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Storie di rifugiate, degne di un film horror

Storie di rifugiate, degne di un film horror

Donne somale raccontano in una lettera ripresa dalla BBC le infinite e terribili violenze alle quali sono continuamente sottoposte.

Lunedi, 18/10/2010 -
Stupri, matrimoni forzati, decapitazioni; è questa la realtà che le donne somale si trovano ad affrontare da quando i miliziani islamici hanno invaso il loro paese, una realtà che conoscono in pochi e che alcune rifugiate somale hanno descritto in una lettera ripresa dalla BBC.



Non sono direttamente le donne a scrivere, ma un rifugiato che sa l'inglese; non mettono i loro nomi, perché hanno paura di ripercussioni sulle famiglie ancora in Somalia; in ogni caso i loro racconti sono degni di un film horror.



“Vivevo con mia zia nel quartiere Afgooye nella regione della Bassa Shabelle quando un signore della guerra ha assaltato la nostra casa per sposarmi con la forza“. Racconta una delle donne. La zia ha cercato di proteggerla dall’uomo, ma lui l'ha uccisa. Nemmeno rifugiarsi dal suo vicino di casa è servito: l’uomo l’ha raggiunta e ha ucciso tutti. Fortunatamente la donna è riuscita a scappare, sfidando il pericoloso viaggio attraverso il Golfo di Aden per raggiungere lo Yemen.



“Le donne non possono muoversi o stare fuori. Non riescono nemmeno a camminare con il loro fratello“, dice un operatore umanitario che agisce in quelle zone - nemmeno lui utilizza il suo nome -. “Le donne non sposate sono costrette a sposarsi e se si rifiutano vengono etichettate come non-musulmane. Molti genitori scelgono di mandare le loro ragazze via con parenti e amici in modo che non siano costrette a sposarsi o a essere violentate. Abbiamo notizie di donne che hanno rifiutato un matrimonio forzato, e la cui testa decapitata è poi stata inviata al loro padre“.



E' la fuga l’unica speranza: nel primo semestre di quest’anno l’agenzia dell’ONU per i rifugiati, l’UNHCR, stima 200.000 somali fuggiti dalle loro case, quelli con meno soldi, che spesso hanno perso tutto, fuggono nello Yemen.



“Hanno colpito [mio marito] e volevano violentarmi di fronte a lui. Ha cercato di proteggere me, ma purtroppo lo hanno ucciso con un grosso coltello“. Racconta una della donne scappate nello Yemen a bordo di un autobus sgangherato da Mogadiscio a Bossasso, il porto dei pirati sulla costa settentrionale della Somalia.



La donna era scappata con le due figlie, ma dopo poche ore di vaiggio in mare, la barca era restata a secco di benzina. La barca cominciò ad oscillante e gli squali ci nuotavano intorno. La gente ha iniziato a litigare perché erano spaventati. E i contrabbandieri hanno cominciato a picchiarli e gettarli in mare“. Le bambine si erano svegliate e piangevano, assetate, affamate e impaurite dagli adulti che le circondavano. “Non riuscivo a calmare le mie figlie, ma i contrabbandieri mi intimarono farle tacere” ricorda la donna. “Allora le hanno strappate via da me e le hanno gettate in mare. Non avevo nessuna possibilità di riprendere le mie bambine e così le ho viste morire in mare. Sono impazzita“.



Le storie sono tremende, ci si chiede come si possa sopravvivere a tutto ciò; queste donne ci sono riuscite, il minimo che noi possiamo fare è far vivere le loro voci, perché tutti sappiano cosa succede in questi paesi dimenticati da Dio, nella speranza che qualcuno si decida a fare qualcosa.

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