'Ramona & Giulietta.Voci LGBTQIA+ tra carcere, teatro e cinema'. La parola a Francesca Tricarico
Alla Festa del Cinema l’incontro-spettacolo con le Donne del Muro Alto dedicato alle identità di genere: il teatro come atto di resistenza ed espressione artistica che trasforma e rende liberə
Mercoledi, 22/10/2025 - Come ogni anno, dal 2019, alla Festa del Cinema di Roma, nella sala cinema del Museo MAXXI, c’è trepidante attesa per lo spettacolo delle Donne del Muro Alto, guidate con passione ed empatia dalla fondatrice della Compagnia, l’attrice e regista teatrale Francesca Tricarico, con l’associazione ‘Per Ananke’. Lei, col suo sorriso contagioso e la sua capacità affabulatoria, include attrici (detenute ed ex-detenute) e pubblico in un solo caloroso abbraccio, che trasmette il desiderio di entrare in un mondo per molti sconosciuto, che incute talvolta paura a chi non lo conosce, quello del carcere con i suoi ‘muri’, reali o mentali.
Ma Francesca e le donne del suo gruppo teatrale quelle barriere vogliono abbatterle, per questo sono al MAXXI come ogni anno con la loro proposta di un ‘incontro-spettacolo’, dedicato in questa edizione, alle identità di genere ed alle ‘voci LGBTQIA+ tra carcere, teatro e cinema’, spesso doppiamente discriminate ed invisibilizzate. Nel solco del dialogo tra arte, diritti e inclusione sociale, la Festa del Cinema ha dunque aperto le porte ad un nuovo spettacolo delle Donne del Muro Alto, questa volta incentrato sulle identità e sui linguaggi che emergono dai luoghi ristretti, come il carcere, dove l’espressione artistica diventa atto di resistenza e strumento di trasformazione.
“Tutti gli anni presentiamo qui i nostri spettacoli, o almeno un estratto - racconta Francesca mentre già le sue attrici sono pronte sul palco - e cerchiamo di utilizzare questo tempo anche per creare un confronto ed approfondire il tema degli spettacoli: quest'anno il tema sono le identità LGBTQIA+ (lo dico in tutta la sua lunghezza), a volte ci abbiamo giocato con questa sigla, ma sempre con il rispetto delle parole e dei linguaggi perché il linguaggio è importante e i processi di cambiamento avvengono anche grazie al linguaggio. Per quanto noi pensiamo di essere aperti, questi cambiamenti sono sempre complessi e limitati: spesso si ha paura di vedere muri e limiti, invece noi no, perché la nostra compagnia è nata dietro a un muro, quindi noi iniziamo dal muro e dal limite per poterlo superare. Grazie per aver scelto di lunedì alle quattro di pomeriggio di essere con noi alla Festa di Cinema di Roma, un incontro diventato per noi un appuntamento fisso fin dal 2018: il primo anno è venuta la Festa in carcere dove abbiamo fatto uno spettacolo e poi il progetto è continuato all'esterno con le signore che sono qui in scena e anche con alcune ormai libere, che hanno continuato a fare teatro con la Compagnia.”
La performance si è avviata con la proiezione e la messa in scena di alcuni estratti da “Ramona e Giulietta”, spettacolo originale prodotto dalla Compagnia, nato in occasione della prima unione civile fra persone LGBTQIA+, che rilegge in chiave queer e contemporanea la tragedia shakespeariana, portando in scena le tensioni, le tenerezze e i conflitti vissuti da due donne dentro e fuori le mura del carcere. Una storia di relazioni non conformi che nasce dal confronto tra esperienze detentive e linguaggi artistici e, al tempo stesso, un evento che vuole esplorare il teatro e il cinema come spazi di libertà, riconoscimento e consapevolezza, attraverso il dialogo e la partecipazione, per dare voce a storie e identità spesso tenute nell’invisibilità.
Lo spettacolo è stato accompagnato da momenti di testimonianza diretta delle attrici – ex detenute e artiste professioniste – e dalla regista Francesca Tricarico, che ha guidato una lezione-spettacolo capace di alternare racconto, performance e visione filmica, offrendo al pubblico una prospettiva inedita sulla relazione tra arte e inclusione.
Particolarmente significativo e toccante il racconto di Betty Guevara, una delle attrici della Compagnia, che ha condiviso col pubblico la sua storia di madre che ha avuto grandi difficoltà ad accettare che entrambe le sue figlie avessero delle compagne donne, dopo averlo scoperto: dalla vergogna è passata alla partecipazione attiva al Gay Pride ed ora parla liberamente del suo pregiudizio e di come sia necessario superare tutto questo in vista dell’amore tra persone e della libertà di ciascun individuo.
Ospiti dell’incontro e del dibattito successivo allo spettacolo sono stati l’attrice e produttrice Maria Grazia Cucinotta, la regista e sceneggiatrice Simona Cocozza, l’attrice, cantante e attivista trans Lilith Primavera, e il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli.
Maria Grazia Cucinotta, attrice e attivista, è molto impegnata sui temi di genere, ha partecipato al World Pride di Torino l’anno scorso e ha prodotto un film sulla diversità, “Alla sua crescita artistica - ha affermato la regista - ha corrisposto anche una crescita umana, cosa che non sempre accade”.
“Ormai sono 43 anni che il Circolo esiste - ha affermato il rappresentante del Mario Mieli - spesso ci siamo confrontati ed abbiamo visto tante storie di famiglie che, nonostante i momenti iniziali di difficoltà alla scoperta di avere un/una figlia omosessuale, per fortuna poi si sono riunite. Quello che ha raccontato Betty, in realtà, è più comune di quello che si pensi, perché in quel momento i genitori non hanno gli strumenti per affrontare quella situazione, soprattutto se non hanno mai conosciuto persone LGBT, se non hanno mai avuto a che fare con questo mondo, non sanno da dove partire. Ci sono ancora casi, purtroppo, di famiglie che vengono rovinate da situazioni del genere, dove i figli scappano perché i genitori non li accettano, anche noi abbiamo una casa famiglia dove ospitiamo giovani con storie difficili. Spesso i genitori hanno insicurezze, paure, preoccupazioni, soprattutto proiettate sul futuro dei figli”.
“Ho lavorato nella serie Le Fate Ignoranti - racconta Lilith Primavera - non ho subito situazioni traumatiche correlate al mondo del cinema ma naturalmente ho avuto accesso limitato ad alcune produzioni: quando sei una persona LGBTQIA+, ti si aprono finestre perché hai uno sguardo diverso, ma ti si chiudono comunque anche tante porte, quindi diciamo che si impara a stare con i piedi per terra. Sì, sono una attrice, scrivo, ho avuto varie soddisfazioni riguardo le mie professionalità, mi sono ricavata piccole nicchie di film, con persone che mi riconoscono. Quanto al termine vergogna, da poco ho imparato che l’etimologia di questa parola deriva dal latino, dalla paura di essere esposti alla gogna pubblica, dunque è la società che ci fa avere paura di qualcosa, e la vergogna non è colpa nostra, è colpa della società. Bisogna imparare dalle piante, che hanno un sistema relazionale di inclusività totale, perché nella loro intelligenza, sanno che non si sa mai quale pianta nella sua diversità e peculiarità possa essere la chiave di sopravvivenza a chissà quale pericolo. E quindi le piante sono inclusive si prendono cura di tutte le altre piante, a differenza degli esseri umani che magari trovano nella peculiarità e nella differenza motivo di marginalizzazione”.
“Bisogna cercare di non sottolineare i termini delle differenze - afferma Simona Cocozza - perché più le vedi, cioè più dai loro importanza e più si sottolineano. E la stessa cosa avviene appunto con i muri e le barriere. Attraverso l'arte e il teatro o il cinema, ma anche attraverso l'arte pittorica o lo sport. Attraverso qualunque cosa riesca a raccontare sé stessi. Chiunque di noi conosce tante persone e ogni persona rappresenta sé stessa. Quindi è importante raccontare anche storie d'amore di ogni tipo, indipendentemente da quale tipo di amore sia. Chi sono i protagonisti di questo amore? Se due donne, due uomini o un uomo e una donna. Il mio primissimo documentario è stato proprio sull'omogenitorialità, quando all'epoca il termine non si conosceva nemmeno. Due donne che vogliono avere un figlio in Italia, i cambiamenti sono lenti ma ci sono”.
“Il carcere, lente di ingrandimento della società e delle sue contraddizioni – aggiunge e conclude la regista – può diventare per noi punto di partenza per analizzare anche i linguaggi artistici: qui, dove tutto è amplificato, l’espressione diventa resistenza e l’arte si fa veicolo di libertà. Mediante una riflessione su come le esperienze detentive influenzano la scrittura scenica, la rappresentazione del sé e delle relazioni, si cerca di mettere a fuoco il modo in cui le arti performative possono raccontare corpi e storie non conformi, creando narrazioni alternative ai modelli dominanti”.
Dunque una narrazione inedita e necessaria, quella delle Donne del Muro Alto presenti in scena: Bruna Arceri, Chiara Ferri, Betty Guevara, Sara Panci, Daniela Savu. La Compagnia debutterà per la prima volta in una delle sale dell’Auditorium il 25 gennaio 2026 con un nuovo spettacolo, da non perdere.
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