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Scuola e migranti al tempo del Coronavirus. Intervista a Paola Piva

Scuola e migranti al tempo del Coronavirus. Intervista a Paola Piva

Cosa sta succedendo alle esperienze cresciute in questi anni per insegnare l’italiano a migliaia di uomini e donne provenienti da tanti paesi stranieri? L'esperienza di 'Scuolemigranti'

Lunedi, 27/04/2020 - Tra i settori vitali del paese più colpiti dall’emergenza coronavirus c’è certamente la scuola. Sono passate già molte settimane dalla chiusura degli istituti scolastici di ogni ordine e grado. Il trauma è stato via via attenuato dal percorso che si è attivato quasi subito, molto a macchia di leopardo, di attività didattiche organizzate a distanza, sia pure in vario modo. Una capacità di reazione importante da parte di insegnanti, famiglie e studenti, uno sforzo di supplenza che ha messo in evidenza i livelli diversi di organizzazione della scuola italiana soprattutto sul piano dell’utilizzo delle nuove tecnologie nei processi educativi e di formazione. Uno sforzo che sta facendo sperimentare qualcosa di utile e nuovo che potrà rimanere anche dopo l’emergenza, se ci si saprà lavorare da parte delle istituzioni scolastiche. Ma che ha evidenziato anche quanto pesano negativamente le diseguaglianze territoriali e sociali nell’accesso alle opportunità scolastiche, in questo caso a causa dei gap tecnologici.
Anche per la scuola è avvenuto quello che è successo per la sanità: il coronavirus ha evidenziato grandi capacità di risposta di singoli e realtà ma anche tutto ciò che non è stato fatto o è stato fatto male negli anni passati per quanto riguarda gli assi fondamentali di un paese, le sue infrastrutture sociali, educative e sanitarie, oggi non più separabili da quelle tecnologiche.
Nel dibattito disordinato sulle riaperture delle scuole, dove si sta parlano - soprattutto e male - delle condizioni organizzative per garantire la sicurezza e non come occasione per cambiare modi e forme di organizzazione della didattica (vedi il superamento delle classi contenitori, la pratica più estesa di forme aperte e laboratoriali di studio, l’uso integrato e strutturale delle tecnologie) c’è un grande assente dall’attenzione dei media e della opinione pubblica: la grande quantità di esperienze scolastiche e formative rivolte agli immigranti, svolte in questi anni per lo più grazie a organizzazioni di volontariato e del terzo settore e che hanno svolto un ruolo essenziale, colmando i tanti vuoti della scuola pubblica e delle istituzioni su questo terreno.
Scuolemigranti” è una delle reti più importanti, che opera nel Lazio e che riunisce circa 100 associazioni e realtà di vario tipo e dimensione che organizzano corsi di base e esperienze formative di diverso livello rivolti soprattutto agli adulti ma anche a minori e ragazzi, supportando le famiglie in questi processi. A questo lavoro sul campo si affianca un impegno costante di fare da ponte verso le istituzioni scolastiche per fare emergere situazioni, problematicità e favorire il ruolo che tali istituzioni dovrebbero svolgere.
La cosa migliore per capire la originalità del modo di operare di "Scuolemigranti" (coniugare l’autonomia delle esperienze con un lavoro di scambio anche sul piano degli strumenti didattici) è di navigare sul loro sito che è anche una piattaforma: www.scuolemigranti.org), aprire le tante “tendine” che a poco a poco ti fanno entrare in un mondo non adeguatamente conosciuto.
“A scuola anch’io” è uno dei progetti madre, riassunto in un bel video raggiungibile con il link https://www.youtube.com/watch?v=s8AnKbUbS7c&t=13s che ti comunica in diretta con testimonianze e immagini di operatori e alunni il modo accogliente di quest’operare. Poi nello spazio Osservatorio ci sono importanti informazioni e ricerche, a cominciare dai dati su quante persone di origine straniera sono state coinvolte da queste organizzazioni: ogni anno più di 10.000 persone, con una crescita negli ultimi anni della presenza delle donne e con una concentrazione nella fascia di età tra i 26 e i 45 anni.
Paola Piva, volontaria assidua sin dalla fondazione della Rete, è oggi la coordinatrice. Parlo con lei per fare meglio il punto di questa esperienza ma soprattutto per conoscere l’impatto negativo su queste esperienze dell’emergenza legata al coronavirus e al blocco di tutte le attività scolastiche.
“La Rete è stata fondata nel 2009 da 11 associazioni, impegnate sul fronte dell’immigrazione e che organizzano una scuola di italiano: questa è la condizione tutt’ora necessaria per aderire a "Scuolemigranti", firmando il patto fondativo. La Rete, infatti, non ha veste giuridica, ma è un semplice coordinamento, finalizzato allo scambio di buone pratiche sull’insegnamento dell’italiano come lingua seconda a bambini, ragazzi e adulti che hanno un’origine migratoria. La Rete è un contenitore molto attivo: c’è l’assemblea, il direttivo, vari gruppi di lavoro, il sito a cui collaboriamo in molti e vari modi per comunicare e confrontarci anche a distanza. Tutto funziona su base di volontari e volontarie , ad eccezione di qualche associazione più strutturata. (Caritas, San’Egidio, Centro Astalli , ARCI, ecc) che ha anche qualche operatore retribuito."

Ci sono rapporti tra queste iniziative e le scuole pubbliche?
Le 44 associazioni aderenti alla Rete, oltre ai corsi di italiano per adulti, svolgono varie iniziative per bambini di origine straniera, sia dentro che a fianco delle scuole: laboratori di italiano, doposcuola, corsi di italiano per le mamme, mediatori culturali nel rapporto famiglia-scuola. Si sta sviluppando così uno scambio vantaggioso tra alcune associazioni e gli istituti scolastici, che offrono spazi interni all’edificio per ampliare la propria offerta formativa. Tutto ciò consente di aumentare la capacità delle scuole a rispondere ai nuovi bisogni di persone e ragazzi che hanno seri problemi di inserimento proprio per le difficoltà linguistiche.

Quale è la presenza delle donne in queste iniziative? E ci sono questioni specifiche?
All’inizio nelle scuole c’erano quasi tutti uomini perché i corsi erano rivolti soprattutto ai rifugiati e richiedenti asilo appena arrivati in quella fase che ha avuto il picco nel 2014-15-16. Avevamo qualche corso per badanti, poi abbiamo cominciato a sviluppare i corsi per sole donne, arrivate in molte grazie al ricongiungimento familiare. Provengono soprattutto da paesi dove tradizionalmente uomini e donne vivono vite parallele e che, una volta giunte da noi rimangono isolate a casa, anche per le resistenze dei mariti a favorire processi di socializzazione. I corsi di sole donne, in questo contesto funzionano bene perché viene più accettato dalla loro tradizione e soprattutto dai mariti. C’è ad esempio il Centro Miguelin a Torpignattara, ospitato in un’ala di un istituto comprensivo. Le donne si ritrovano perché hanno là i loro bambini e oltre ai corsi di italiano organizzano là uno sportello informale di accoglienza delle donne, feste, corsi di danza; alcune stanno diventando mediatrici culturali.

Con l’emergenza coronavirus cosa è successo a queste esperienze?
La chiusura obbligata di tutte le sedi, dove si tengono i corsi di italiano, rischiava di interrompere i rapporti tra migliaia di migranti, uomini e donne e gli insegnanti volontari. Invece molte associazioni, dopo qualche settimana, hanno trovato vari modi per proseguire la didattica online. Scoprendo così le virtù di un insegnamento molto personalizzato.
Per esempio, la Casa dei Diritti Sociali, che ha una sede a Roma in via Giolitti, a fianco della Stazione Termini, con aule piccole e molto affollate, ha chiesto ai suoi 50 insegnanti volontari chi di loro era disposto a insegnare tramite Whatsapp, a piccoli gruppi di 3 allievi ciascuno. C’è stata un’ampia risposta e gli insegnanti si sono suddivisi i cellulari degli iscritti per telefonare a ciascuno e verificare l’interesse dell’allievo. Pur essendo il cellulare e il programma Whatsapp di largo uso presso quasi i migranti, non tutti gli allievi hanno accettato l’offerta della formazione al telefono, ma quelli che hanno accettato attualmente stanno seguendo un corso quasi giornaliero insieme ad altri due amici, con grande soddisfazione per tutti, anche per l’insegnante che vede fare passi rapidi nell’apprendimento della lingua.
Esperienze analoghe si sono aperte in varie associazioni aderenti a "Scuolemigranti", quali: Insieme Immigrati in Italia, Casa dei Diritti Sociali, Acse, Arci Solidarietà Viterbo, Che Guevara, Asinitas, Astra 19, Centro Astalli, Casa Diritti Sociali della Tuscia, Cittadini del Mondo, Apriti Sesamo, Croce Rossa, Caritas La Storta, Penny Wirton, ASCS – Programma Humilitas, CIES Matemù, Carminella.
Questo fiorire di sperimentazioni ha suggerito alla Rete di aprire una pagina sul proprio sito, che sta raccogliendo buone pratiche del CPIA 2 di Torino e la Cooperativa Ruah di Bergamo. Questo lavoro di scambio e di supporto reciproco sta proseguendo e si sta sviluppando e certamente servirà anche dopo l’emergenza.

Quali le difficoltà maggiori che si sono incontrate?
L’interruzione delle attività che si svolgevano in presenza e in condizioni anche molto diverse ovviamente ha portato enormi difficoltà, maggiori ancora di quello che è avvenute per le scuole ordinarie. Stiamo parlando di persone che vivono in situazioni diverse, spesso senza uno stabile luogo abitativo , persone improvvisamente costrette a stare chiuse con altri o famiglie in case piccole e non attrezzate rispetto agli strumenti informatici come tablet o computer o alla presenza di Wifi. Quindi la prima preoccupazione è stata proprio quella di capire che mezzi di comunicazione hanno la maggior parte degli allievi. Il cellulare è il mezzo più diffuso, i tablet e computer molto meno e comunque per tutti ci sono problemi per i costi di cariche e wifi. Non è stato facile contattare le singole persone per capire se erano interessate e in condizioni di proseguire in qualche modo a distanza. Più difficile per ora è immaginare come agganciare i bambini, ai quali "Scuolemigranti" insegna l’italiano nei doposcuola, nei centri di aggregazione e nelle proprie sedi. In ogni caso, per i bambini occorre l’assenso dei genitori, che è anche più difficile da ottenere con una semplice telefonata e che devono cedere il loro cellulare al bambino e creargli uno spazio adatto dentro casa.

L’esperienza della rete di Scuolemigranti è importantissima anche per l’alto numero di persone coinvolte. Perché nel nostro paese non si parla mai di queste realtà e delle esperienze e problemi che evidenziano?
Non si parla della nostra esperienza, ma neppure del grande problema della formazione di base degli immigrati adulti perché non c’è nel nostro paese una politica di integrazione. L’insegnamento della lingua italiana è invece un asse essenziale dell’integrazione. Il nostro paese si è concentrato solo sulla questione se accogliere o meno gli immigrati, ma nessuno poi ha pensato veramente a come favorire l’integrazione delle persone immigrate, che sono nel nostro paese. Anche il settore della formazione per immigrati adulti (i CPIA), con cui abbiamo ottimi rapporti, vivono situazioni di marginalità, una scuola di serie B” perché non si valuta l’importanza dell’insegnamento della lingua italiana come elemento essenziale per fornire agli immigrati condizioni per inserirsi sia nella società che nel lavoro. Un lavoro essenziale, faticoso anche perché l’impatto è molto diverso a secondo le lingue madri degli immigrati e delle radici culturali diverse.

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