La recente riforma del processo penale estingue le ipotesi meno gravi del reato di stalking, monetizzando il danno subito da chi ne è vittima, anche contro la sua volontà
Giovedi, 29/06/2017 - Nonostante le note critiche degli operatori giuridici al riguardo dell’approssimazione con cui si era approntata nel 2009 la normativa riguardante il reato di stalking, il conseguente dibattito aveva evidenziato nel corso degli anni l’opportunità di evitare la legislazione per decreto in siffatta materia. Pur in presenza di una diffusa opinione, concernente la circostanza che la normativa istitutiva dello stalking, DL n. 11/2009, fosse viziata da indeterminatezza e punisse il danno causato alla vittima e non i comportamenti dello stalker, la recente modifica degli aspetti processuali di siffatto reato ancora una volta è avvenuta senza un preventivo confronto nelle aule parlamentari. Eppure allora la normativa fu considerata affrettata perché, per provare l’accusa, si prendeva a riferimento il danno psicologico inferto alla vittima e non il comportamento criminoso in sé. Sembrava che la legge sullo stalking risultasse rispondere più ai desiderata dell’opinione pubblica che alle esigenze degli addetti, necessitanti invece di determinatezza della fattispecie delittuosa per stabilire la soglia di conseguente punibilità dei comportamenti denunciati.
Quando ci si approccia allo studio del diritto nelle scuole italiane, alla frequente domanda degli studenti a cosa servano le leggi personalmente mi sono trovata a rispondere che il loro fine sia di tutelare i più deboli dai più forti. Orbene, compito delle istituzioni è predisporre, ad esempio, le norme non in base agli appetiti specifici degli operatori del diritto e meno che mai dell’opinione pubblica. La stella polare da seguire deve essere, sempre e comunque, l’andare incontro ai bisogni di chi subisce comportamenti criminosi, come nel caso particolare dello stalking. Con la recente riforma del processo penale, applicata anche alle ipotesi meno gravi di questo reato, si è voluto monetizzare il danno subito dalla vittima come se fosse un’ autovettura danneggiata a cui necessitino le opportune riparazioni per ritornare su strada. Se andiamo ulteriormente a considerare che la somma di denaro possa essere anche rateizzata, chi viene perseguitato si sentira danneggiato ed anche beffato. Ma, soprattutto, si considererà un soggetto inanimato, una cosa, non titolare del diritto costituzionale ad un giusto processo. Ed insieme a questa sensazione avvertirà di avere perso, ma la sua non sarà di certo una sconfitta personale, bensì di tutti. Si colga, quindi, l’occasione delle critiche mosse a questa scelta normativa per correggere la mira di quando sbagliato nel passato al riguardo del reato di stalking e, soprattutto, nel cambio di rotta si evitino decreti governativi e si coinvolga il parlamento, di modo che siano quanto più possible condivise dalle forze politiche ivi presenti regole nuove su tale fattispecie criminosa, nell’interesse di tutto il consesso sociale.
Lascia un Commento