Login Registrati
Quella Madre che non è Madre è come un Padre / Quando IL DIRITTO nega la realtà

Quella Madre che non è Madre è come un Padre / Quando IL DIRITTO nega la realtà

I figli della coppia lesbica di Anghiari unita civilmente e la sentenza del Tribunale di AREZZO / Discriminazione verso le persone LGBT o in primo luogo verso le DONNE?

Giovedi, 08/12/2022 - Fatto di cronaca.
Una coppia lesbica vuole un figlio e pensa di rafforzare non solo la relazione di coppia ma la relazione di ciascuna componente con il futuro figlio ricorrendo a una soluzione inusuale. La donna che partorirà non offrirà alla creatura in progetto l’apporto genetico ma solo quello della gravidanza e del parto, facendo impiantare nel proprio utero un ovulo della propria compagna, col consenso di questa, e ricorrendo alla fecondazione eterologa in altro stato (in Italia la Legge 40/2004 non lo consente in caso di coppia omosessuale).
Sembra loro l’uovo di Colombo, ma la realtà sarà un’altra.

Nascono due gemelli in Italia e le due donne fanno richiesta di riconoscimento dello status di madre per ciascuna di loro, a cui conseguirebbe l’attribuzione ai bimbi del cognome di entrambe. L’Ufficiale di Stato civile del comune di Anghiari si rifiuta e la coppia si rivolge al Tribunale di Arezzo. Chiamato a una valutazione del problema, il Tribunale rigetta il ricorso.

Ora, è possibile che qualcuno manifesti anche per il caso specifico delle riserve, a causa della pratica innaturale di espianto a cui si è sottoposta una delle due donne, nonché del bombardamento ormonale innaturale a cui si è esposta l’altra, ma non si può sottacere che le due donne hanno fatto tutto ciò non per un progetto a loro estraneo ma per una decisione spontanea e interna alla coppia, scelta che avrebbe dovuto apportare un beneficio a ciascuna delle due, nonché al bambino (che in questo caso sono due gemelli). Qualunque cosa se ne voglia pensare, non è possibile esimersi da alcune valutazioni particolari che per obiettività vanno fatte.

1 – Non siamo dinanzi a un caso di utero in affitto, giacché la donna partoriente non ha affrontato la gravidanza e il parto PER ALTRI ma per se stessa e per l’altro membro della coppia, dunque non è stata resa né si è resa puro strumento, non ha subito nessuna alienazione. Ha voluto farlo per essere fisicamente inclusa nella relazione genitoriale, della quale si sarebbe presumibilmente sentita meno partecipe se a partorire fosse stata la compagna, ovvero la stessa donna cui apparteneva l’ovulo. Infine, la donna partoriente si prenderà cura personalmente del bimbo messo al mondo e non lo cederà a una qualche committenza. In pratica, il figlio non verrà mai amputato della naturale relazione psicofisica con la gestante, che assumerà a tutti gli effetti il ruolo di Madre. La differenza con i casi di Gpa è radicale;

2 – il fatto che la fecondazione eterologa sia ammessa per una coppia eterosessuale fa sì che una donna eterosessuale a cui sia stato impiantato un ovulo estraneo, fecondato con gameti che non sono del compagno o marito, possa essere considerata MADRE del bimbo partorito – e fin qui la situazione corrisponde a quella di cui stiamo trattando;

3 – il fatto che la fecondazione eterologa sia ammessa per una coppia eterosessuale permette che un uomo la cui compagna o moglie abbia fatto ricorso a questo tipo di fecondazione sia considerato padre del figlio partorito dalla compagna (e automaticamente all’interno di un rapporto matrimoniale), anche se il nato avrà ricevuto metà del suo patrimonio genetico da un altro uomo, ovvero da un membro estraneo alla coppia – e qui la situazione differisce profondamente (con l’appoggio della legge 40/2004 non sufficientemente impugnata) da quella di cui stiamo trattando;

4 – qualsiasi cosa possa decidere un Tribunale, il fatto che quel bimbo sarà collegato per una metà del suo patrimonio genetico a quello della compagna-donatrice della coppia considerata non potrà essere negato o dimenticato;

5 – il fatto che un uomo possa riconoscere un figlio non riconosciuto alla nascita SOLO IN QUANTO responsabile di una metà del patrimonio genetico del bimbo e che questo riconoscimento può essere effettuato perfino in caso di opposizione della madre di quel figlio, giungendo anche all’attribuzione del cognome se avallata da un giudice, è un fatto noto; è un diritto garantito all’uomo, che nessuno può sottrargli.

Ne conseguono alcune domande.

a - perché un uomo può effettuare un riconoscimento se solo da un esame del DNA risulterà che egli sia colui da cui il figlio ha avuto una metà del suo patrimonio genetico, mentre una donna nella sua stessa situazione (il bimbo del caso di Arezzo ha indiscutibilmente per metà un patrimonio genetico avuto dalla donatrice) non può essere considerata GENITRICE di quel figlio, pur essendo peraltro legata alla partoriente da uno stabile rapporto di coppia?

b - Forse i gameti maschili sono più importanti, pregiati o autorevoli di quelli femminili? La genetica ci dice di no.

c – Forse è necessario che la donna a cui apparteneva l’ovulo si dichiari Padre e non Madre? Ciò servirebbe a far quadrare il cerchio?

d - Dove sta la ratio, dunque la base logica e scientifica – che contrasta con quella giuridica attuale – in virtù della quale considerare eticamente accettabile quella sentenza?

Deriva da queste considerazioni un giudizio di incompetenza del Tribunale di Arezzo? Se consideriamo la minuziosità con cui le giudici hanno esaminato le sentenze della Cassazione, della Corte costituzionale e perfino della CEDU in proposito, si dovrebbe concludere che no e tuttavia qualcosa non convince.
Alla base di quelle sentenze c’è la considerazione che la legge 40/2004 consente il ricorso all’eterologa come rimedio a un difetto funzionale della coppia eterosessuale, dovuta all’impossibilità di uno dei suoi componenti di generare un figlio, per una qualche anomalia che non sussiste invece nel caso di una coppia omosessuale, i cui membri hanno la piena possibilità di esercizio delle caratteristiche generative del proprio sesso di appartenenza.

La valutazione sembrerebbe inoppugnabile, se non fosse che quel che ne consegue viene applicato SOLO nel caso di lesbiche e non di gay. A un gay che ha generato ricorrendo alla Gpa, vietata in Italia come lo è il ricorso all’eterologa per coppie lesbiche, non viene disconosciuta la sua paternità ma solo il diritto di conferire analogo statuto al compagno che non ha dato nessun contributo biologico per la nascita del figlio, ovvero al cosiddetto genitore intenzionale. Nel caso delle due donne del comune di Anghiari, invece, alla donna che esattamente come un gay che ricorre alla Gpa ha “erogato” i suoi gameti, lo status di genitrice viene negato contro ogni evidenza.

In altri termini, qui non si tratta, o non si tratta solo, di discriminazione nei confronti dell’omosessualità ma in primo luogo di discriminazione radicale nei confronti della donna, i cui gameti sono valutati in modo difforme - e per lei penalizzante - dai “sacri lombi” generativi del maschio, eterosessuale o omosessuale che sia.

Ricordiamo che le conclusioni di un procedimento giudiziale sono sempre condizionate dai termini in cui è stata formulata la richiesta.
È possibile che riproporre la questione da un punto di vista più appropriato - quale ad esempio la denuncia di una discriminazione nei confronti della donna con riferimento alle situazioni sopra esaminate –, lasciando dunque in sordina al momento la 40/2004 che tanto intralcia, possa indurre un Tribunale ordinario a sollevare eccezione di costituzionalità su questo aspetto specifico, ottenendo finalmente una differente pronuncia della Consulta o, a un livello superiore, della CEDU.

7 Dicembre 2022

Qui commenti e riflessioni sollecitati da questo articolodi Alfonso Navarra , Antonella Nappi Giovanna Cifoletti

Link Esterno

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®