...Restare umani è un dato ineludibile per tutt*: siamo sempre, ovunque e comunque espressione dell’umano, nel bene e nel male, e da lì non si esce, non si può diventare altro....
Sabato, 01/09/2018 - Trovo decisamente impropria l’espressione “restiamo umani” per intendere e definire un comportamento sociale e politico empatico e rispettoso a fronte di atteggiamenti, gesti e pratiche discorsive sempre più violente, distruttive, inaccettabili. Restare umani è infatti un dato ineludibile per tutt*: siamo sempre, ovunque e comunque espressione dell’umano, nel bene e nel male, e da lì non si esce, non si può diventare altro. Non ci è data l’opportunità, la libertà di non essere umani, di essere cioè disumani, soggetti che, come recita il vocabolario per indicarne l’efferatezza, non hanno e non conservano nulla di umano. Può non farci piacere, ma essere feroci, senza pietà non significa non essere umani e non serve a nulla rimuovere questi aspetti della soggettività attribuendoli in genere solo agli altri. La nostra interiorità non conosce perfezione, carica come è di ambivalenze e fragilità. Quello che di noi viene rimosso, inoltre, non sparisce, al contrario moltiplica la sua forza condizionante nelle zone oscure in cui viene ricacciato, spesso paragonato alla condotta delle bestie che in verità sono del tutto incapaci di uguagliare l’orrore di cui si macchia il genere umano. Umano per me vuol dire perciò tutto quello che ha a che fare con noi, donne e uomini, bambine e bambini, ragazze e ragazzi che abitiamo questo mondo. La domanda è: perché è nato il paradosso, la dicotomia umano/disumano riferita a ciò che siamo, a ciò che facciamo o pensiamo? Cosa nasconde, cosa ci dice? Ho trovato alcune risposte a questo interrogativo nel mio lungo lavoro sulla parola poetica che per me è anche parola politica profonda. Porto ad esempio due poesie di alcuni anni fa.
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