che, con fatica, gli regaliamo?
Come potranno affrontare le difficoltà nel trovare lavoro? Le occasioni (che non mancheranno), in cui un concorso desiderato non sarà superato?
La capacità di rendersi indipendenti, da cosa nascerà, se li abituiamo alla convivenza familiare che li protegge come la coperta di Linus?
Dobbiamo prepararli alla fase di allontanamento: Gli adolescenti cercano indipendenza e identità, separandosi dai genitori e dai loro valori, inclusi quelli finanziari. Tuttavia c’è il rischio che l’abitudine alle comodità, il vitto e l’alloggio garantiti, possa produrre un'abitudine alla dipendenza finanziaria, soprattutto in assenza di un lavoro stabile, che sia anche quello desiderato. Non è un caso che Il termine “bamboccioni” sia stato coniato in Italia nel 2007, dal ministro dell'Economia e delle Finanze Tommaso Padoa-Schioppa (governo Prodi). A suo parere i giovani italiani erano (sono?), troppo pigri e legati alla famiglia di origine e alle comodità che queste offrono, per questo incapaci di uscire dalla casa dei genitori.
Ma è soltanto colpa loro?
Bianca Fasano, sociologa.
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